Spagna, nuova bocciatura per Sanchez

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Spagna, nuova bocciatura per Sanchez



di Samuele Mazzolini



Come previsto fumata nera dalla Spagna, nonostante il colpo di scena che ha visto Pablo Iglesias proporre l'ennesimo compromesso durante il proprio intervento, a soli pochi minuti dalla votazione sull'investitura di Sánchez.


Proposta rimandata al mittente per voce della capogruppo socialista che, parlando per ultima, ha ribadito la posizione di intransigenza accompagnata da un'innecessaria e nociva durezza dei toni. Ma andiamo con ordine. Nel discorso di avvio della sessione, Sánchez si è detto indisponibile a rivedere l'ultima proposta formulata dall'equipe negoziatrice socialista ieri l'altro, la quale prevedeva una vicepresidenza e tre ministeri a carattere sociale per Podemos. Sánchez ha insistito sulla tesi dell'impossibilità di avere due governi in uno, del bisogno di una minima omogeneità all'interno dell'esecutivo, ma ha toccato altri tasti, parlando per esempio della sostanziale inesperienza di Podemos nella gestione e accusando la formazione di Iglesias di aver avanzato proposte esagerate durante la fase di trattativa.


L'idea che mi son fatto è molto diversa. Di fatto il PSOE - e questo nonostante il vecchio schema dell'alternanza abbia recuperato alcuni punti percentuali nelle ultime elezioni - non accetta la fine del bipartitismo e la sua cultura politica rimane poco avvezza al compromesso. In poche parole: non sanno né vogliono negoziare e prova ne sono il fatto che abbiano avviato la fase di contrattazione vera e propria solo tre mesi dopo le elezioni politiche, ormai a ridosso del periodo limite che sancisce il conto alla rovescia per nuove elezioni, e che non comprendano che un governo di coalizione deve per forza di cose prevedere un minimo rispetto della proporzionalità dei voti ottenuti. Ben distanti sono i periodi in cui in Spagna si vincevano le elezioni con il 40% e anche più: i socialisti dovrebbero iniziare a tenerne conto.


Ma c'è dell'altro. Sánchez, chiarito che Ciudadanos non era disponibile a fungere da socio di governo come invece avrebbe desiderato per chiara convergenza ideologica, si era convinto di poter costruire un esecutivo monocolore, appoggiandosi una volta agli uni, una volta agli altri per poter approvare le leggi in parlamento. Di fronte al niet di Podemos, ha migliorato la proposta ma mantenendola sempre al ribasso in modo tale da far deragliare le negoziazioni e poter accusare Iglesias & co. di irresponsabilità, per poi tornare a elezioni e andare all'incasso. Ma l'hanno fatto con scarsissima eleganza, con la furia presuntuosa e soverchiatrice di chi si sente intrinsecamente di più e meglio dell'altro, e senza tener conto che l'elettorato progressista spagnolo ne ha le palle piene di questi giochetti (anche se non per questo sarà Iglesias ad andare all'incasso, anzi probabilmente, se infine si voterà, ne patiranno entrambe le formazioni).


Così, i socialisti hanno sistematicamente sparso veleno nei confronti di Iglesias & co tanto negli interventi alla Camera quanto nelle interviste rilasciate, arrivando persino a filtrare e al contempo distorcere informazioni vitali relative alla negoziazione a tavoli aperti, e sfornando argomenti pretestuosi, politicamente mediocri quanto non apertamente mendaci. La vera ragione che ha spinto il PSOE a rifiutare a Podemos il punto su cui si era avvitata la discordia, cioè la concessione del ministero del lavoro per derogare la (contro)riforma del Partido Popular del 2012 e alzare il salario minimo a 1200 euro, è ben spiegata dalla frase che Podemos si è vista opposta come scusa: "non potete avere il Lavoro, siete inquietanti per la Confindustria!" Qui l'unica cosa davvero inquietante (e scoraggiante)- che è poi anche la cifra della politica post-15M in Spagna - è dover agire in un campo dove l'intesa con i socialisti rimane necessaria e tuttavia pressoché impossibile.

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