Abdul è libero. La Libia no

Abdul è libero. La Libia no

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Riceviamo e volentieri pubblichiamo.



di Michelangelo Severgnini


 

Ce l’abbiamo fatta!
 

Abdul ci ha mandato un video messaggio per raccontarci della sua esperienza e per ringraziare tutti coloro che hanno fatto anche solo una piccola donazione per raccogliere  i soldi sufficienti per pagare il riscatto ai suoi carcerieri torturatori.


Potete guardare il video a questo link:
https://vimeo.com/436821356

 

“Buongiorno, mi chiamo … (Abdul è nome fittizio). Sono stato sequestrato dai trafficanti a Beni Walid.

Un giorno un gruppo di Libici armati sono venuti e ci hanno arrestati. Ci hanno portato in un posto che prima non conoscevo.

In seguito ho scoperto fosse Beni Walid. Ci tenevano ammanettati. Siamo arrivati a mezzanotte e ci hanno portato in una casa con muri spessi.

Ad attenderci c’erano miliziani libici e somali. Hanno cominciato a picchiarci non appena siamo arrivati.

Non capivamo costa stesse succedendo, ma poi abbiamo capito che eravamo stati venduti ad alcuni trafficanti.

Un mattino un libico è venuto e ci ha detto che chiunque volesse essere liberato avrebbe dovuto pagare 4.000 dollari, altrimenti sarebbe stato torturato fino alla morte.

Ci ha dato un telefono per chiamare le nostre famiglie e chiedere loro di mandare i soldi del riscatto.

Erano soliti torturarci dal primo mattino fino alla sera e persino di notte.

Non ci permettevano di dormire e se qualcuno si addormentava gli sparavano, alle braccia, alle gambe.

Alcune delle persone che erano con me sono state uccise per i colpi di pistola che hanno ricevuto.

C’era gente del Sudan, della Nigeria, del Niger e della Somalia.

Utilizzavano la corrente elettrica, cavi e bastoni per torturarci. Purtroppo molti sono morti.

Ma per fortuna la mia famiglia ha pagato i soldi e ora sono qui.

Vorrei ringraziare tutti coloro che dall’Italia hanno inviato soldi per liberarmi. Senza la vostra donazione non sarei certamente qui oggi, perché molte persone che ho conosciuto alla fine sono morte, perché le loro famiglie non erano in grado di inviare i soldi.

Pertanto vi ringrazio tutti quanti voi dal profondo del mio cuore”.

 

LA STORIA DI ABDUL
 

A fine maggio eravamo stati contattati da un ragazzo sud-sudanese di nome Justin che avevamo conosciuto in rete l’anno scorso quando si trovava in Libia. Nel frattempo lui è tornato a casa, preferendo di abbandonare il sogno europeo pur di sottrarsi a schiavitù e torture (più di 60mila ragazzi africani sono volontariamente tornati a casa negli anni scorsi sottraendosi così a schiavitù e torture, moltissimi altri, con cui Exodus è in contatto, sono ancora in Libia chiedendo di essere rimpatriati, mentre i voli di rimpatrio sono sospesi a causa COVID).


Quando ci ha raccontato che un suo amico sudanese si trovava tra le mani delle milizie libiche, abbiamo deciso di mobilitarci per pagare il riscatto chiesto per la sua liberazione: 4.000 dollari.


Secondo una prassi ormai consolidata negli anni, i giovani sub-sahariani vengono rapiti da criminali legati alle milizie della Tripolitania, sottoposti a tortura a scopo di estorsione finché le famiglie nel Paese di origine (alle quali vengono inviate spesso foto o anche filmati del figlio sotto tortura) non si decidono a inviare l’intera somma. Poi vengono rilasciati per strada con il rischio prima o poi di essere rapiti un’altra volta e così all’infinito.


Così, pur non senza qualche problema di coscienza, ci siamo mobilitati per raccogliere la somma, raccogliendo l’appello della sorella a Khartoum.


Potete ascoltarlo a questo link.

https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/abduls-sister-launches-a-fundraising-appeal-la-sorella-di-abdul-per-la-raccolta-fondi

 

"Salve a tutti. Mi chiamo Magbola dal Sudan. Il 21 maggio abbiamo ricevuto una telefonata da una persona della Libia che ci dice che mio fratello è stato rapito. I sequestratori chiedono 4.000 dollari come riscatto e se non lo paghiamo sarà torturato a morte. La nostra famiglia non può permettersi questa somma. Quindi vi chiedo di aiutarci con qualunque cifra abbiate, anche un solo dollaro per liberare mio fratello. Grazie”.

 

L’intera somma è infine arrivata nelle mani della sorella che l’ha consegnata alla mafia sudanese incaricata dai criminali libici di riscuotere la somma, secondo una prassi altrettanto consolidata che dimostra come il proliferare delle milizie libiche negli ultimi anni abbia rinforzato le mafie in tutti il continente africano.
 

Abdul (nome fittizio) è stato liberato il 23 giugno scorso nella città di Tarhuna, in Tripolitania, da un mese caduta nelle mani di milizie, mercenari siriani e ufficiali turchi.

 

ALLA RICERCA DEI RESPONSABILI
 

I problemi di coscienza che pur ci ha suscitato promuovere una raccolta fondi per finanziare ulteriormente quel magma di criminalità e milizie che il governo Italiano ha appena deciso di rifinanziare, possono tuttavia essere attenuati qualora questa storia, che abbiamo potuto seguire da vicino giorno dopo giorno, potesse insegnare qualcosa.


Purtroppo leggiamo in questi giorni timide proteste da parte di movimenti e associazioni riguardo il ritocco agli accordi sulla Libia votato di recente dal parlamento italiano dopo 2 settimane di intensi colloqui sull’asse Roma-Tripoli.


E anche quando qualcuno, chissà perché, non dovesse credere alla storia che questi nuovi aggiornamenti debbano portare al tanto atteso miglioramento della condizione dei migranti in Libia e si fosse pronunciato contrario, riteniamo che questo non basti.


Per questo abbiamo ricostruito la storia di quanto avvenuto in Tripolitania negli ultimi mesi per capire perché finché la Libia non sarà libera, Abdul non sarà mai libero veramente, e quelli come Abdul subiranno la stessa sorte, oppure troveranno la morte, o saranno comunque prima o poi di nuovo sequestrati o ridotti in schiavitù.


Insomma, chi è responsabile per il sequestro di Abdul. Noi pensiamo di avere una risposta.

 

LA RICONQUISTA DELLA TRIPOLITANIA


Lo scorso gennaio l’Esercito Nazionale Libico guidato dal maresciallo Haftar era sul punto di entrare a Tripoli e unificare finalmente la Libia, così come invocato dalla maggioranza stessa dei cittadini libici della Tripolitania.
 

Nell’episodio 0.9 di Exodus dello scorso gennaio (ascoltabile a questo link: https://vimeo.com/384182483) avevamo raccolto le loro voci, tra cui questa:


“Sono un cittadino della capitale libica, Tripoli. Vogliamo Haftar, ma le milizie uccidono tutti coloro che sostengono Haftar. Questa è la capitale della Libia, ma loro non hanno scelta, perché non vogliono rispettare la legge.

Come ti ho detto la situazione qui nella capitale è molto brutta. Vogliamo un esercito e una polizia, al di là di quello che pensano i Paesi europei e arabi. Noi vogliamo Haftar perché è l'unica soluzione per unificare la Libia.

Non vogliamo l'invasione turca. Tutto il Paese non la vuole. Grazie per aver ascoltato la mia voce”.

 

In fretta e furia in quei giorni dello scorso gennaio viene organizzata una conferenza di pace a Berlino per discutere la fine delle ostilità. Strano tempismo.
 

Mentre i cittadini-lettori credevano alla storia del cessate il fuoco e dell’embargo sulle armi alla Libia, la Turchia ne approfittava per trasportare armi pesanti in Libia, oltre 15mila mercenari siriani e un numero non precisato di soldati e ufficiali turchi.


Al tempo stesso una fitta azione diplomatica aveva buon gioco sull’inesistente governo Sarraj che affidava la propria sopravvivenza alla Turchia e si consegnava ai deliri di onnipotenza di Erdogan.


Dopo che città come Sorman e Sabratah, in Tripolitania, dopo essere state liberate da Haftar nell’ultimo anno, cadevano di nuovo nelle mani delle milizie libiche, dei mercenari siriani e dell’esercito turco, l’LNA (Esercito Nazionale Siriano) decideva di ritirarsi in massa dall’intera Tripolitania ormai quasi interamente conquistata dopo 9 mesi di lenta ma inesorabile avanzata.


Come raccontato a Exodus da diversi migranti e Libici sul campo, il ritorno delle milizie coincideva  con la liberazione di criminali e trafficanti precedentemente arrestati dall’LNA, rimessi in circolazione per dar manforte alle milizie di Sarraj.


Potete ascoltare a questo link un libico raccontare di essere scampato per un pelo alla prepotenza di quei criminali:

https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/a-libyan-speaks-about-criminals-out-of-prison-un-libico-racconta-dei-criminali-usciti-di-prigione
 

"Vorrei raccontarti cosa mi è successo la scorsa notte. Ero seduto davanti a casa mia, giocando con il mio telefono. Improvvisamente ho sentito delle voci: 'corri in casa, corri in casa'.

Ho visto una macchina nera con vetri completamente oscurati. Ho pensato che qualche vicino mi stesse facendo uno scherzo. Così mi sono avvicinato.

Uno di loro è uscito dall'auto e mi ha puntato una pistola. Io sono corso in casa il più veloce che ho potuto. Mentre scappavo mi ha sparato.

Oggi ho chiesto informazione su quella macchina e ho saputo che erano alcuni dei criminali che sono stati liberati dalla prigione di Sorman il mese scorso.

Il mese scorso più di un centinaio di criminali sono usciti da quella prigione che nel frattempo è stata completamente distrutta”.

 

La decisione del ritiro dalla Tripolitania da parte dell’LNA è motivata dalla ferocia degli scontri con cui milizie e mercenari ingaggiano il conflitto e pertanto viene deciso di risparmiare vite civili che sarebbero rimaste uccise nel conflitto.
 

La testimonianza seguente ci racconta come sono andate le cose. Ci giunge da Bengasi, dove si trova questo ragazzo camerunese che viveva e lavorava insieme a l fratello nella città di Tarhuna, conquistata lo scorso mese dalle milizie libiche, dai mercenari siriani e dai soldati turchi.


Per fare questo l'aviazione turca ha bombardato indiscriminatamente. Il fratello di questo ragazzo è morto sotto i bombardamenti.


A seguito di questi bombardamenti la popolazione civile ha abbandonato la città insieme all'Esercito Nazionale Libico.


Il ragazzo che parla in questo messaggio vocale, a suo volta rimasto ferito nei bombardamenti, è stato poi trasferito in un ospedale di Bengasi per essere curato.


Episodio che peraltro denota ben diverso trattamento nei confronti dei neri subsahariani tra le due parti.


Potete ascoltare il messaggio vocale a questo link: https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/a-cameroonian-survived-the-turkish-bombs-un-camerunese-sopravvissuto-ai-bombardamenti-turchi

 

"Ciao, sono Foufana Hassan, ho un problema. Dunque, francamente, vengo dalla Costa d'Avorio. Quindi, il lavoro che facciamo in Libia è (... non è chiaro, probabilmente nel campo edile), stavo lavorando con i Ghanesi, con il mio fratello maggiore. Così, l'aereo mi ha bombardato, ci ha bombardati a me e mio fratello alle 4 del mattino, così mio fratello è morto.

Non so se l'hanno colpito o no.

Ora più di 20 giorni, direi, visto che sono ancora confuso, non so esattamente la data. Così, i Ghanesi mi hanno portato in ospedale. Ecco il motivo per cui non ho potuto dire una parola per dire "no, io

non sono un Ghanese, sono della Costa d'Avorio", forse sarebbe stato un problema. Ecco perché, ho fatto finta di essere un Ghanese, ma comunque sono della Costa d'Avorio.

Così comunque ora sono a Bengasi. Ma quando l'aereo mi ha bombardato, mi hanno trasferito a Tarhuna, all'ospedale di Tarhuna, poi con l'aereo mi hanno trasferito a Bengasi, sono a Bengasi. Ho il piede destro rotto e mi fa male la parte superiore dell'occhio".

 

La linea del fronte viene posta tra Sirte e Jufra. Peraltro l’Egitto fa sapere che considererà una dichiarazione di guerra qualora questa linea verrà oltrepassata dall’esercito turco, mentre la Lega araba compatta chiede il disarmo delle milizie e la fine dell’occupazione turca in Libia. Nel frattempo, in questi giorni a Sirte si combatte.

 

POZZI CHIUSI E NEVROSI TURCHE
 

Sempre lo scorso gennaio, alla vigilia della conferenza di Berlino, nel profondo deserto libico qualcuno capisce il tranello che l’Europa sta tendendo alla Libia. Per inciso, Unione Europa e Nazioni Unite ormai non hanno nessuna credibilità agli occhi della popolazione libica, dopo i bombardamenti del 2011 e dopo il riconoscimento del governo Sarraj, ombrello delle milizie che hanno trafugato quasi la metà del petrolio libico negli ultimi anni avviandolo verso Europa e Turchia, dove nel frattempo il mercato degli idrocarburi veniva liberalizzato (governo Monti, 2012) per dare la possibilità a questo petrolio  illegale di essere ripulito e immesso normalmente nel mercato a prezzi scontati.


La popolazione libica dunque si mobilita e decide la chiusura dei pozzi di petrolio. Sì, perché i pozzi presenti nel sud desertico del Paese sono collegati alla Tripolitania attraverso le infrastrutture costruite da Gheddafi. Pertanto il petrolio prodotto nelle aree controllate dall’LNA veniva poi venduto dal governo di Tripoli, che però copriva il furto del 50% di quel petrolio a scapito di tutti i Libici.


Anche per questo l’LNA puntava alla liberazione di Tripoli. Ma quando, alla vigilia della conferenza di Berlino, i Libici si accorgono che la Turchia sta per occupare il Paese con il beneplacito dell’Europa che finge di lavorare per un cessate-il-fuoco e per un embargo, allora decidono di chiudere i pozzi. Trafugare il petrolio libico per soldi e potere è già una cosa grave, ma usarlo per pagare un esercito straniero che viene per occupare la tua terra e uccidere i tuoi fratelli, questo era inaccettabile.


Ma chiudere i pozzi di petrolio era anche un messaggio per Erdogan: “Se pensi di prenderti il petrolio libico solo difendendo Tripoli, ti sbagli. Se lo vuoi, devi prenderti tutta la Libia”.

 

L’EUROPA PREME


Nelle ultime settimane si è fatta frenetica l’attività della diplomazia europea che prova a convincere i Libici a riaprire i pozzi: “Tutti gli attori, libici e stranieri, devono garantire che il NOC sia in grado di adempiere al suo mandato vitale senza ostacoli per conto di tutti i libici”, questa è la dichiarazione della delegazione europea a Tripoli. Certo, l’Europa stessa è in sofferenza per i 6 mesi persi di petrolio libico, ma forse in questo caso l’obiettivo è un altro. Se la produzione di petrolio riprendesse, forse Erdogan si darebbe una calmata e si scongiurerebbe una guerra devastante nel sud del Mediterraneo, con Turchia, Qatar ed Europa da una parte e quasi tutta  la Lega araba dall’altra con alla testa l’Egitto.

 

L’ITALIA PARLA DI MIGRANTI MA PENSA AL PETROLIO


Di fronte a questo scenario da far tremare i polsi, si mobilita pure il ministero degli Esteri Italiano. Visita ufficiale e urgente a Tripoli (24 giugno) subito ricambiata da Sarraj. Obiettivo? Ridiscussione del memorandum tra la Libia (o meglio tra il governicchio di Tripoli) e l’Italia. Motivo ufficiale? Incrementare il rispetto dei diritti umani nei confronti dei migranti.


Come mai tutta questa urgenza così all’improvviso?


E’ il caso di crederci?


Per chi ha creduto alle favole fino ad oggi, magari potrà sembrare sensata anche questa spiegazione.


Ma per noi di Exodus che sappiamo che i cosiddetti “accordi con la Libia” non sono altro che una tangente alle milizie perché continuino a trafugare il petrolio libico a favore, tra gli altri, dell’Italia, la spiegazione data dal ministro Di Maio è evidentemente un nuovo tentativo di coprire la verità delle cose.


I migranti sono serviti per anni per coprire i veri affari tra governo di Tripoli e governo italiano. Dei soldi inviati dall’Italia alla Libia, soldi derivati dal risparmio sull’acquisto del petrolio libico illegale e sotto costo, neanche un euro è finito nel miglioramento della condizione dei migranti. Al contrario, quei soldi sono finiti dritti nelle tasche delle milizie che hanno pensato semmai di usare quei migranti come seconda fonte di reddito attraverso il lavoro forzato non retribuito e la tortura a scopo di estorsione.


E quindi, se Di Maio accelera per rinnovare gli accordi, cosa vorrà dire? Vorrà dire che quella tangente non vale più, non è più sufficiente. Che ora è arrivato un pesce più grosso che vuole tutto il petrolio per sé (la Turchia) e per continuare a ottenere petrolio libico sottocosto quella tangente va aggiornata, altrimenti quella fetta di torta se la aggiudica la Turchia.
 

Ecco perché improvvisamente i diritti dei migranti diventano così importanti. Lo schema è sempre stato questo negli ultimi anni. Le condizioni dei migranti sono rimaste sempre invariate, costantemente alla mercé delle milizie e dei criminali, persino dei singoli cittadini della Tripolitania, divenuta ormai una zona franca di libero sfruttamento dell’Africano nero.
 

Questa frase riportata di seguito del ministro degli Esteri italiano, Di Maio, va quindi completamente riletta alla luce di quanto ora spiegato.


“Il presidente Serraj mi ha consegnato la proposta libica di modifica del memorandum of understanding in materia migratoria. Ad una prima lettura si va in una giusta direzione, con la volontà della Libia di applicare i diritti umani”.

 

LE STORIE DEI DISGRAZIATI PER PARLARE DI ALTRO
 

Poi ci sono i Black Lives Matter Also In The Sea e i No One Should Be Left Behind (“le vite dei neri sono importanti anche in mare” e “nessuno deve restare indietro”), mantra senza senso e avulsi dalla realtà che ripetuti all’infinito distraggono completamente il lettore-cittadino europeo dalla questione di fondo.
 

Il primo mantra provoca una distorsione ottica colossale, tale per cui se qualcuno rischia la vita in mare per sfuggire alla schiavitù e alla tortura a scopo di estorsione, allora debba essere salvato dall’annegamento. Noi riteniamo che chi si trova in stato di schiavitù debba essere liberato a prescindere senza aspettare che trovi il modo di liberarsi da solo e gettarsi in mare per poi aspettare di salvarlo lì.
 

I giovani neri africani che si trovano intrappolati in Libia chiedono “evacuazione”, chiedono di essere liberati ed evacuati dalla Libia con mezzi consoni, nel caso specifico aerei. La maggioranza di loro chiede di essere liberata e riportata a casa. Per gli altri, per i 60mila richiedenti asilo presenti in Libia, occorrerà pensare ad un’evacuazione via aereo verso l’Europa. Ma sono una piccola parte rispetto ai 700mila neri africani subsahariani presenti sul suolo libico, tutti quanti ormai intrappolati da anni alla mercé delle milizie, senza poter andare avanti e senza poter andare indietro.
 

E’ questa verità che il secondo mantra cerca di coprire: “nessuno sia lasciato indietro”, quindi aprite i porti. Dove sta la relazione tra le due cose? Su 700mila neri africani subsahariani presenti in Libia solo 5mila hanno raggiunto l’Italia via mare lo scorso anno: 1/140.
 

Significa che 139/140 esattamente rimangono indietro grazie a questa tifoseria dell’aprire i porti che manca completamente di capire quale sia la realtà delle cose.
 

Forse il seguente messaggio vocale ci può aiutare meglio a capire. Ci è stato inviato da un ragazzo somalo arrestato dalle milizie lo scorso mese e trasferito nel centro di detenzione di Zintan.


Si noterà nel messaggio che la sua paura maggiore sia quella che le milizie, quelle governative per usare un ossimoro di moda in questi tempi in Libia, lo rivendano a banditi e trafficanti di uomini.


Anche questa è una prassi ormai consolidata negli anni. Lui è uno di quelli che al mare non ci arriverà mai, uno di quelli che senza un’evacuazione resterà certamente indietro finché ne ha le forze. Come lui ci sono centinaia di migliaia di giovani ragazze e ragazzi, intrappolati ormai da anni in Libia.
 

Potete ascoltare il suo messaggio a questo link:

https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/a-somali-asks-evacuation-from-libya-un-somalo-chiede-evacuazione-dalla-libia

 

"Siamo della comunità somala in Zintan. Zintan è una prigione lontana da Tripoli, circa 130 km dalla capitale. Siamo stati registrati (dall'Unhcr, ndr) 3 anni fa ormai. Perciò abbiamo bisogno di ricollocamento dalla comunità internazionale e dall'Unione Europea.

 

Come sapete, in Libia c'è un conflitto tra due parti, perciò abbiamo bisogno immediatamente di evacuazione, il più presto possibile, perché la nostra vita è molto dura. Sia per mangiare e bere è dura, non abbiamo i servizi igienici e un posto coperto. Dormiamo all'aperto, giorno e notte.
 

Pertanto, siccome siamo Somali, richiediamo a tutti i governi dell'Unione Europea di guardare ai nostri casi in modo appropriato.


La navi delle ONG lavorano con i banditi. Lavorano nel traffico di esseri umani. Trasportano i migranti in Libia verso l'Italia. Quindi abbiamo bisogno di evacuazione dalla Libia. Il mare è molto pericoloso, è molto rischioso. Sto molto male, ho un'infezione alla fistola, ho bisogno presto di un'operazione. Se l'Unhcr non viene e non lavora per noi, è pericoloso. Temiamo i banditi e i trafficanti di uomini la notte. A volte vengono di notte e si prendono i migranti che vengono venduti a loro.


Quindi abbiamo bisogno di essere evacuati presto dalla prigione. Abbiamo bisogno che l'Unione Europea o la comunità internazionale ci evacuino. Questo è un inferno (dice "paradiso" per sbaglio). Assisteteci il prima possibile. Sono in Libia da 4 anni, sono stato registrato 3 anni fa. Se l'Unhcr non lavora e non viene da noi, qualcuno è sul punto di diventare pazzo, qualcuno è pronto a morire. Quindi assisteteci il prima possibile. Per favore, abbiamo bisogno di una risposta il prima possibile".

 

I SALVATORI BIANCHI AFFEZIONATI AL LORO RUOLO


Come ci fa capire il messaggio appena ascoltato, occorre smontare pezzo a pezzo la retorica dei “salvatori bianchi”, più comunemente conosciuta come quella dei “porti aperti”. Perché se disperate sono le condizioni dei migranti stesi a terra su un ponte di una nave di salvataggio, infinitamente più disperate sono le sue condizioni in Libia.
 

E se così è, è inumano pretendere che queste persone rischino la vita su gommoni sgonfi che non sono in grado da soli di raggiungere le coste italiane ma senza tempestivo soccorso affondano senza lasciare traccia.


Questi “salvatori bianchi” stanno avallando la selezione naturale, così come inteso dalle politiche dell’Unione Europa: chi sarà salvato sarà ricollocato, gli altri…


Tutto questo pur di non mettere il naso in Libia, pur di non disturbare il governo Sarraj, pur di non dar fastidio alle milizie e pur di non capire qual è la realtà sul terreno.


La vicenda del ragazzo che riportiamo di seguito ci racconta come il ritorno delle milizie di Sarraj nelle città della Tripolitania rappresenti un fattore di spinta al suicidio in mare per i ragazzi subsahariani.


Alla prima telefonata registrata da Sorman appena caduta nelle mani delle milizie lo scorso maggio, fa seguito un messaggio vocale inviato 2 mesi dopo in cui ci parla da un capannone lungo la costa in procinto di imbarcarsi su un gommoni sgonfio, senza più alcuna alternativa.
 

Potete ascoltare la telefonata di maggio a questo link:

https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/criminals-freed-by-sarraj-in-sorman-criminali-liberati-da-sarraj-a-sorman

 

“X: Nei giorni scorsi, sai, avevo veramente il morale a terra, quindi non ti ho spedito nulla. Per via della situazione qui qualche volta mi chiudo in me stesso e ripenso a quello che sta succedendo, a cosa potrei fare.
Lascia che ti dia un esempio: quando (l’Esercito Nazionale Libico di) Haftar era qui, potevi prendere il tuo telefono, andare al lavoro. Se lavoravi con qualche Libico, questi ti riconosceva i soldi che ti spettavano, non si poteva prendere il tuo telefono e potevi tornartene a casa tua.

Ma ora non puoi portarti il telefono con te quando esci di casa, perché ti fermano, si prendono il tuo telefono, ti perquisiscono in cerca di soldi e qualche volta possono anche entrare in casa tua e prendersi tutto quello che hai: il televisore, il telefonino, i soldi. Ma prima non era così.

Non sto dicendo che le forze di Haftar siano particolarmente buone, ma penso sia giusto trovare le differenze tra di loro. Entrambe sono molto brutte.


Exodus: Sì, capisco, perché adesso hanno rilasciato diversi criminali che prima erano in prigione.


Quando (l’Esercito Nazionale Libico di) Haftar era arrivato, aveva messo in prigione questi criminali. Ma adesso, dopo che le milizie (di Sarraj) sono tornate, li hanno liberati dalle prigioni.


X: Esattamente. E queste persone sono molto pericolose. Noi ci viviamo qui in Libia, sappiamo cosa sta succedendo esattamente. Tutte queste persone, come si chiamano, questi fanatici musulmani che gridano “Allahu Akbar”, mettono le bombe e ammazzano chiunque, come si dice in Inglese?


Exodus: Terroristi?


X: Terroristi! Sono persone pericolose. Ho avuto esperienza con loro quando ero nel sud della Libia. Poi Haftar cominciò a combatterli e loro sono fuggiti e sono venuti in queste città (della costa occidentale della Libia), poi Haftar li aveva presi e messi in carcere.

Quando le milizie sono arrivate (lo scorso 13 aprile) gli hanno restituito la libertà, perché potessero combattere con loro contro Haftar, capisci?”.

 

Di seguito potete ascoltare il messaggio inviato ai primi di luglio:

https://soundcloud.com/exodus-escapefromlibya/a-south-sudanese-in-libya-has-no-other-choice-un-sud-sudanese-in-libia-non-ha-altra-scelta

 

"Per quanto riguarda la Tunisia, è abbastanza sapere, quando hai un amico in Tunisia, che è ormai lì da 3 anni per niente.


E' stato registrato dall'Unhcr, ma sta ancora aspettando per niente.


L'ho chiamato un mese fa e mi ha detto che l'Unhcr ha rifiutato la sua richiesta.


Perciò non voglio perdere il mio tempo ed andare lì.


Ci provo. Lo so che è molto pericoloso e forse perderò la mia vita, ma non ho altra scelta. E quando non hai altra scelta puoi fare qualsiasi cosa. Capisci?”.

 

Da un lato le città della Tripolitania cadute di nuovo nelle mani di milizie, trafficanti e mercenari. Dall’altra un’Europa sorda al loro bisogno di evacuazione, tanto che nemmeno la missione dell’Unhcr in Tunisia può essere considerata un’alternativa valida, dati i tempi lunghissimi di ricollocamento percepiti come una nuova trappola da evitare. Tutto questo spinge come in un imbuto nella solo alternativa che l’Europa tutta lascia aperta: la traversata sui gommoni sgonfi.


Ma le sanno queste cose i governi europei che tramano con Sarraj che proprio il suo governo è il motivo di tanta disperazione e di tante vite perse nel mare?

 

RITIRIAMO IL SOSTEGNO AL GOVERNO SARRAJ


Quali sono dunque le richieste realistiche e non di coloro che criticano gli accordi dell’Italia con la Libia? Che venga smantellata la Guardia costiera libica? Impossibile in queste condizioni.


L’Italia paga una tangente alle milizie, le ha addestrate e ha fornito loro le motovedette come contropartita rispetto al petrolio illegale che le milizie hanno garantito all’Italia negli ultimi anni. Questo perché ogni volta che un gommone viene recuperato in mare e riportato a terra, i Libici non fanno nessun favore all’Europa, lo fanno a se stessi.


Da alcuni anni ormai gli ingressi in Libia dei ragazzini subsahariani sono crollati. Se tutti partissero le milizie libiche si troverebbero senza schiavi da far lavorare e senza vittime da sottoporre a tortura a scopo di estorsione.


Pertanto bisogna aver chiara qual è la realtà delle cose.


Parlare di “esternalizzazione della frontiera” è demenziale.


Non è che l’Italia non vuole i migranti, è che l’Italia vuole il petrolio libico.


E allora protestare per questi accordi non serve a nulla, perché ancora una volta è una protesta fuori bersaglio.


Se qualcuno ha onestamente a cuore, non della giustizia nel mondo, ma almeno anche solo dei migranti intrappolati in Libia, non dovrebbe chiedere l’annullamento di tali accordi, ma dovrebbe chiedere direttamente che il governo italiano smetta di riconoscere il governo Sarraj.


In poche parole, non importa di cosa si discute, è la discussione stessa che non deve nemmeno cominciare.


Fantascienza, in questo momento. Lo sappiamo.


Ma è ciò che noi di Exodus facciamo e chiediamo a quante più persone di unirsi a noi.


Solo sciogliendo il governo Sarraj e smantellando le milizie sarà possibile immaginare un miglioramento delle condizioni dei migranti in Libia.


Non è questione di centri di detenzione, è questione di impunità generale e libero sfruttamento.


E’ questione di arrestare trafficanti e criminali in Tripolitania, cosa che stava facendo l’LNA e non piuttosto incorporare quei criminali nelle istituzioni di Tripoli come fatto negli ultimi anni (e come continua a fare il ministro degli Interni di Tripoli Fathi Bashagha, come nel caso recente del criminale vicino all’Isis Mohamed Salem Bahron promosso a capo della sezione investigativa sui traffici criminali) pensando poi che quei criminali arrestino i loro complici.


E’ questione di maneggi nelle stanze delle Nazioni Unite che hanno esautorato il precedente inviato Ghassan Salamé per spianare la strada a Stephanie Turco Williams, un falco degli Stati Uniti, grande sostenitrice delle milizie libiche, perché impedisca che il petrolio libico finisca a Paesi non NATO.


E’ questione che fintanto che noi guardiamo quei ragazzi stesi sui ponti delle navi di salvataggio e pensiamo che il problema stia tutto lì, continueremo ad abbaiare alla luna mentre qualcuno sta incendiando la casa in cui ci troviamo.

 

UN APPELLO PER CAMBIARE LA STORIA


Il tempo di un cambio di paradigma è ora, non ce n’è altro.


Facciamo un appello ad attivisti, giornalisti, opinionisti, politici, cittadine e cittadini italiani ed europei.


Exodus in quasi 2 anni ha ricostruito le dinamiche sul campo in Tripolitania con l’aiuto indispensabile di chi ha la pelle in Libia. Abbiamo passato al setaccio con la lente di ingrandimento ogni angolo del Paese e ora la realtà ci appare nuda e cruda.


Da qui in avanti, far finta di ignorare tutto ciò non sarà più considerato un’ingenuità, ma un favoreggiamento dei criminali libici in compagnia di guerrafondai europei e statunitensi, terroristi siriani e dittatori turchi.


La buona fede di chi ignora i fatti può valere fino ad un certo punto, visto che il materiale di Exodus, tutto proveniente da fonti primarie in Libia, è sistematicamente messo ai margini sia dal sistema a difesa degli interessi del petrolio e da chi dice di “salvare i migranti”.


L’ipocrisia sarà ritenuta complicità.


Per quanto non ci sia alcun tribunale oggi a pronunciarsi, sarà la Storia prima o poi a farlo, inesorabilmente.

 

STOP AL GOVERNO SARRAJ

STOP ALLE MILIZIE LIBICHE

STOP ALL’OCCUPAZIONE TURCA DELLA LIBIA

STOP AL SACCHEGGIO DEL PETROLIO LIBICO

STOP ALLA TANGENTE ITALIANA ALLA LIBIA CHIAMATA “ACCORDI”

 

RASSEGNA STAMPA MINIMA

 

https://www.spiegel.de/international/europe/libya-refugees-suffer-as-civil-war-rages-on-a-1266032.html

 

https://www.youtube.com/watch?v=kISnrX6hN8g

 

https://www.arte.tv/fr/videos/088812-000-A/exodus-voix-des-migrants-en-libye/

 

https://www.corriere.it/video-articoli/2020/04/18/libia-peggio-virus-l-appello-video-migranti-riaprite-vie-d-uscita-legali/

 

https://espresso.repubblica.it/opinioni/l-antitaliano/2019/02/20/news/saviano-prigionieri-libia-1.331844

 

https://www.internazionale.it/notizie/khalifa-abo-khraisse-2/2019/09/03/voci-migranti

 

https://ilmanifesto.it/basta-gommoni-sgonfi-serve-unevacuazione

 

https://www.avvenire.it/attualita/pagine/il-grido-degli-schiavi-in-libia-salvateci

 

https://www.welt.de/politik/plus197536357/Fluechtlinge-im-Mittelmeer-Naechste-Schiffskatastrophe-vor-Libyen.html

 

https://www.radioradicale.it/rubriche/1303/voci-dalla-libia-speciale-fortezza-italia

 

https://www.lantidiplomatico.it/dettnews-se_silvia_romano_fosse_africana_e_si_trovasse_ora_in_libia/82_34866/

 

 

 

 

LE RADIO PUNTATE DI EXODUS:

EXODUS - FUGA DALLA LIBIA
Puntata 0 (settembre '18): vimeo.com/291242947
Puntata 0.1 (ottobre '18): vimeo.com/297273950
Puntata 0.2 (novembre '18): vimeo.com/302947109
Puntata 0.3 (dicembre '18): vimeo.com/309679933
Puntata 0.4 (gennaio '19): vimeo.com/311007925
Puntata 0.5 (febbraio '19): vimeo.com/318169225
Puntata 0.6 (aprile '19): vimeo.com/328980491
Puntata 0.7 (maggio '19): vimeo.com/338450710
Puntata 0.8 (agosto '19): vimeo.com/354986030
Puntata 0.9 (gennaio '20): https://vimeo.com/384182483

"Schiavi di riserva" (35 min), documentario, presentato nel maggio 2018.

https://youtu.be/V64286Qq-9M

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