BURKINA FASO, ALBA DELLA SOVRANITÀ
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di Matteo Parini
“Se non possiamo essere padroni delle nostre risorse, non possiamo essere liberi”, ammoniva Thomas Sankara, evocando la necessità esistenziale per l’Africa di costruire uno sviluppo autoctono e sottrarsi alla subordinazione delle potenze coloniali e delle istituzioni finanziarie internazionali come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Mondiale. Per il giovane presidente, salito al potere nel 1983, ciò significava l’ambizioso tentativo di sottrarre ai colossi esteri il controllo dei settori strategici dello Stato: energia, miniere, agricoltura, foreste e finanza.
Le nazionalizzazioni, se fossero state portate a compimento, avrebbero trasformato il Burkina Faso, allora Alto Volta, in un avamposto di autosufficienza economica nel cuore dell’Africa, dopo il breve intermezzo filo-occidentale del governo Ouédraogo, nato anch’esso da un colpo di Stato appena un anno prima. Gliela fecero pagare cara. La lunga parentesi autoritaria di Blaise Compaoré e quella instabile di Roch Marc Christian Kaboré che seguirono mantennero il Burkina Faso intrappolato nelle dinamiche predatorie del neocolonialismo. Sankara, con la sua visione sovrana invisa agli interessi del Nord globale, fu assassinato in un complotto sostenuto da attori internazionali, preoccupati che il suo esempio di autodeterminazione potesse incendiare l’immaginario di un intero continente. Solo pochi giorni prima della sua morte, non a caso, Sankara dichiarava: “Non esiste lontananza tra gli oppressi. La Palestina è anche l’Africa che resiste”.
Farsi certi nemici fu letale allora, come continua a esserlo oggi. François Mitterrand, ad esempio, non gli perdonò di averlo umiliato in mondovisione durante la visita in Burkina Faso, quando Sankara lo accusò pubblicamente di aver accolto con tutti gli onori Pieter Botha, leader dell’apartheid sudafricano. È in questo contesto, segnato da compromessi interni e ferite profonde - un Paese ancora eterodiretto da forze sovranazionali, lacerato dal terrorismo islamista, corroso dalla corruzione endemica e attraversato da crescente malcontento popolare - che nel 2022 Ibrahim Traoré assume la guida del Movimento Patriottico per la Salvaguardia e la Riforma. Egli promette di ricostruire l’unità nazionale, rafforzando un esercito incapace di contenere la minaccia jihadista e recuperando la sovranità burkinabé brutalmente interrotta dal golpe di Compaoré.
Una strategia popolare che inizia a concretizzarsi nell’ottobre 2024. Prima con la nazionalizzazione della miniera di Boungou, gestita dalla britannica Endeavour Mining, poi di Wahgnion, in mano alla statunitense Burkina Lilium Mining. È un passaggio epocale. Il Burkina Faso, letteralmente “terra degli uomini integri”, tra i maggiori produttori d’oro al mondo, riallaccia così il filo conduttore voluto da Sankara quasi mezzo secolo prima e spezzato dai suoi carnefici, riaccendendo il sogno di un Paese capace di utilizzare le proprie ricchezze per il benessere della popolazione, invece che per alimentare interessi e ingerenze esterne.
Con questo spirito, il Paese ha ridefinito il suo codice minerario e istituito la Société de Participation Minière du Burkina, un ente statale incaricato di possedere, gestire e sviluppare le risorse minerarie strategiche. Per decenni, il settore estrattivo ha generato enormi profitti per aziende globali e élite locali, mentre le masse hanno subito impoverimento e condizioni lavorative precarie. Lo Stato, invece, si è trovato a fronteggiare devastazioni ambientali, debiti insostenibili e rapporti commerciali asimmetrici. Questo meccanismo ha soffocato ogni possibilità di sviluppo indipendente, fino all’odierno cambio di prospettiva.
Un passo indietro. Nell’ottobre del 2023, l’imprenditore e presidente del Gruppo Coris Bank International, Idrissa Nassa, è stato insediato alla guida del Consiglio Nazionale dei Datori di Lavoro durante l’assemblea generale di Ouagadougou, sotto l’alto patronato del Capitano Ibrahim Traoré. L’incarico di Nassa rappresentava un ancoraggio dello sviluppo alle risorse endogene, rafforzando la capacità produttiva nazionale e riducendo le importazioni. “Chiunque voglia importare riso per un valore di 10 miliardi di franchi CFA - dichiarava Traoré in merito - dovrà investire 2 miliardi in un importante progetto infrastrutturale, e lo stesso varrà per la maggior parte dei beni di prima necessità”.
La trasformazione di un’azienda globale in un operatore energetico completamente burkinabé è storia di questi giorni e segna un ulteriore passo avanti. Il veicolo di investimento legato a Nassa ha infatti acquisito la divisione locale della compagnia TotalEnergies. Lo scorso 5 dicembre, è stato presentato il nuovo nome societario: Barka Energies, che eredita infrastrutture, stazioni di servizio, depositi e l’intera catena logistica nazionale precedentemente gestita dal gruppo francese. Il rebranding rappresenta una pietra miliare verso una sovranità economica concreta. TotalEnergies, attiva in Burkina Faso dal 1954, aveva imposto una posizione di dipendenza anche a clienti pubblici come l’aviazione, impossibilitati a operare senza l’intercessione del gruppo estero. L’acquisizione da parte di Barka Energies non è solo simbolica, ma un passo reale verso un’autarchia energetica, in cui infrastrutture, strategie e profitti diventano patrimonio nazionale, alimentando investimenti, occupazione e capacità industriale. Per mano di Barka, il Burkina Faso non eredita solo pompe e depositi, ma la possibilità di costruire un sistema energetico sovrano e integrato.
Il rapporto tra Stato e figure chiave come Idrissa Nassa non è un unicum. Esempi simili si sono già visti, ad esempio, con Seplat Energy in Nigeria, che ha rilevato infrastrutture petrolifere onshore e offshore da ExxonMobil, diventando uno degli operatori principali nel Paese. Allo stesso modo, Oando Plc ha assunto il controllo di blocchi precedentemente gestiti da Eni. Ancora, PTT, una compagnia energetica statale thailandese, ha progressivamente rilevato infrastrutture da compagnie straniere, diventando il principale operatore energetico nazionale. Modelli di questo tipo, in cui governi e imprese nazionali cooperano per sottrarre interi settori alla dipendenza estera, hanno già interessato diverse economie emergenti dall’Asia all’Africa occidentale. La partnership tra Traoré e Barka Energies è strategica: lo Stato sostiene il gruppo con regolamentazioni, concessioni e incentivi, mentre Nassa trasforma infrastrutture e know-how in strumenti di crescita nazionale. Insieme riscrivono le regole della dipendenza storica dai colossi esteri.
In conclusione, la figura di Ibrahim Traoré emerge come archetipo di una stagione di rinnovamento e audacia economica, capace di guidare il Burkina Faso attraverso passaggi epocali come le nazionalizzazioni e il trasferimento di settori strategici a operatori locali. La cessione di TotalEnergies a Barka Energies non è un episodio finanziario, ma uno spartiacque che segna la transizione, voluta da Thomas Sankara quasi mezzo secolo prima, da un’economia dominata da interessi esteri a un modello nazionale radicato, in cui sovranità, investimenti e capacità industriale diventano strumenti di crescita per tutto il Paese.
La prospettiva è ambiziosa. Trasformare la “terra degli uomini integri” da spettatore passivo degli eventi mondiali a protagonista del proprio destino. Un Paese capace di difendere leader visionari, costruire un futuro indipendente di dignità nazionale e resistere alle trame esterne che per troppo tempo ne hanno segnato con il sangue la storia.

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