Italia, presto il welfare resterà senza risorse economiche

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Italia, presto il welfare resterà senza risorse economiche

 

di Federico Giusti

"A giugno 2025, su base mensile, la crescita di occupati e inattivi si associa al calo dei disoccupati."

Sono queste le parole utilizzate dall’ Istat nella rilevazione ultima pubblicata poche ore or sono. Lascia il tempo che trova scatenare l’ennesima e sterile polemica sui dati, è prassi del Governo Meloni, come molti dei suoi predecessori, riprendere solo parte dei dati evitando una analisi obiettiva della realtà economica e sociale. Dal mondo politico, nel quale esistono poche certezze a partire dal fatto che la campagna elettorale è perenne e ogni uscita pubblica è strumento di propaganda per magnificare il proprio operato, pretendere lungimiranza e chiarezza è una mera perdita di tempo. E forse sarebbero maturi i tempi per uno sforzo collettivo: dare vita a un centro studi capaci di rilevazioni statistiche aggiornate per fornire analisi oggettive della realtà e non suscettibili di letture parziali e progandistiche.

Fino ad oggi la narrazione governativa ha seguito il solito copione: siamo il paese che sta meglio nella Ue presentando ottimi dati economici, la realtà racconta ben altro ossia che non cresciamo e per quanto i risultati siano migliori di quelli della Germania non abbiamo all’orizzonte il pacchetto di investimenti pubblici tedesco (solo per il prossimo anno sono previsti 126,7 miliardi ).

Siamo davanti a un vistoso calo di industria, servizi e agricoltura, anche le ore lavorate sono in flessione, le esportazioni verso gli Usa a detta del governo risulterebbero in continua espansione ma tanto ottimismo stride con l’applicazione dei dazi al 15 per cento per non parlare poi dell’export verso l’Asia in crisi e vistosa perdita.

Proviamo allora a porci quelle domande che in realtà dovrebbero essere indirizzate al Governo

  • Alla luce dei dazi e degli ultimi dati è confermata la crescita del Pil dello 0,6% previsto dall’ultimo Documento di finanza pubblica?
  • I dazi al 15% per le esportazioni verso gli Usa colpiranno alcuni settori abbattendone il fatturato e con possibili ripercussioni negative sull’occupazione . Se alcuni economisti parlano del calo di mezzo punto del Pil a causa dei dazi, il ministro Giorgetti potrà ancora mostrare il consueto ottimismo?
  • E’ forse possibile ipotizzare una economia italiana in salute quando altri paesi europei evidenziano risultati negativi? E tutti i paesi Ue non sono poi nell’area Euro e indistintamente subiscono la dittatura monetaria del dollaro?
  • Al di là della performance dei singoli paesi la Ue è lontana dai risultati economici degli Usa e la distanza tra le due economie si acuisce

Veniamo infine ad altri numeri presenti nelle recenti rilevazioni Istat.

L’aumento degli occupati è pari a poche migliaia di unità  (+0,1%, pari a +16mila unità) ma non riguarda la fascia di età maggiormente attiva che va dai 35 ai 50 anni, un elemento preoccupante come la tendenza di offrire posti di lavoro a chi ha superato i 50 anni e risulta già formato e in grado di svolgere dei compiti in autonomia.  Una economia in salute potrà affidarsi al lavoro dei cinquantenni?

Come nel passato il calo delle persone in cerca di lavoro (-4,2%, pari a -71mila unità) potrebbe essere spiegato anche con la rinuncia di moltie a inviare domande di assunzione e curriculum ad aziende, al contempo si registra la crescita degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (+0,6%, pari a +69mila unità)

I dati sono controversi, tuttavia, a giugno 2025, il numero di occupati supera quello di giugno 2024 dell’1,5% (+363mila unità) ma questi numeri sono resi possibili dalla offerta di lavoro agli over 50.

E solo poche settimane fa l’Istat  sintetizzava i risultati di un’altra ricerca statistica. Sarà il caso di leggere le conclusioni per capire come gli stessi dati siano non solo controversi ma passibili di letture discordanti e tali da scatenare l’ottimismo meloniano sullo stato di salute del nostro paese e della sua economia.

https://www.istat.it/comunicato-stampa/il-mercato-del-lavoro-i-trimestre-2025/

Il numero di occupati aumenta di 141 mila unità (+0,6%) rispetto al quarto trimestre 2024, a seguito della crescita dei dipendenti a tempo indeterminato (+143 mila, +0,9%) e degli indipendenti (+18 mila, +0,3%) che ha più che compensato la diminuzione dei dipendenti a termine (-20 mila, -0,8%); aumenta anche il numero di disoccupati (+16 mila, +1,0% in tre mesi), mentre diminuisce quello degli inattivi di 15-64 anni (-157 mila, -1,3%). Tale dinamica si riflette nell’aumento del tasso di occupazione che sale al 62,7% (+0,4 punti in tre mesi), nella stabilità di quello di disoccupazione, invariato al 6,1%, e nel calo del tasso di inattività che scende al 33,1% (-0,4 punti). Nei dati provvisori di aprile 2025, rispetto al mese precedente, la stabilità del numero di occupati e del relativo tasso si associa alla diminuzione del tasso di disoccupazione (-0,2 punti) e al lieve aumento di quello di inattività 15-64 anni (+0,1 punti).

Nel confronto tendenziale continua la crescita del numero di occupati (+432 mila, +1,8% in un anno), dovuta all’aumento dei dipendenti a tempo indeterminato (+4,0%) che si contrappone al calo dei dipendenti a termine (-6,7%) e degli indipendenti (-0,4%); diminuisce il numero di disoccupati (-217 mila in un anno, -11,0%) e, dopo due trimestri di crescita, torna a ridursi quello degli inattivi tra i 15 e i 64 anni (-95 mila, -0,8%). Simile la dinamica per i tassi: rispetto al primo trimestre 2024, si rileva un aumento del tasso di occupazione (+0,9 punti) e un calo nei tassi di disoccupazione e di inattività (rispettivamente -0,9 e -0,3 punti).

Chiudiamo con ulteriori e finali considerazioni sulla tenuta sociale di un sistema fiscale che in questi anni ha ridotto la pressione sui redditi elevati e poveri ma non sulla classe media. La politica dei bonus non ha prodotto i risultati sperati, se la classe media si proletarizza, da lustri i ceti popolari vivono una feroce erosione del potere di acquisto e l’inesorabile impoverimento.

I poveri assoluti, ossia quanti non sono in grado di acquistare beni e servizi essenziali, sono aumentati nell’arco di un decennio arrivando al 10 per cento della popolazione italiana presentando dati sostanzialmente omogenei su base geografica, con la miseria più nera comunque presente maggiormente al Sud (seguito a ruota dalle regioni settentrionali)

La nostra impressione è che la crescita economica di un paese dipenda anche dal suo welfare e non dai tagli alle tasse e dal basso costo del lavoro, da tassazioni leggere su eredità sopra a un determinato valore; le ricchezze prodotte da 40 anni ad oggi sono andate in prevalenza ai capiti e non ai salari, una fotografia reale della distribuzione dei carichi fiscali ancora una volta manca e sarebbe invece  estremamente utile, del resto siamo il paese con bassa tassazione dei patrimoni, dei redditi da capitale, delle successioni e delle rendite immobiliari.

 E a quanto vediamo non sono previsti, nell’agenda governativa,  interventi del genere che poi dovrebbero essere dettati da principi di equità sociale ma anche per ristabilire una equa proporzione tra entrate ed uscite dalle casse statali. A forza di pagare gli aumenti salariali non erogati dalle imprese pubbliche e private attraverso la riduzione del cuneo fiscale, resteranno risorse per il welfare?

 

 

 

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