"Una nuova fase di crisi nella zona euro già da settembre". L'AD intervista Jacques Sapir

"Una nuova fase di crisi nella zona euro già da settembre". L'AD intervista Jacques Sapir

"PPE e PSE faranno del Parlamento Ue una camera di registrazione delle decisioni tecnocratiche prese dalla Commissione"

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di Alessandro Bianchi

Jacques Sapir. 
Economista, direttore del Centre d’Etude des Modes d’Industrialisation (CEMI-EHESS). Autore di "Bisogna uscire dall'euro?" e "La demondialisation". 


 
- Con il Fronte Nazionale di Marine Le Pen che è divenuto il primo partito del paese con un programma che chiede chiaramente l'uscita del paese dall'euro, è dalla Francia che è arrivato il messaggio più forte a Bruxelles alle ultime elezioni europee. Si tratta di un vero «terremoto» come l'ha definito il primo ministro Manuel Valls. Che cosa ha spinto il popolo francese a questa scelta?
 
I francesi hanno fatto questa scelta per diverse ragioni. Alcune riguardano la costruzione europea: è chiaro, infatti, che per molti francesi votare per il Front National significa dire chiaramente a Bruxelles che rifiutano sia l'Euro sia l'UE. Da questo punto di vista, se altri partiti, soprattutto il Front de Gauche, avessero avuto posizioni più chiare e comprensibili, il risultato sarebbe stato un po' diverso. I progressi realizzati dal partito “gaulliste” Debout la République (Ndt. In piedi Repubblica), che ha ottenuto quasi il 4 % dei voti ci dimostra proprio come un discorso chiaro sia immediatamente proficuo in questo contesto.
Altre ragioni sono da cercare poi nella situazione particolare che vive oggi la Francia. Nel paese è crescente, infatti, l'esasperazione contro la politica di un governo, e di un Presidente, che sta distruggendo quello che si era costruito con quasi quarant'anni di lotte sociali. Ancora una volta, a torto o a ragione, il Front de Gauche non è stato in grado di convogliare a sé la parte dell'elettorato che era logicamente sua in questo voto di protesta, sempre a causa delle sue posizioni poco comprensibili. Eppure, la sanzione rispetto al voto PS è stata molto chiara e il crollo della popolarità di François Hollande lo conferma.
Per finire, esiste un voto di adesione ai temi sviluppati da oltre tre anni dal Front National. Fra questi non sono da sottovalutare (e nemmeno da sopravvalutare) un sentimento se non di xenofobia almeno di stanchezza nei confronti dell'immigrazione come si sviluppa oggi. Per molti francesi dai redditi più bassi, i nuovi  arrivati sono una concorrenza diretta su vari punti (come la concessione di alloggi o la sanità). Noto tra l'altro che numerosi francesi immigrati degli anni '60 a '80 hanno votato FN. Basta analizzare il voto quartiere per quartiere per verificarlo. E quindi, dire che questo è un voto “razzista” è una grande idiozia, anche se ci sono effettivamente razzisti all'interno del FN, come ce ne sono purtroppo in altri partiti.  Ma, non si è misurato a sufficienza la vulnerabilità dei francesi delle classi popolari di fronte alla nuova ondata d'immigrazione. Molto spesso, sono ex immigrati, naturalizzati francesi, integrati nella società francese che considerano che i nuovi arrivati hanno più diritti di loro o mettono in pericolo gli stessi budget sociali sui quali hanno la precedenza. Tale fenomeno spiega il voto delle classi sociali più bassi verso il Front National.
Da questo punto di vista, le manifestazioni di giovani liceali ed universitari, poco più di qualche migliaia in tutta la Francia, sono state molto esaustive. Nel caso di quella di Parigi, che è stata la più importante, c'erano quasi esclusivamente dei “ bianchi” e dei “borghesi”. Non c'era quasi nessun giovane proveniente dai licei professionali. Oggi, la “protesta” contro il voto FN si manifesta solo nelle classi ricche della società, ed è senz'altro questo il vero “terremoto”.

 
- Il prossimo Parlamento europeo accoglierà tre gruppi che si sono opposti nelle loro campagne elettorali alle politiche di Bruxelles, Berlino e Francoforte, a guidarli saranno Marine Le Pen,  Nigel Farage e per la sinistra A. Tsipras. Riusciranno a creare un blocco d'opposizione compatto per impedire alla tecnocrazia europea di continuare nel suo progetto d'austerità ? 
 
Non credo. Non so se il Front Natonal riuscirà a costituire un gruppo al Parlamento Europeo, ma è chiaro che esistono troppe differenze tra FN, UKIP e Syriza per formare un blocco unico d'opposizione. E questo fatto è la testimonianza più viva di come non esista un popolo europeo e che la dimensione nazionale del voto è sempre preminente. Poi, chiaramente, è probabile che al momento di votare su singole tematiche si creeranno certe convergenze. Se un'alleanza su determinate questioni sarà possibile, dovrà farsi intorno a queste parole d'ordine: innanzitutto, interruzione delle trattative con gli Stati Uniti del trattato di libero scambio transatlantico (TTIP). Si tratta di un trattato leonino che contribuirà in modo definitivo allo smantellamento del modello sociale europeo. Abbiamo proprio in questi giorni la prova dell'aggressività della politica degli Stati Uniti contro l'Europa e gli europei. Poi, questi partiti dovrebbero mettersi d'accordo per rifiutare ogni misura che potrebbe aggravare le politiche di austerità che sono oggi in atto in Europa. Con questo sfondo, è possibile che alleanze di circostanza si facciano anche con il gruppo dei “Verdi” e perfino con certi membri del PSE.
 
 
- Il PPE e il PSE saranno obbligati a gettare la maschera della finta opposizione e finiranno, come già fanno alla perfezione in diversi paesi, per fondersi per formare la prossima Commissione. Non teme che queste «larghe intese europee» creeranno il paradosso di favorire un'ulteriore perdita di sovranità nazionale dei paesi, senza tener conto dell'urlo di protesta che hanno lanciato i popoli europei?
 
Temo, purtroppo, che nessuno sentirà quella richiesta, perché i partiti del PPE e del PSE si disinteressano sistematicamente delle reazioni e delle reticenze dei popoli da ormai quasi 25 anni. E quindi avremo la costituzione di una coalizione per fare del Parlamento europeo una camera di registrazione delle decisioni tecnocratiche prese dalla Commissione.
 
 
- La propaganda pre-elettorale dei governi al potere e di Bruxelles ha voluto rassicurarci sulla situazione economica attuale della zona euro, anche se le economie italiane di Italia, Olanda e Portogallo sono tornate a contrarsi e la Francia è in una situazione di stagnazione. Inoltre, l'area monetaria è in una situazione di inflazione molto bassa – deflazione per diversi paesi – che rende sempre meno sostenibile la traiettoria debito/Pil di diversi paesi. In un tale contesto, ritiene che la zona euro rischia una nuova crisi che potrebbe rimettere in discussione gli strumenti creati o davvero « il peggio è dietro di noi » come ci hanno detto?
 
Il rischio di una nuova crisi è già presente. È la ragione per cui Mario Draghi, il Presidente della Banca Centrale Europea, ha dovuto agire il 5 giugno. Ma i limiti della sua azione dimostrano anche la sua impotenza di fondo. Le uniche cose che è stato in grado di fare sono state di introdurre un tasso negativo sui depositi ed un nuovo LTRO a favore delle banche per un ammontare di 400 miliardi di euro.  Non è assolutamente l'equivalente del  “quantitative easing” della riserva federale. Si sa che i tassi negativi hanno un'efficacia molto limitata. 
Quanto al LTRO, ce n'era già stato uno nel 2012. È  interessante guardare come ha reagito il tasso di cambio tra l'Euro e il Dollaro. La mattina del 5 giugno era sceso a 1,35 USD per 1 Euro. È risalito al 1,36 la sera stessa. È la prova che Draghi non ha più quella capacità che aveva due anni fa di incantare i mercati. Questi vogliono qualcosa di tangibile. Ma il presidente della BCE non può farlo senza aprire un conflitto maggiore con la Germania. Inoltre, i mercati guarderanno ora da molto vicino l'evoluzione della situazione in paesi come la Grecia, ma anche l'Italia e la Francia. Sono dunque già presenti tutte le condizioni per una nuova fase di crisi nella zona euro già dalla prossima estate o da settembre.
 
 
- Sappiamo che segue molto da vicino la crisi attuale in Ucraina. Qual è il suo giudizio complessivo sull'azione dell'UE? E quale dovrebbe essere su scala europea la strategia migliore da adottare per uscire dal tragico impasse attuale?
 
L'azione dell'Unione Europea è stata alquanto nefasta. Ha messo difatti l'Ucraina davanti ad una scelta impossibile, quella tra l'Europa e la Russia. Ma, vista la complessità e la fragilità di questo paese, era proprio quello che bisognava evitare. Poi, i dirigenti dell'UE hanno chiuso un occhio sul movimento popolare di piazza Maidan, il quale, iniziato come una protesta contro la corruzione del regime, ha cominciato a deviare sin dal dicembre 2013 quando è stato egemonizzato da alcuni partiti di estrema destra. Per finire, l'UE ha sostenuto implicitamente il colpo si stato che ha spodestato il Presidente Yanukovich proprio quando era stato firmato un accordo tra l'opposizione ed il governo per indire nuove elezioni. Accordo spazzato via dal colpo di stato.
La crisi attuale dello stato ucraino è nota, in particolare i referendum di autodeterminazione che hanno avuto luogo nell'est del paese che hanno prodotto una vera e propria guerra civile. Il governo di Kiev usa i suoi aerei ed elicotteri contro gli insorti, si tratta dello stesso livello di violenza che era stato il pretesto per un intervento in Libia e che aveva suscitato l'emozione della comunità internazionale in Siria. L'UE dovrebbe fare una fortissima pressione sulle autorità di Kiev affinché proclamino un cessate il fuoco e aprano immediatamente delle trattative incondizionate con gli insorti. E' inoltre chiaro come siano necessarie nuove elezioni per la costituzione di un'Assemblea costituente, che sarà l'unica a poter determinare la natura ed il grado di federalizzazione del paese. A quel punto tutte le parti esterne, tanto l'UE quanto la Russia, si devono impegnare a rispettare l'indipendenza e la neutralità dell'Ucraina.
 
 
- Come uno dei primi economisti che ha avuto il merito di porre all'attenzione del dibattito pubblico le insostenibilità economiche dell'euro tra i diversi paesi membri, ritiene che i risultati di queste ultime elezioni abbiano rafforzato la battaglia intellettuale contro la moneta unica?
 
Penso che è proprio perché abbiamo segnato punti importanti in questa battaglia intellettuale che si è registrata quest'ondata d'euro-scetticismo alle ultime elezioni del 25 maggio. Ed è chiaro che il livello dell'astensionismo e la crescita delle forze euroscettiche renderà ora i discorsi che facciamo da anni sull'Euro udibili da una platea più grande.

(Traduzione di Sandra Vailles)

Versione originale dell'intervista

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