Il Teatro delle Ombre arriva a Teheran (seconda parte)
di Giuseppe Masala per l'AntiDiplomatico
Nella prima parte di questo articolo abbiamo sostenuto la tesi che dietro il casus belli dello sviluppo nucleare a fini militari (più presunto che vero) portato avanti dall'Iran vi siano ben altre motivazioni dietro l'attacco israeliano alla repubblica islamica dell'Iran.
Se si riflette a fondo, provando a documentarsi, ci si rende peraltro conto, che dietro i due contendenti si nasconde un incredibile groviglio di interessi di varia natura; geostrategici, energetici, economici e perfino monetari. Interessi che non sono inerenti ad Israele e all'Iran ma che toccano potentemente gli equilibri tra le grandi potenze mondiali. Non solo, questa incredibile partita si sta svolgendo in un contesto di eterogeneità etnica e religiosa che caratterizza in maniera peculiare queste terre: ben difficilmente al mondo si può trovare un quadrante dove convivono musulmani sunniti e sciiti, yazidi e zoroastriani, curdi e beluchi, yemeniti e azeri e molte altre popolazioni ancora. Noteremo, in questa analisi, che anche questo incredibile mosaico etnico-religioso gioca un ruolo fondamentale nella partita geopolitica in corso.
Un contesto etnico-religioso ben conosciuto dagli storici russi e britannici che, non a caso, per definire la guerra non dichiarata tra Impero Britannico e Impero Russo in questa parte di mondo svoltasi nell'800, coniarono il termine di Teatro delle Ombre (in inglese “Tournament of Shadows“ ) proprio per caratterizzare una lotta dove era difficile discernere i reali interessi e i fronti che si contrapponevano; ciò proprio a causa dell'incredibile mosaico etnico-religioso e politico che era il contesto nel quale si svolgeva la lotta occulta tra le due grandi potenze.
Ricordiamo inoltre che l'Iran è il depositario di interessi geostrategici ed economici di primaria importanza essendo a Nord la porta d'accesso per il Caucaso e per l'Asia centrale ex sovietica, ad Est è la porta d'accesso per la valle dell'Indo e per la sua plurimillenaria cultura. Sempre a Est l'Iran domina lo Stretto di Hormuz, ovvero la giugulare energetica del mondo con il suo 25% di flusso di petrolio sul totale mondiale. A Ovest poi, l'Iran è la porta d'accesso per il Mediterraneo, sia attraverso la Turchia che attraverso la “mezzaluna sciita” che parte nell'Iran occidentale e arriva fino a Latakia, sulle rive del Mediterraneo. Infine a Sud, dove l'Iran, attraverso le pianure mesopotamiche e lo stretto braccio di mare del Golfo Persico, è ad un passo dalle ricche petromonarchie del Golfo e il Regno Saudita. Come si può vedere, una posizione cruciale che non può non attirare l'attenzione delle grandi potenze sia per avere Teheran come alleato o, eventualmente, per fomentare un cambio di regime qualora questo vasto e plurimillenario impero fosse retto da un governo ostile.
E proprio dagli alleati e degli avversar di Teheran ora parleremo per riuscire così a riconoscere gli interessi nascosti che muovono realmente il Teatro delle Ombre dell'Asia Centrale e del Medio Oriente.
La Russia e il suo partenariato naturale con l'Iran
I rapporti tra Russia e Iran nell'ultimo secolo sono stati notevolmente complessi innanzitutto a causa della svolta ideologica del 1917 avvenuta con la Rivoluzione d'Ottobre. E' chiaro che una nazione comunista non poteva piacere a un impero retto da un sovrano sostanzialmente assoluto come lo Scià. Infatti durante il governo di Reza Palevi l'Iran rimase fortemente ancorato all'Occidente e sostanzialmente ostile all'impero comunista con il quale confinava a nord. Con l'avvento della rivoluzione islamica guidata dall'Ayatollah Khomeini si verificò una violenta rottura tra Iran e Occidente, ma ciò non significò un avvicinamento all'URSS. Del resto era evidente il forte conflitto ideologico tra una repubblica teocratica fondata sull'Islam e una repubblica fondata (anche) sull'ateismo di stato. Si avviò infine avviata una lenta distensione dovuta al crollo dell'URSS; del resto la Russia e l'Iran si “completano” a vicenda. Teheran è la fondamentale barriera che evita il dilagare dell'integralismo islamico nell'Asia centrale ex sovietico, vero ventre molle della Russia (come sanno bene gli inglesi). Dal punto di vista iraniano, invece la Russia è quel naturale retroterra in grado di dare profondità strategica al paese nel caso in cui subisca un attacco. Inoltre la Russia è un formidabile partner tecnologico, militare, economico e diplomatico. Considerazioni che, alla lunga, hanno portato Teheran e Mosca a firmare un Trattato di partenariato strategico e spinto, inoltre, l'Iran ad entrare a pieno titolo nei BRICS.
Il Partenariato economico con l'Impero Celeste
I rapporti tra Iran e Cina sono relativamente recenti e fondati sostanzialmente sull'interscambio economico. La Cina garantisce rilevanti investimenti in infrastrutture grazie ad un Trattato di Partenariato Strategico del 2021, che prevede investimenti in Iran per 400 miliardi di dollari in 25 anni. Rilevante anche l'interscambio commerciale che nel 2024 ha raggiunto i 13,5 miliardi di dollari. Una cifra non certo enorme per la Cina ma vera manna dal cielo per Teheran che ormai da decenni è colpita dalle sanzioni occidentali. Dunque non è sbagliato dire che i rapporti commerciali tra Iran e Cina sono fondamentali per il primo ma non per il secondo. E' comunque fondamentale rilevare come Teheran può mettere a disposizione della Cina una posizione geostrategica importantissima per Pechino perchè consente di rompere l'assedio che gli USA stanno organizzando ai suoi danni per riuscire a contenere la sua crescita travolgente.
I turcomanni
Con il termine turcomanni intendiamo tutti quei popoli centroasiatici parlanti una lingua di ceppo turco. Quindi si tratta di paesi con forti legami linguistici e culturali con la Turchia stessa e che infatti sono riuniti nel cosiddetto Consiglio Turco (TurkPA), ma intendiamo anche quei piccoli popoli che non hanno uno stato nazionale come per esempio gli azeri che vivono in Iran. Il perché debbano essere considerati dei protagonisti fondamentali (sebbene occulti) della crisi in corso è dato dal fatto che i due paesi leader dei turcomanni sono la Turchia di Erdogan, paese Nato e l'Azerbaijan solido alleato di Israele. Si rincorrono infatti sempre più forti le voci che la rete spionistico-terroristica inoculata dal Mossad in Iran, che si è resa responsabile, in questi giorni, di clamorosi attentati destabilizzanti sia ai vertici militari di Teheran che agli scienziati iraniani impegnati nel programma nucleare, abbia goduto del fattivo sostegno delle popolazioni iraniane di etnia azera. Così come non si sono mai sopite le voci che lo strano incidente aereo nel quale perse la vita il presidente iraniano Raisi nel maggio del 2024, fosse in realtà un attentato ordito dal Mossad con la fattiva collaborazione degli azeri.
Sospetti certo, ma ora ampiamente avvalorati dal fatto che sappiamo esiste una rete di agenti terroristi del Mossad in Iran! Inoltre non si può escludere che gli aerei spia della Nato che volano sui cieli turchi diano le proprie rilevazioni a Tel Aviv, anche se, per ovvie ragioni ciò non sarà mai ammesso. Insomma, il mondo turcomanno sta molto probabilmente (Teheran ne è convinta) giocando un ruolo a supporto di Israele davvero importante in questa crisi. Da tener conto che queste azioni sono molto pericolose per l'Europa e per l'Italia: la Turchia è parte integrante della Nato e, conseguentemente, un'azione di rappresaglia iraniana contro Ankara rischierebbe di allargare il conflitto fino all'intera Nato.
I piccoli popoli: Beluci e Curdi
E' molto importante tenere in considerazione che, nel Teatro delle Ombre mediorientali e centroasiatiche, i piccoli popoli senza patria come curdi e i beluci non possono giocare alcun ruolo rilevante - almeno sul piano delle decisioni strategiche - ma possono essere utilizzati (e se necessario sacrificati) dalle grandi potenze per consentire la realizzazione di un disegno più vasto, esattamente come accade ai pedoni in una scacchiera.
Precisamente intendiamo dire, che in uno scenario di balcanizzazione dell'Iran e dunque della sua fratturazione per linee etniche e religiose - esattamente come è stato fatto negli anni 90 del secolo scorso con la Jugoslavia - piccoli popoli in cerca di uno stato, come i curdi e i beluci, potrebbero essere utilissimi. A tale proposito molto interessanti le dichiarazioni del leader dell'organizzazione curda Partito della Libertà in Iran, Hossein Yazdanpanah, che ha esternato dalla città irachena di Erbil il suo appoggio agli attacchi israeliani e la sua disponibilità a prendere parte ad un eventuale attacco di terra contro la Repubblica islamica iraniana. Per quanto riguarda il Belucistan si intendono quelle terre divise tra il Pakistan e l'Iran fin dall'epoca dell'impero britannico. Le ambizioni di costituire un proprio stato indipendente da parte del popolo beluci sono note da tempo; infatti esistono anche qui delle formazioni che lottano per raggiungere questo obbiettivo come l’Esercito di liberazione del Belucistan (Bla). Peraltro, da tempo, l'occidente collettivo sostiene queste formazioni non solo in funzione anti Teheran (a cui sono contestate le solite violazioni dei diritti umani) ma anche in funzione anticinese, visto che i beluci si oppongono alla realizzazione del corridoio economico Cina-Pakistan che va dallo Xinjiang fino al porto di Gwadar, che si trova proprio in Belucistan.
Le Petromonarchie del Golfo
Per comprendere le ragioni reali del conflitto (o almeno una parte di esse) è importante osservare le politiche delle petromonarchie della penisola arabica. Si tratta di paesi fondamentali nell'equilibrio tra potenze del mondo intero sia perchè supremi garanti dell'offerta energetica (e della stabilità dei prezzi), sia perchè perno fondamentale dello status del dollaro come valuta degli scambi internazionali grazie al meccanismo del petrodollaro.
In questa fase storica la politica di questi paesi, che ricordiamo sono l'Arabia Saudita, il Qatar, il Bahrain, gli Emirati Arabi Uniti e l'Oman, si sono sostanziate in un netto riavvicinamento all'Iran. In particolare, è da notare, il ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Teheran e Riyad grazie al lavoro di mediazione svolto dalla Cina. E proprio qui sta il punto, la Cina è fortemente penetrata in questi paesi, in qualche modo anche minacciando il dominio del Dollaro. Basti ricordarsi che il petrolio saudita esportato a Pechino viene pagato in yuan e Riyad si impegna a reinvestirli sempre in Cina replicando (anche se in scala molto minore) il meccanismo del petrodollaro. Certo, furbamente i paesi del Golfo non hanno mai fatto mancare il sostegno politico, finanziario e commerciale al loro grande alleato americano; basti pensare all'ultima visita di Trump nella quale sono stati firmati contratti d'oro per l'acquisto di armi, aerei civili, investimenti tecnologici e finanziari. Certo si tratta di risorse e di acquisti spalmati in circa 10 anni e le cose possono cambiare con il tempo, ma si sa gli arabi sono mercanti per cultura. Infatti, a dimostrazione dell'astuzia degli emiri, immediatamente dopo la visita di Trump, il Gulf Cooperation Council che riunisce le petromonarchie del golfo ha partecipato, a Kuala Lampur in Malesia, al vertice trilaterale con i paesi ASEAN e con la Cina. Il tema fondamentale trattato in questo summit (di cui in occidente si è parlato poco) è l'apertura delle economie dell'area asiatica, del golfo persico e della Cina con la finalità di contrastare le politiche protezioniste degli Stati Uniti di Trump. Insomma, gli emiri da un lato si sperticano in ossequianti cerimonie di benvenuto al Tycoon newyorkese, firmano accordi e contratti d'oro con gli USA ma poi - dall'altro lato – fanno affari e stringono strettissimi rapporti politici con il massimo avversario strategico di Washington, ovvero la Cina e per di più con la finalità di contrastare le politiche protezioniste imposte dallo stesso Trump!
Insomma, siamo di fronte ad un esercizio, da parte dei petromonarchi del Golfo, di straordinaria doppiezza che - ad avviso di chi scrive - è stata l'ultimo affronto che ha spinto il vero Dominus del Teatro delle Ombre, gli Stati Uniti, a rompere gli indugi e ad ordinare al suo “cane da guerra” di Tel Aviv di attaccare l'Iran con l'intento anche di destabilizzare l'area circostanza e dare una lezione tacita agli emiri.
L'Impero del Caos a Stelle e Strisce, vero Dominus del Teatro delle Ombre.
Come già è stato detto, solo degli ingenui possono credere, che un simile rischiosissimo conflitto con l'Iran possa essere innescato da Israele senza l'esplicito avallo del suo più potente alleato: gli Stati Uniti. E questa logicamente è l'ipotesi minimale e anche quella più ingenua accettabile; molto più probabilmente sono stati gli USA ad ordinare l'attacco così da conseguire diversi obbiettivi strategici.
Ricordiamo innanzitutto che gli USA sono in una situazione tragica dal punto di vista finanziario. La posizione finanziaria netta ha superato la cifra siderale di – 26000 miliardi di dollari. Dunque il paese è totalmente dipendente dai capitali esteri che, qualora venissero a mancare porterebbero il sistema finanziario USA al collasso o, in alternativa, sgretolerebbero il valore del dollaro. Non solo, anche il primato tecnologico americano è ormai insidiato dalla poderosa crescita cinese sul piano tecnologico. Sul piano industriale inutile anche parlare: gli USA con l'apertura dei mercati di inizio anni 90 si sono visti letteralmente polverizzare il loro tessuto industriale, E' evidente come l'egemonia di Washington sul mondo è messa a repentaglio.
In una simile situazione alla Casa Bianca si sono giocati la carta disperata del conflitto contando sulla loro presunta superiorità militare. La strategia utilizzata, peraltro, ha oscillato tra due diverse posizioni: la cosiddetta “Dottrina Brezinski” che prevede di muovere guerra alla Russia così poi da circondare la Cina e costringerla a trattare da una posizione di inferiorità o a soccombere in un conflitto impari e la “Dottrina Kissinger” che prevede di trattare con la Russia così da ottenere di circondare la Cina e costringerla alla resa. Va sottolineato che, la “Dottrina Brezinski” è quella maggiormente in voga tra i Democratici e i Neocons mentre la “Dottrina Kissinger” è generalmente sostenuta dai repubblicani specialmente del fronte “MAGA”. E proprio in relazione alle scelte di Trump si è svolto nelle scorse settimane uno dei passaggi cruciali che ha dato il via alla pericolosissima crisi mediorientale.
I Neocons prendono il potere a Washington
“All the world’s a stage...and have a backstage too” si potrebbe dire, “Tutto il mondo è un palcoscenico...ma ha anche un retroscena”. SI potrebbe usare questa espressione per descrivere i cruciali fatti accaduti nelle scorse settimane a Washington. Si è trattato di una lotta per il potere che ha visto scontrarsi l'ala dell'amministrazione Trump più legata agli ambienti neocons e, dall'altro lato della barricata, gli outsiders "filo Trump", i cosiddetti "MAGA". Abbiamo visto come è andata a finire: il Consigliere per la sicurezza nazionale Mike Waltz è stato fatto dimettere con la scusa del cosiddetto SignalGate ovvero la condivisione in una chat Signal di documenti riservati posta in essere da alcuni componenti dell'amministrazione Trump tra i quali appunto Waltz. Poi è stato il turno del MAGA più importante, Elon Musk, costretto alle dimissioni, peraltro con un occhio nero, si dice, dopo uno scontro fisico con il Segretario al Tesoro Scott Bessent. Ora si rincorrono le voci di una prossima sostituzione del Segretario alla Difesa Hegseth sempre con la scusa del SignalGate. In una parola, gli uomini del Presidente, i MAGA, sono stati sbaragliati. Manca solo Tulsi Gabbard comunque già ampiamente sconfessata e delegittimata dallo stesso Trump a causa delle sue dichiarazioni, rilasciate anche al Congresso, che smentivano la circostanza che l'Iran stesse lavorando alla costruzione di armi atomiche. Da questa furibonda lotta dunque, l'ala istituzionale dell'Amministrazione, legata ai Neocons e capeggiata dal Segretario di Stato Mark Rubio, è uscita vincitrice diventando completamente padrona del campo.
Anche simbolicamente le cose sono cambiate. Trump non va più da qualche settimana a Mar a Lago, in Florida, dove stanzia la sua Corte dei Miracoli e dove anche Elon Musk aveva preso un appartamento "per stare vicino al Presidente". Ora Trump va a Camp David, come tutti i presidenti americani; ciò significa che è sotto custodia, 24 ore su 24 e 7 giorni su 7 dallo stato profondo USA, dai servizi segreti al corpo diplomatico ai militari. Peraltro a Camp David ci va "scortato" proprio da Mark Rubio giusto per chiarire chi è che lo marca stretto.
Da notare che questa lotta politica è stata completamente oscurata, nella sua fase più cruenta, da una serie di folli retate - ordinate dal governo federale a Los Angeles - contro i clandestini. Un gesto scellerato e privo di senso, oltre che molto pericoloso data l'enorme quantità di ispanici presente in California. Infatti, immediatamente nella “città degli angeli” si sono verificati violenti scontri tra la polizia e l'esercito (mandato dalla Casa Bianca) e i manifestanti filo immigrati. Una situazione questa che si è immediatamente dissolta - come una bolla di sapone - appena a Washington si è dimesso Musk e che ora, dopo l'attacco israeliano all'Iran è completamente dimenticata, nonostante per circa una settimana avesse monopolizzato il mainstream informativo occidentale che si era spinto anche a ipotizzare scenari degni di un kolossal di Hollywood che addirittura ipotizzavano un prossimo conflitto interno: “American Civil War”!
Non sembra azzardato supporre che, in realtà, l'azione di andare a fare retate di latinos a Los Angeles sia stata un'abile mossa realizzata secondo le teorie comunicative agenda-setting, ossia quelle tecniche che tendono ad oscurare una notizia “creandone” un'altra a tavolino.
Una volta fatta sostanziale piazza pulita dei recalcitranti MAGA il piano dei Neocon di bombardare l'Iran usando il Casus Belli del presunto sviluppo nucleare militare posto in essere dall'Iran e soprattutto usando, come sicario il più feroce “cane da guerra” degli USA, l'Israele di Bibi Netanyahu.
Ma quali sono i reali obbiettivi che Washington vuole raggiungere con una operazione così rischiosa come quella di “concedere” (sarebbe più giusto dire imporre) ad Israele l'opportunità di bombardare l'Iran?
Una guerra due obbiettivi: il modello ucraino arriva in Medio Oriente
In più di una circostanza abbiamo scritto sulle colonne de L'Antidiplomatico che la guerra in Ucraina era dal punto di vista americano un conflitto con una doppia finalità, la prima palese e la seconda occulta. L'obbiettivo palese – in ossequio alla dottrina Brezinski – è quello di sfiancare la Russia in una lunghissima guerra d'attrito; per ottenere questo risultato si è usato il popolo ucraino come testa d'ariete pronta a sacrificarsi a fronte di un flusso costante di armi occidentali e di - probabilmente - vane promesse di una futura entrata di Kiev nei club dell'Europa occidentale: l'Alleanza Atlantica e l'Unione Europea.
Ma oltre a queste finalità palesi ve ne è un'altra che sebbene sia occulta Washington l'ha perseguita con ferrea volontà: la distruzione della competitività dell'industria europea e il possibile trasferimento oltre Atlantico di buona parte dell'apparato industriale del Vecchio Continente. Prima sono state imposte sanzioni feroci contro la Russia che hanno chiuso l'afflusso di buona parte delle commodities a basso costo provenienti dal paese euroasiatico. Poi è stato fatto saltare in aria il gasdotto Northstream interrompendo l'afflusso di gas per la produzione di energia della Germania, vero motore della produzione europea. Infine, le sanzioni all'export hanno chiuso alle aziende europee (fulmineamente sostituite dalle aziende cinesi) un mercato di sbocco grande e redditizio come quello russo. Se gli americani volevano colpire l'Europa per la sua concorrenza sleale nei confronti dell'industria americana, il risultato è stato colto in pieno. Peraltro gli americani non si sono neanche mai neanche affannati a negare più di tanto questo obbiettivo visto che non hanno mai perso l'occasione di definire l'Europa un free rider.
Allo stesso modo del conflitto ucraino, anche nel conflitto esploso in Medio Oriente si ravvisano – dal punto di vista americano – due piani di obbiettivi, alcuni palesi e altri occulti.
Per quanto riguarda gli obbiettivi palesi vi è, senza dubbio, quello di provocare o un regime change a Teheran con la presa del potere di una nuova élite più vicina all'Occidente. Oppure, in un altro scenario, certamente più complesso ma non da escludere a priori, una frattura per linee etniche dell'Iran creando delle statualità indipendenti nei territori dove vivono importanti minoranze etniche come per esempio i curdi e i beluci. Realizzando uno di questi due scenari gli USA ottengono che la Russia perda la sua proiezione verso il Golfo Persico, e soprattutto perda la muraglia iraniana che evita la penetrazione degli occidentali nell'Asia centrale ex sovietica (Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan e Kirghizistan). Una entrata che magari potrebbe verificarsi con le solite ONG diritto umanitarie, peraltro già attivamente impegnate in loco, ma anche con il terrorismo whaabita. E' stata la stessa Hillary Clinton a definire l'ISIS un asset del Dipartimento di Stato USA; qualora questo asset fosse utilizzato in Asia Centrale la destabilizzazione avvenuta tra la fine degli anni 90 e l'inizio del 2000 nel Caucaso russo apparirebbe come uno scherzetto. Peraltro è da notare che appena prima dello scoppio della guerra ucraina, gli occidentali tentarono una rivoluzione colorata in Kazakistan. Una rivoluzione colorata quest,a sventata con una brillante operazione dell'esercito russo che ha inviato truppe per proteggere le istituzioni del paese ma che comunque da il segno di come il centro Asia sia il vero ventre molle della Russia e che se venisse stabilizzato ai livelli di quanto è accaduto in Ucraina con il Majdan per la Russia sarebbero guai perchè esporrebbe anche la Siberia al rischio di destabilizzazione.
Peraltro, è da notare che le potenze occidentali non hanno di certo smesso di lavorare per penetrare anche nelle istituzioni e negli apparati dei paesi dell'Asia Centrale: per esempio è proprio dei primi di Giugno la firma di un partenariato militare tra Kazakistan e Gran Bretagna che avrà al centro la formazione di ufficiali kazaki nelle accademie militari britanniche. Inutile dire che i servizi inglesi avranno molto materiale umano su cui lavorare.
Che l'Asia Centrale e il Kazakistan siano stati individuati come il ventre molle della Russia e l'area fondamentale attraverso la quale si può mettere in seria difficoltà Mosca non è solo chi scrive a sostenerlo, ma un fatto ampiamente sottolineato dai più importanti think tank occidentali come la britannica Chatham House e da importanti commentatori come quelli di The National Interest i quali sostengono che Russia e Cina stanno tentando di cambiare l'ordine internazionale sorto dalla fine della guerra fredda e che per evitare questo gli occidentali hanno, appunto, bisogno di partner affidabili (leggi “ubbidienti vassalli”) che si facciano utilizzare come rampa di lancio per destabilizzare il sud della Russia esattamente come ha accettato di fare l'Ucraina a partire dalla rivoluzione di Majdan. L'importanza dell'Iran per realizzare la strategia di penetrazione nell'Asia centrale è talmente evidente che basta guardare una cartina geografica. L'ideale, è ovvio, per l'occidente sarebbe un cambio di regime a Teheran che consenta ai servizi occidentali di operare ma anche una cottura a fuoco lento come quella dispensata alla Jugoslavia potrebbe essere accettabile per le cancellerie occidentali.
Ma oltre alla volontà di mettere in difficoltà la Russia il conflitto imbastito dagli USA contro l'Iran ha anche un piano più occulto di obbiettivi. Innanzitutto quello di troncare le gambe alla Via della Seta cinese, ovvero l'enorme piano infrastrutturale che sta finanziando Pechino per collegarsi i mercati di sbocco del proprio enorme apparato produttivo oltre che per legare a sé – grazie agli investimenti – anche i governi dei paesi che ne sono beneficiari. L'Iran della Via della Seta è tassello essenziale, infatti è beneficiario di enormi investimenti cinesi tra i quali quelli relativi alla costruzione di una ferrovia che collega Yiwu (Cina) a Qom (Iran) che è stata appena inaugurata. Bisogna sottolineare che la Cina grazie agli investimenti in Iran riesce a beneficiare di enormi vantaggi politici e geostrategici: la sua potenza infatti si proietta in maniera efficace – grazie al pivot iraniano – fino al Golfo Persico ed è proprio grazie a ciò che Pechino riesce ad insidiare la relazione speciale esistente tra Washington e Riyad suggellata – come sappiamo bene – dai petrodollari. L'obbiettivo segreto - e ad alto tasso strategico per gli USA - del conflitto mediorientale in corso dunque è la volontà di respingere la Cina dal Golfo Persico ed evitare dunque che stringa rapporti politici e commerciali troppo forti con le petromonarchie. In questo momento, infatti l'uscita (anche se lenta, anche se freddamente calcolata) dei ricchi paesi del Golfo dall'orbita statunitense sarebbe un rischio mortale per Washington e per la sua egemonia mondiale. Non esiste dollaro senza petrodollaro, e dunque senza petrodollaro non esiste Impero americano, questo è l'assioma che a Washington conoscono più di qualunque altro.
Il bombardamento USA dell'Iran e il successivo cessate il fuoco
Con la presa del potere a Washington da parte della fazione neocon tutto era pronto – sul piano politico e militare - per iniziare i bombardamenti delle facility iraniane indicate dagli analisti occidentali come i luoghi dove gli iraniani arricchiscono il loro uranio.
Una operazione anticipata da una settimana di bombardamenti di ammorbidimento operata dai fedeli sicari di Tel Aviv e che è partita la notte tra il 21 e il 22 di Giugno quando gli USA realizzano l'attacco combinato dall'aria e dal mare ai siti nucleari iraniani: 6 bombardieri B-2 hanno sganciato 12 bombe bunker buster GBU-57 sul sito iraniano di Fordow. I sottomarini della Marina hanno lanciato 30 missili Tomahawk su Natanz e Isfahan. A distanza di qualche ora gli iraniani replicano con un forte attacco missilistico su Israele e soprattutto, le dichiarazioni provenienti da Teheran, a partire da quelle del Ministro degli Esteri respingono l'ultima proposta fatta da Trump durante il suo discorso alla nazione con la quale veniva annunciata l'operazione militare americana in Iran. Trump ha sostanzialmente chiesto l'accettazione dell'opzione arricchimento zero dell'uranio che a Teheran però è stata letta – a maggior ragione dopo il bombardamento – come una inaccettabile richiesta di capitolazione.
Dopo giornate cariche di tensione dove si sono verificati violentissimi scambi missilistici tra Israele e Iran, e in un caso un attacco iraniano alla base americana di Al-Udeid in Qatar, è stato infine annunciato uno un cessate il fuoco tra Teheran e Israele.
Dunque un conflitto che (momentaneamente) si spegne in sostanziale pareggio? Crediamo si possa dire tranquillamente di no, innanzitutto perchè il “pareggio”, semmai ci fosse stato, mina la deterrenza israeliana nell'area che si fonda sull'assoluta superiorità tecnologica e militare di Tel Aviv. L'Iron Dome, il tanto decantato scudo antimissile israeliano, è stato miseramente bucato infliggendo pesanti danni agli israeliani. Non solo, la spettacolare (e illegale per il diritto internazionale) operazione di decapitazione dello stato iraniano tramite omicidi mirati posti in essere da cellule dormienti del Mossad (per qualsiasi paese si userebbe il termine di cellule terroriste) è miseramente fallito: lo stato iraniano ha resistito e non è imploso su se stesso nonostante la morte di decine di alti dignitari militari, politici e del mondo accademico.
Ma queste considerazioni sono comunque di contorno rispetto alla reale posta in gioco. Sotto questo piano più occulto possiamo parlare di sconfitta storica di Israele, degli USA e di tutto l'Occidente allargato. Se l'obbiettivo reale era abbattare la repubblica iraniana per sostituirla con un regime fantoccio degli occidentali l'operazione è completamente fallita. E anzi, l'alleanza tra Iran e Russia e Cina si rafforza e con essa la proiezione di potenza militare e commerciale nel Golfo Persico di Mosca e Pechino ne esce amplificata. Basti pensare che fino all'inizio dei bombardamenti israeliani il parlamento di Teheran non aveva ratificato il partenariato strategico tra Russia e Iran che ora è – invece – pienamente operativo anche dal punto di vista militare e di intelligenze. Per quanto riguarda invece il partenariato economico tra Iran e Cina è ovvio che continui, considerato che il regime di Teheran che lo ha firmato è sopravvissuto all'assalto occidentale. Dunque gli investimenti in Iran della Cina continueranno e con essi anche l'influenza in tutta l'area del Golfo Persico.
Al netto dei grandi proclami che arrivano da Washington, stiamo assistendo alla più netta sconfitta dell'Occidente Allargato in quest'area di mondo decisiva per gli equilibri mondiali. Nel Teatro delle Ombre tutto è possibile: anche che coloro che hanno perso si proclamino vincitori.