Fulvio Scaglione - Non è per Gerusalemme, ma contro Teheran (e i sauditi mollano i palestinesi)

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Fulvio Scaglione - Non è per Gerusalemme, ma contro Teheran (e i sauditi mollano i palestinesi)


di Fulvio Scaglione* - Babylon


Come volevasi dimostrare. Le petromonarchie del Golfo Persico, prima fra tutte l’Arabia Saudita, hanno mollato i palestinesi. La loro priorità è opporsi al dilagare dell’influenza dell’Iran e quindi, dovendo scegliere tra una causa persa come quella palestinese e la collaborazione con Israele, che divide con loro la preoccupazione per l’azione di Teheran, non hanno dubbi: scelgono Israele e nemmeno la questione di Gerusalemme cambia il loro obiettivo di fondo.



 

Il riavvicinamento monarchie sunnite-Stato ebraico è in corso da tempo ma i tumulti per lo spostamento dell’ambasciata americana, con relativo riconoscimento di fatto dell’annessione israeliana di Gerusalemme Est, hanno messo il timbro sul processo. La rappresentazione plastica si è avuta a Istanbul, dove i leader del mondo arabo mediorientale hanno risposto, il 13 dicembre, alla chiamata di Recep Tayyp Erdo?an per manifestare lo sdegno nei confronti della mossa di Trump.
 

Erdo?an lo aveva detto subito e lo ha ripetuto al vertice: «Gerusalemme è la nostra linea rossa, non rinunceremo mai ad avere una Palestina libera e indipendente». Ad applaudirlo, a Istanbul, c’erano ovviamente il leader palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen), il re di Giordania Abdallah II, il segretario dell’Organizzazione per la cooperazione islamica Yousef Al-Othaimeen, il presidente dell’Iran Hassan Rouhani, l’emiro del Qatar Tamin bin Hamad al-Thani e tanti altri.
 

Stridevano, al confronto, le delegazioni di Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Egitto e Bahrein, presenti con ministri di secondo piano o addirittura con funzionari. Un modo come un altro per dismettere la questione Gerusalemme e disconoscere l’evidente ambizione di Erdo?an, aspirante paladino del mondo islamico mediorientale.
 

Stiamo quindi assistendo a un radicale cambio di paradigma in Medio Oriente, le cui conseguenze sono difficili da prevedere. Molto dipenderà, d’ora in avanti, dalla solidità di nervi e dalla lungimiranza della dirigenza iraniana. È chiaro, infatti, che americani e sauditi cercano la rivincita rispetto alla sconfitta (più politica che militare) subita in Siria, dove il presidente Bashar al-Assad è rimasto al potere e il progetto di inserire un’entità sunnita (Isis o altro) nel cuore della Mezzaluna Fertile sciita è clamorosamente fallito. Hanno i mezzi e la volontà per ottenerla. E se davvero la vorranno non potrà che passare per un drastico ridimensionamento delle ambizioni dell’Iran.
 

Il paradosso è che la crisi infinita del Medio Oriente ha dimostrato una sola cosa: nessun Paese, oggi, può davvero aspirare a una leadership regionale. Non l’Arabia Saudita con i suoi petrodollari, non la Turchia con il suo enorme esercito, non l’Iran con la dedizione del suo popolo. Ed è proprio questo il fattore su cui fanno leva le potenze esterne, come gli Usa e la Russia, per far avanzare i propri interessi.
 

*Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore 

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