Famiglia Addams e famiglia Haftar: come l'Italia cerca l'elemosina a Bengasi
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di Michelangelo Severgnini
Riconoscete i due individui che si stringono la mano qui sotto in una foto scattata a Roma ieri nei palazzi del governo?
Uno forse sì, quello a destra.
Ex attore di successo della nota serie "la famiglia Addams", poi riciclato alla vita politica, si tratta di Guido Crosetto.
E quello a sinistra?
Niente?
Vi do un aiuto: il suo nome è Saddam Haftar.
Il suo nome di famiglia non fa Addams, ma nemmeno può essere considerata una tra le famiglie più innocenti in Libia.
I Libici, soprattuto in Cirenaica, provano per il più famoso padre, il generale Khalifa Haftar, una moto di riconoscenza pressoché eterno, per aver liberato la regione dall'occupazione dell'Isis, tra il 2014 e il 2016,
fondando l'Esercito Nazionale Libico (l'esercito nazionale di Gheddafi era stato smantellato e per 3 anni la Libia era stata alla mercé degli squadroni jihadisti foraggiati da NATO e Qatar).
Tuttavia, parliamoci chiaro, non sto scrivendo questo articolo per difendere il giovane rampollo, da alcuni anni a capo delle forze terrestri dell'Esercito Nazionale Libico guidato dal padre.
Ci sono validi motivi per criticare Khalifa Haftar e di conseguenza il figlio. Ce ne sono da un punto di vista morale, oggettivo e se permettete, anche nazionale.
Morale, perché, benché smentite dall'interessato, da un paio d'anni si susseguono denunce di sparizioni di Libici, soprattutto sostenitori di Saif Gheddafi, all'interno di dinamiche extragiudiziali operate da reparti appartenenti all'Esercito Nazionale Libico, quindi sotto responsabilità di Khalifa Haftar.
Oggettivo, perché, dal dicembre 2021, quando le già fissate elezioni libiche sono state annullate a una settimana dal voto, causa improvvisa candidatura di Saif Gheddafi, Haftar ha oggettivamente cercato di procrastinare queste elezioni, tanto quanto le autorità criminali di Tripoli, per impedire a Saif Gheddafi di essere eletto da un lato e verosimilmente (non troviamo altre ragioni) per tirare nel frattempo la volata ai propri figli: il sopracitato Saddam e Belqasem, più incline agli affari che non alla carriera militare.
Nazionale, perché l'ormai seconda visita in Italia di Saddam Haftar è stata possibile per il nostro governo, parliamoci chiaro, solo all'interno di un quadro più ampio che cha visto la mediazione della Turchia.
E' stata la Turchia, come molte volte raccontato, perlomeno a partire dal 2022, a riattivare i rapporti diplomatici, economici e militari con Bengasi.
Merito di una scelta strategica da assi della diplomazia.
A fine 2022, quando ebbi alcuni fugaci colloqui con esponenti della maggioranza di governo italiana, indicai i nostri errori e mostrai un quadro che rendeva necessario per gli interessi nazionali stringere ed approfondire i rapporti con le autorità legittime di Bengasi.
Ora, non attraverso di me, ma attraverso i Turchi, con i quali l'Italia ha firmato sontuosi accordi militari (firmati mesi or sono tra la Leonardo e la Baykar), il governo italiano ha finalmente allacciato i ponti con Bengasi.
Alternative non c'erano e (ma ora ci sarebbero), il governo illegale di Tripoli sta per cadere e da molto tempo conta in Libia come il due di briscola.
Non solo.
Le autorità di Bengasi sono legittime, al contrario di quelle di Tripoli, perché uscite dal voto delle elezioni del 2014, l'ultimo che la "comunità internazionale" ha lasciato tenere in Libia.
Non solo.
Le autorità di Bengasi controllano l'80% del territorio libico e la quasi totalità delle risorse energetiche del Paese.
Non solo.
Le autorità di Bengasi controllano il confine tra Libia e Niger, negli anni passati strategico per l'ingresso della tratta di esseri umani che poi trovava nelle coste della Tripolitania una piattaforma di lancio verso l'Italia e ormai sigillato da tre anni (i migranti che si imbarcano dalla Tripolitania oggi, o ci sono arrivati più di 3 anni fa, o sono entrati dalla Tunisia).
Tuttavia, oggi, e lo scrivo con il rammarico di essere sempre ascoltato in ritardo, Saddam Haftar non è il miglior partner possibile per l'Italia.
In una politica che insegue il contingente, facendo le cose all'ultimo e di fretta, forse il governo italiano ora andrà fiero di aver acciuffato l'amicizia della famiglia Haftar.
Il mese prossimo il fiore dell'industria italiana sarà a Bengasi per sancire questa amicizia "last minute", da me raccomandata 3 anni fa nel documentario "Il cielo sopra Bengasi", in cui intervistavo diversi ministri del governo libico di stanza nella capitale della Cirenaica.
Ma oggi questa mossa è già vecchia.
Il futuro della Libia non fa Haftar di cognome, perlomeno il futuro sano e democratico che ci auguriamo, in grado di raccogliere il consenso popolare.
Il futuro della Libia di cognome fa Gheddafi.
Il largo consenso di cui gode in Libia lo certifica.
E Turchia ed Egitto l'hanno ribadito di recente: "la Libia deva andare alle elezioni il prima possibile".
Dunque, se non lo fanno fuori prima, il vincitore sarà Saif Gheddafi.
A quel punto l'Italia si terrà pure la famiglia Haftar, ma la carta giusta sarà un'altra.
E così la Turchia ci avrà rifilato l'ennesima sòla.
Non posso concludere questo articolo però, prima di spendere due parole sulla propaganda di Mediterranea, AVS e affini propagata dalle trombe de il Manifesto.
Per loro in Libia sono tutte milizie e che si ammazzassero tra di loro.
I Libici per loro non hanno diritto ad avere un Paese democratico, dove nessuno abbia il diritto di lucrare sulla vita di poveri ragazzini africani ingannati dai trafficanti.
Loro hanno bisogno del flusso della manodopera a basso costo che giustifica le loro eroiche imprese di salvataggio.
Quindi tra Haftar e le milizie di Tripoli che differenza c'è per loro? Nessuna.
Saif Gheddafi? Non ce la fanno: gli parte l'orticaria solo a pensare quel nome.
Vanno capiti. Saif Gheddafi significherebbe il loro licenziamento in tronco, e per giusta causa.