Green Pass: si o no?

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Green Pass: si o no?

Il Green Pass è un qualcosa che ha condizionato profondamente le nostre vite e che ha mutato repentinamente i rapporti sociali, ha determinato un coinvolgimento emotivo sulla base del quale non è facile esprimere un giudizio ponderato. Per provarci, conviene innanzi tutto guardare al Green Pass non per quello che per noi rappresenta, ma per quello che realmente è, cioè uno strumento.

Di norma uno strumento non è né buono, né cattivo in sé, il problema è come lo si usa.

Prendiamo il caso di un martello, può essere usato per conficcare dei chiodi, oppure può essere usato per colpire le persone; potremmo dire che nel primo caso se ne fa un uso buono, mentre nel secondo uno cattivo, ma sarebbe un approccio eccessivamente semplicistico. Potrebbe infatti succedere che il martello sia usato per costruire una cassa in cui chiudere il bottino di una guerra di rapina, oppure sia usato per difendersi da una aggressione, in entrambi i casi la prospettiva si ribalterebbe rispetto all'approccio iniziale. Ancora più palese il caso delle armi, che possono essere strumento di offesa o di difesa, causare la morte o salvare la vita, opprimere o liberare i popoli: tutto dipende da chi le usa, per cosa e come.

Pertanto, quando si parla di strumenti, bisogna giudicare non l'oggetto, ma l'uso che se ne fa.

Ciò premesso, vediamo che oggetto è il Green Pass, tecnicamente è uno strumento sanitario straordinario di prevenzione basato su abilitazione e tracciamento. Va subito notato che è ideato a fini sanitari e poi ha carattere straordinario, cioè è adottato temporaneamente, solo per rispondere ad un'emergenza.

Il Green Pass abilita a compiere determinate cose che sarebbe meglio se facessero solo persone non infette, traccia gli spostamenti degli individui al fine di ricostruire le dinamiche del contagio e arginarne la diffusione. Il senso dell'abilitazione è di autorizzare solo persone (teoricamente) non infette a fare delle cose in cui potrebbe essere più alto il rischio di contagio: tenere gruppi a stretto contatto senza mascherina, avvicinarsi a persone particolarmente vulnerabili, preparare cibi, etc. Il tracciamento serve a monitorare gli spostamenti delle persone per capire come si muova il virus (sapere chi lo ha trasmesso e a chi potenzialmente può essere stato trasmesso) al fine di poter stabilire delle misure atte a contenere ulteriori contagi.

Questo è teoricamente lo strumento, quindi non ci dovrebbe essere motivo di pregiudizio nei suoi confronti.

Tuttavia, come detto, degli strumenti bisogna giudicare non l'oggetto, ma l'uso che se ne fa.

Spesso, l'opinione pubblica giudica in base alle informazioni ricevute dai mezzi di comunicazione organici al potere, questi fanno una narrazione parziale, in cui presentano solo l'oggetto, omettendo l'uso che se ne fa.

Quindi, descrivendo il Green Pass solo come uno strumento di prevenzione, è ovvio che poi le persone lo accolgano positivamente, è un processo di costruzione del consenso.

I media organici al potere si guardano bene dal raccontare che il Green Pass: viene usato per discriminare, emarginare, criminalizzare e perseguitare una parte della popolazione; ha causato enormi danni economici a singoli e imprese; viola i diritti fondamentali dell'uomo e la nostra Costituzione; favorisce le grandi case farmaceutiche e incentiva le speculazioni, etc. Inoltre, con il sistema attualmente adottato anche le persone infette potrebbero avere un Green Pass, la logica vorrebbe che questo sia rilasciato solo a persone che abbiano appena effettuato un tampone (e che quindi verosimilmente non siano contagiose) ma invece non è così.

Se venisse raccontato ciò, sarebbe impossibile costruire il consenso. Eppure, il Green Pass viene utilizzato proprio per queste nefandezze, stravolgendone lo spirito e vanificando gli sforzi per contenere la pandemia. In definitiva, il Green Pass non sarebbe uno strumento necessariamente negativo, ma bisogna fermamente respingere l'uso che attualmente se ne fa e non cedere al ricatto di Stato.

Alberto Fazolo

Alberto Fazolo

Alberto Fazolo. Laureato in Economia, esperto di Terzo Settore e sviluppo locale. Giornalista. Inizia l'attività giornalistica testimoniando la crisi del Kosovo e la dissoluzione della Jugoslavia. Ha trascorso due anni in Donbass, profondo conoscitore delle vicende ucraine. Attivo nei movimenti di solidarietà internazionalista, soprattutto in contrasto con le operazioni di "Regime change".

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