E’ cupo per l‘Italia il cielo sopra Bengasi
di Michelangelo Severgnini
Volo ITA Airways AZ8035, un volo che è già storia.
Ha volato ieri, martedì 24 giugno 2025 da Roma a Bengasi, il primo volo tra le due città dopo 13 anni.
Ben diverso quando mi recai a Bengasi nel novembre 2022. In quel caso voli diretti tra le due città non c‘erano e dovetti fare scalo a Tunisi.
Sul volo inaugurale citato invece sono saliti a bordo il Console italiano in Libia, il capo della Camera di Commercio italiana e più di 100 rappresentanti di importanti aziende italiane.
“Questo non è solo un volo, è un messaggio che la Libia è di nuovo aperta”, ha dichiarato il generale Haftar. “È il risultato di intensi colloqui con i funzionari e gli imprenditori italiani, volti a ripristinare la fiducia e a riaprire i canali economici”.
Quando tornai da Bengasi allora, dopo aver incontrato e intervistato diversi personaggi influenti a Bengasi tra cui diversi ministri, il governo italiano mi convocò per uno scambio di vedute.
Consigliai di lasciar perdere Tripoli: il petrolio non sta lì. Ma soprattutto a Tripoli stavano autorità illegittime, in carica solo per via dell’appoggio occidentale.
Era una cartuccia già sparata quella, c’era poco da ricavarci.
Cercai di usare termini accattivanti.
Sparirono.
Di quell’esperienza rimane solo un documentario: “Il cielo sopra Bengasi”, prodotto dall’emittente Byoblu che nel frattempo è sparita a sua volta e oggi non raccoglie nemmeno l’occasione per vantare di aver prodotto un lavoro che stava quasi 3 anni in anticipo rispetto all’attuale politica italiana.
Guarda il documentario: https://www.byoblu.com/2022/
Tutto bene quel che finisce bene, dunque.
Non proprio.
Per presentare il forum Italia-Libia in corso a Bengasi oggi e domani, Nicola Colicchi, Presidente della Camera di Commercio Italo-Libica, ha affermato che Bengasi è ora “l'area più stabile e dinamica della Libia”.
Non ci voleva un console per affermarlo, ci aveva già pensato l’autore del documentario citato, quasi 3 anni fa.
Lo stesso Colicchi ha poi sottolineato: "I Turchi sono ovunque, anche se i loro metodi sono più aggressivi e meno raffinati, sono visti come partner affidabili. La nostra forza è la qualità”.
Un giro di parole per non dire che “sì, ci costa ammetterlo, ma se oggi siamo ospitati a Bengasi è solo grazie alla Turchia, visto che non abbiamo voluto dare retta a Severgnini, che ce lo consigliò quando ancora la Turchia con Bengasi era in alto mare”.
La Turchia da inizio 2023 infatti ha bruciato le tappe, ha riconquistato la fiducia delle autorità di Bengasi, ha rafforzato i legami economici, politici e militari.
Gli accordi firmati lo sorso marzo tra la Leonardo e la Bayraktar turca per lo sviluppo di nuove tecnologie militari sono state la chiave per conquistare, nei limiti, la fiducia delle autorità di Bengasi. In poche parole, i Turchi ci hanno introdotto nella capitale di fatto attuale della Libia.
“È ora di smettere di seguire e iniziare a guidare”, ha aggiunto trionfalmente Colicchi.
Il problema è che non è chiaro cosa dovremmo guidare.
Anche perché il Fondo libico per lo sviluppo al quale attingeranno gli imprenditori italiani è gestito da Belgasem Haftar, uno dei figli del generale, che forzando il parlamento su pressione del padre, si è fatto finanziare il progetto per 69 miliardi di dinari libici (circa 11 miliardi di euro) per i prossimi tre anni.
In Libia tutti sanno però che quel fondo fu stanziato ancora da Muammar Gheddafi e ideatore di molti dei progetti che ora coinvolgeranno le imprese italiane fu quel Saif Gheddafi che ora è dato in testa ai sondaggi in Libia.
Il consenso intorno alla sua figura è il motivo per cui nel dicembre 2021 le elezioni in Libia furono annullate e da allora non si sono più tenute.
Va detto inoltre che nel 2011, al momento dell’aggressione della Libia, le imprese italiane erano già state incaricate di svolgere quel ruolo che oggi, 14 anni più tardi, andiamo ad elemosinare con il permesso dei Turchi.
Tuttavia la mossa di Begasem Haftar e la paternità morale di questo fondo sono contestati dalla maggioranza dei Libici. Se ci fossero elezioni, vincerebbe Saif Gheddafi che si riprenderebbe il progetto e non credo sarebbe felice di sapere che, approfittando della sua assenza forzata, qualcuno (Belgacem Haftar) si è appropriato di fondi e progetti e qualcun altro (l’Italia), ne ha beneficiato di soppiatto.
Ancora una volta l’Italia viaggia con 3 anni di ritardo rispetto alla realtà dei fatti.
Sull’onda dell’euforia ieri il presidente Meloni ha addirittura alzato il tiro: “C'è il rischio concreto che Mosca possa sfruttare l'attuale instabilità in Libia per rafforzare la propria influenza nella regione del Mediterraneo”.
E’ bastato un forum di imprenditori a Bengasi per far credere alla Meloni di poter già alzare la voce contro la Russia in Libia.
Ha pure aggiunto parlando non si sa bene di chi: “Questi gruppi criminali approfittano dell'instabilità e della fragilità istituzionale per alimentare rotte migratorie incontrollate ed economie illegali, rappresentando una minaccia diretta per la sicurezza europea”.
Solo che le milizie di cui parla la Meloni, di cui ormai nessuno sa più che farsene, le abbiamo finanziate noi per almeno una decina di anni.
Come risulta dalle dichiarazioni del ministro della difesa libico contenute nel documentario citato “Il cielo sopra Bengasi” però, la Russia è militarmente in Libia in seguito a regolari accordi con il legittimo governo, quello di Bengasi, che ha persino richiesto l'intervento militare russo, visto che giudicano occupata da stranieri una parte consistente del loro Paese, tra cui la capitale Tripoli.
Pertanto la Russia non è entrata di soppiatto in Libia, ma dalla porta principale e dietro invito degli stessi Libici. Quando? Sin dal 2014 quando mezzo Paese era controllato dall’Isis. Cos’ ha fatto l’Italia in quegli anni? Dava manforte all’Isis. Cosa faceva la Russia? Dava manforte all’Esercito nazionale libico che ha liberato la Libia dall’Isis.
Se l’Italia vuole rimettersi in pista in Libia ha una semplice mossa da fare: ritiri il sostengo a Dabaiba, il premier illegittimo di Tripoli sostenuto per anni, lo lasci in pasto al popolo e favorisca nuove elezioni. Non saremo noi i primi a beneficiarne, ma è l'unico modo per rimettersi in sintonia con il Paese Libia.
Al contrario, dopo un mese di proteste di piazza a Tripoli, il premier illegittimo Dabaiba è ancora lì, come garanzia che le elezioni non si tengano, che Saif Gheddafi non ritorni e che questa situazione si tramandi all’infinito, con la famiglia Haftar che ha sempre più ragione su istituzioni legittime ma obsolete a Bengasi che non si rinnovano dal lontano 2014, data delle ultime elezioni tenute in Libia.
Anzi, proprio ieri, l’inviato speciale della missione in Libia delle Nazioni Unite, l’UNSMIL, Anna Tetteh, ha lanciato una nuova roadmap per la Libia. Di roadmap per la Libia l’UNSMIL ne ha già annunciate a decine dal settembre 2011, quando è stata istituita come organo coloniale per gestire il protettorato occidentale su Tripoli.
Subito le proteste che riempiono le strade di Tripoli, ieri, dopo questo annuncio, si sono precipitate sotto al palazzo dell’UNSMIL. La pazienza dei Libici è colma.
Questa roadmap, così come le altre, serve solo ad interferire nelle vicende interne libiche, impedire le elezioni e mantenere la presa su un Paese che non vede l’ora di eleggere Saif Gheddafi proprio presidente.
Anna Tetteh, come i suoi predecessori, si frappone tra la democrazia e la volontà popolare libica.
L’Italia ha capito che bloccare le elezioni fa comodo anche a Khalifa Haftar, il padre, il quale nel frattempo ha facile gioco a spianare la strada ai propri figli.
Perciò l’Italia vuole fare affari con Bengasi, ma continuare a riconoscere Tripoli per bloccare le elezioni in Libia (facendo così un favore a Haftar).
La famiglia Haftar ringrazia. Pure il premier illegittimo Dabaiba a Tripoli ringrazia. Ringraziano a loro volta le milizie di Tripoli che ritardano la loro fine.
Chi non si scorderà di queste mosse dell’Italia invece è il popolo libico.
Dopo aver foraggiato per anni i peggiori criminali, oggi l’Italia firma contratti con chi a quei criminali oggi in Libia vuole sostituirsi.
Può anche darsi che Saif Gheddafi non sarà mai eletto presidente della Libia.
Ma se giustizia divina esiste, il decennio italiano in Libia nei libri di storia un giorno verrà presentato come l’esperienza coloniale più cialtrona di sempre, mentre il mondo ormai già si dirige a vele spiegate verso il mondo multipolare.