Fulvio Grimaldi - Alla ricerca della Bastiglia. OCCIDENTE DA CARCERARE
di Fulvio Grimaldi per l'AntiDiplomatico
Cosa ha detto dell’Europa lo squinternato capo dell’Impero. Sembrava Gino Bartali, che non dava scampo a correzioni: “L’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Finita la nostra civiltà (anche per merito suo), finita la libertà, tutti censurati, una specie di Titanic alla vista dell’iceberg. E ha ragione, tutte le ragioni. La cosa grottesca, drammatica è che una condanna così, senza attenuanti, ci venga, mica da Putin, ma da uno come lui: Il diavolo che da del cornuto a Mefistofele.
Osvald Spengler, “Il tramonto dell’Occidente”. Libro epocale del 1923, opera in due volumi di filosofia della storia che mia madre mi diede da leggere quando avevo 10 anni. Era l’aprile del 1945, la guerra era persa e Churchill stava radendo al suolo una città d’arte dopo l’altra, senza più ombra di soldati. Colonia, Francoforte, Dresda, Lipsia, Monaco…Il Medioevo, il Rinascimento, il Barocco, il Guglielmino. Gli eventi davano senso al libro. Per il filosofo tedesco le civiltà, analogamente all'organismo umano, possiedono le quattro fasi di età: infanzia, giovinezza, maturità, vecchiaia. Per lui, analista più che visionario, l’ultima era quella che stavamo attraversando noi. Et pour cause, come stiamo percependo con la chiarezza di un cristallo lucidato.
Intendendo per Occidente quello che intendiamo, cioè Stati Uniti al piano di sopra, Israele, nell’appartamento sullo stesso pianerottolo (occupato abusivamente), Europa nella dependance, con l’incarico di tener fuori dai cancelli i propri popoli. Il tutto dotato di un tasso di criminalità senza pari nella storia della specie. L’unica ad esserne provvista.
Ammiragli neologisti
L’idiotismo militarista ha assunto una frenesia psicotica che non conosce né limiti, né raziocinio. L’Ammiraglio ne ha dato prova. Ci ha dato l’impressione di assistere a una telenovela sudamericana, ornato da baffoni alla Umberto, appesantito sul lato sinistro, destro di chi guarda, da mezzo chilo di medaglie conquistate nelle eroiche e defatiganti battaglie in difesa della patria aggredita, invasa, occupata. Ieri, tramite un giornale di pari grado suprematista, il Financial Times, ha raccomandato che è il caso di attaccare prima di essere attaccati. La logica della cui asserzione sfugge insieme ai candidati che, nei sudati incubi notturni di Cavo Dragone, sono lì, pugnale nei denti, pronti ad attaccarci: kosovari? Quelli del Benin? I malesi con Sandokan?

O i russi? Questo, il medagliato dei mille eroismi, non l’ha detto, ma l’ha pensato. Innovatore neologista, ha abbandonato il nom de plume con il quale gli ammiragli di oggi, chiamano l’attacco: Difesa. La sua pensata è stata più temeraria, da vero soldato: ha detto pane al pane, vino al vino (molto) e, appunto, attacco all‘Attacco. Anche a quello che ancora i vari Merz, Macron, Starmer, Crosetto, da umoristi conservatori, chiamano Difesa. E dopo Cavo Dragone, non più. Tana, liberi tutti.
Ma siccome è arduo trovare ammiragli e generali che pensano, è da escludere che quel pensiero sia stato suo. E’ di tutti quelli, da noi eletti perché pensassero al nostro bene Infatti, di qua e di là dall’Atlantico, si vanno operando a prosciugarci anche dell’ultima goccia di sangue (mille grazie, era mediaticamente infetto da Covid) per farne cingoli di carro armato, ali di bombardiere, fosforo, uranio impoverito (di cui le nostre centrali nucleari non sanno come disfarsi), incantevoli prodotti per la guerra ibrida. Su tutti la I.A., meraviglia delle meraviglie, grazie alla quale moriremo credendo di essere stati uccisi da Putin, invece era uno che stamane aveva saltato la fila del cappuccino al bar perché ammiraglio.
Di questa cosa. con cui un ometto, accecatoci con il popo’ delle sue abbaglianti medaglie, ottenute nelle aggressioni di un’Alleanza consacrata difensiva, aveva celebrato la fine dell’era apertasi a Piazzale Loreto, se ne è parlato grazie a un furibondo Mattarella, guardiano della Costituzione e custode di noi tutti? Neanche un sospiro. Neanche del suo consigliere spifferone Garofani, caro a Schlein. Macchè. Se i macigni fatti rotolare sul quotidiano dei padroni anglosassoni hanno riverberato, se ne è parlato grazie a qualche eretico quotidiano e a qualche manifestamente spazientita trasmissione. Per quante ore? 48? 72? Non esageriamo. Se tace Mattarella, il silenzio è d’oro per tutti. Qualche cittadino che si vede consegnato dai pupari di un ammiraglio di cartapesta, ma luccicante, alla mira di un contractor False Flag, magari il solito, collaudato, jihadista (ora detto russo), potrebbe fare come i ragazzi, uomini, anziani ucraini che, pur di sfuggire ai rastrellatori di Zelensky, si mutilano di tre dita.

Al buon Cavo Dragone era stato assegnato il compito di aprire le dighe onde potessimo tutti essere irrigati di fervore patriottico e affogare sì, ma al suono del Piave che mormorò. Il clamore del motto “attaccare per primi”, lanciato dalla camarilla politico-mediatica dell’Occidente per voce di un souffleur nascosto da una balconata di medaglie, ha di colpo fatto ammutolire i fin ieri assordanti echi delle esplosioni di Hiroshima, Dresda, Saigon, Gaza, Baghdad, Damasco, Tripoli, Belfast, Kabul. Quelli che si erano rannicchiati nel nostro subconscio, a sentinella perpetua contro i guerrafondai della sempre rinnovabile accumulazione capitalista, quando le altre rapine hanno esaurito il bottino e serve un’emergenza per tenerci a testa china mentre passa quest’altra, di accumulazioni.
Dove vai se la False Flag non ce l’hai?
E tutto questiomicidiale ambaradan come hanno fatto a renderlo una normalità per gente nata e cresciuta nell’idea che nessuno mai avrebbe osato a mettere in dubbio il primato della pace? Almeno a casa nostra, che siamo quelli giusti e civili e democratici. Nemo problema. Basta far volare un paio di droni sui paesi baltici o scandinavi, far apparire un sommergibile russo dove aveva pieno diritto di stare, ma ha un’espressione molto minacciosa, scoprire in Canada un aerostato meteorico cinese, finitovi per il vento, colpire una casa polacca con un missile russo, che poi era ucraino, causare un piccolo ritardo al volo di Stato della Supercommissaria tedesca, dire che la Romania è stata sorvolata da un Mig ed ecco che siamo in piena guerra ibrida di Putin.
Come giurano coloro, esponenti di 6 milioni di europei, metà infelici russi, su 450, a cui abbiamo affidato il nostro destino militare, economico, geopolitico: Kallas, Estonia, Esteri e Sicurezza, Dombrovskis, Lettonia, Economia, Kubilius, Lituania, Guerra. Chi meglio di loro? Quasi quasi mi faccio rappresentare dal mio bassotto.
Naturalmente l’autenticità della paternità di queste “provocazioni” è pari a quella degli ordigni di termite piazzate nei vari piani delle Torri Gemelle lungo le strutture d’acciaio, i cui effetti sono stati fatti passare per quelli causati da finti aerei Boeing lanciati contro gli edifici.

Ma intanto è diventato normale, anzi necessario, che le infrastrutture europee – strade, ponti, aeroporti, porti, ospedali , scuole, caserme dei vigili del fuoco, edifici pubblici – venissero orientate a svolgere nuove funzioni determinate dai comandi ad annullamento di tutte le altre (è la Schengen militare); che ponti insensati venissero costruiti per farci scappare da chi ci attacca da sud e che fosse così stupido da non fare la prima cosa che andrebbe fatta, bombardare quel ponte; che la leva sostituisse una gioventù dissipata in scapestratezze, o addirittura in studi e lavori, facendola volontaria, semivolontaria, obbligatoria, (e lì che si andrà a finire), a sorteggio, a lotteria, a piacere, donne sì, non binari rigorosamente no.
E poi, subito subito, che soldati venissero in classe a raccontare ai bambini delle elementari la bellezza ecologica della difesa della patria (perennemente minacciata dai russi) e ai ragazzi delle superiori quanto dulce et decorum est pro patria mori. Ovviamente rompendo teste locali, di ragazzi come noi, che so, in Afghanistan, o Niger. O che, viceversa, bambini e ragazzi venissero in poligono a veder cosa ci vuole, col mitra, a fare secco un bersaglio a forma di uomo, o come sta bene la bimbetta di 5 anni con un bel giubbotto antiproiettile. O che alle fiere degli armamenti più sofisticati e lucidi, che nelle piazze vanno ormai sostituendo le sagre del vermicello, i presidi portassero, su ordinanza del ministro-generale Piantedosi, bimbetti e adolescenti perché provino il brivido di sedersi nel cockpit di un F-35 a immaginare di bombardare una città. Come bene insegnano i videogiochi.
Modelli dell’Occidente
Ce l’hanno insegnato loro. I virgulti prediletti. Modelli esibiti come madonne pellegrine ovunque ci fosse una telecamera. Lo Zelensky che pur di fornire la sua ghenga di rubinetti d’oro, acquisiti con quei nostri eurosoldi che avrebbero dovuto difendere, non un esercito di capri espiatori spendibili, ma un manipolo di nazisti ladri. Il Netaniahu che, pur di continuare a masticare bambini, donne, bipedi e quadrupedi di ogni genere, e terre, da sostituire con coloni al cui confronto Mengele, Attila, o Nikolaj Džurmongaliev, kazako considerato il peggiore serial killer della Storia. Non li teniamo forse in piedi con le nostre armi, i soldi dei nostri ospedali, scuole, case, i nostri sorrisi?

E allora l’eroico Zelensky’ per la cui “causa” ci siamo privati di miliardi in armi che avevamo pagato per diventare nostre strade, case, ospedali, scuole, pensioni e che lì sono diventati bancarelle dove l’entourage del presidente intascava miliardi per ville, cessi d’oro, o vendeva quelle armi al primo mafioso o terrorista interessati.
E allora Trump, The Donald? Quello che ci ha fatto disimparare che il diritto prevale sulla forza, teorizzando e praticando il contrario, sparando dazi, puttanate da energumeno attempato e un po’ andato e altre da vegliardo infantilito e, soprattutto, tirando cazzotti verbali e muscolari un po’ dove gli gira. Capo dell’Occidente, plurinquisito e pluricondannato per zozzerie, sodale di uno che, per aver fatto del ricatto sessuale ai potenti la tecnica di arruolamento del Mossad, rigurgito di angiporto quanto di orride speculazioni immobiliari, uno per il quale etica ed estetica si identificano con una Trump Tower in faccia al Cremlino e una Las Vegas piantata su scheletri lungo le coste di Gaza. Uno che se c’è da saccheggiare e rapinare, si fa la pace; in caso contrario si mandano flotte, aviazione, Marines e CIA per l’ennesimo olocausto.
In Argentina, che con Milei s’è vista ridotta al 57% di poveri assoluti, ha intimato: o lo rivotate presidente, o non vi faccio avere quei 40 miliardi di dollari con i quali qualche buccia di banana potrebbe ancora arrivarvi. In Honduras, per far fuori alle elezioni coloro che avevano sconfitto il colpo di Stato di Obama e Hillary, a forza di minacce analoghe (e forse di manomissione del sistema di trasmissione di dati) ha fatto arrivare primi due pendagli da forca della cosca di Juan Orlando Hernandez, ex presidente honduregno, condannato nel 2024 per narcotraffico e in galera negli USA.
E se il presidente dello Stato razzista, Herzog, può amnistiare un genocida come Netaniahu, non può forse il presidente degli USA amnistiare un boss del narcotraffico, Juan Orlando, ex presidente honduregno, condannato, “dai giudici comunisti di Biden” a 24 anni per narcotraffico, perché si riprenda la repubblica e la faccia tornare quella “delle banane”? Sempre che non ci pensi, forte di narcoinvestitura, Nasry Asfura, indicato proprio da Donald, che di Juan Orlando è il figlioccio. E pensare che gli honduregni, faro rivoluzionario del Centroamerica ci avevano messo 10 anni per liquidare la dittatura installata con il golpe di Obama e Hillary nel 2009.
Del resto, siamo stati sempre bravi adepti. Quanto sopra non ha nulla di qualitativamente diverso da ciò che Meloni, Nordio, Piantedosi, questa nostra meravigliosa triade, hanno fatto, nel nome della legge uguale per tutti, tranne quella della Corte Penale Internazionale, con il torturatore libico Almasri.
Etica del potere: conflitto di interessi
Stiamo con un monarca assoluto che, per la gioia di cultori e corifei della guerra dei ricchi contro i poveri, è come Giosuè che ordinava alla sua tribù egiziana nomade, ma vogliosa di terre, di non lasciare vivi né neonato, né agnello, né tutti coloro che li curavano. E che per legittimare tutto questo sta mettendo il conflitto d’interesse a capo di ogni cosa. Regola numero uno: senza conflitto d’interesse (agevolato dalla nostra abolizione dell’Abuso d’Ufficio) non si fregano gli interessati legittimi e non si governa nel segno dello spirito del tempo. Che soffia impetuoso per chi prima vende e poi compra, o viceversa. Tipo Crosetto, già capo dell’AIAD, Federazione dei produttori d’armi, poi suo ministro.
O tipo Cingolani, AD dell’industria della morte Leonardo, quello dello “Scudo di Michelangelo”, a imitazione dell’Iron Dome israeliano, abbondantemente bucato da iraniani e yemeniti. L’altro giorno ha detto le davvero fatidiche parole. ”Sono in conflitto di interessi, ma vi dico chiaramente che bisogna investire sulla difesa (la chiama ancora così), perché non sta finendo la guerra, sta iniziando la nuova guerra… e senza nuove tecnologie ci sterminano”.
Credete che vi sia stato un cronista che gli abbia chiesto: “Chi ci stermina?” Ma noi lo sappiamo: ci assalteranno gli arcieri della Papuasia. Non è forse che dal Sud, come previsto da Tajani, ci arriva la minaccia e che, dunque, non si può fare assolutamente a meno della via di fuga costituita dal Ponte. Il peggio dal punto di vista logica e ambiente, ma, perbacco, il migliore dal punto di vista delle bombe.
Ma tutto questo sono quisquilie. Saranno curate dal tempo, come le crepe ignorate che hanno fatto finire nel Bisagno 43 persone in attraversamento. Mica sono stati arrestati! Come quelli della Commissione e dell’Europarlamento, poi scudati dall’omertà parlamentare, almeno la Gualmini, per la Moretti si vedrà.
E per un Occidente al tramonto, secondo Spengler, e da carcerare secondo tutti noi, ecco che la rincorsa al fondo del buco nero della corruzione e del malaffare vede l’UE superare di qualche incollatura il padrino fondatore USA. E a noi italiani, ne incameriamo il merito, facendoci, come d’abitudine, riconoscere. I mejo fichi del bigoncio.
UE: un Italian Job dopo l’altro

Ci aveva insegnato qualcosa il Qatargate, quella robaccia per cui un paesuccolo, senza popolazione, ma con una famiglia regnante di alcune migliaia di sbafatori e un sottofondo di schiavi importati, aveva riempito di dollari, trovati a riempire sacchi a casa loro, una schiera di eletti al nostro sommo consesso legislativo continentale. Meriti? I soliti: quelli di essere stati tanto gentili da non parlare male di un paese, anzi di esaltarne i diritti umani, dove le donne non esistono (e poi parlano dell’Iran, dove sono la maggioranza dei laureati) e gli uomini muoiono come le mosche cadendo dai malfermi ponteggi delle Grandi Opere (Mondiali di calcio del 22). E fu la decapitazione morale di una ciurma di venduti, quasi tutti italiani. Come anche, poco dopo, quelli del caso Huawei, politici e lobbisti che raccattavano mazzette per non far escludere la società cinese dallo sviluppo della rete.
Ma questo è niente, siamo al plus ultra del rilievo dei personaggi e del carico di malaffare. Tanto da imporre sbalorditivi arresti (con rilasci veloci, come conviene in quei casi, ma processi duri a venire). Federica Mogherini, nientepopo’ di meno che ministra degli Esteri di Draghi (come stupirsi!) e poi addirittura Vicepresidente UE e Lady PESC (Commissaria Esteri UE), e, fino all’arresto, capa del Collegio d’Europa Bruges. E di seguito, a colmare la discarica, Stefano Sannino ambasciatore, Cesare Zegretti dirigente Accademia UE e Capo Commissione per Medioriente e Nordafrica. Tutti nostri concittadini che avrebbero frodato, si sarebbero fatti corrompere o avrebbero corrotto in materia di appalti, in vista della nuova accademia per diplomatici europei, nel segno immarcescibile del conflitto d’interessi. Certo, come è che si biascica in questi casi? “Piena fiducia nella magistratura, ci mancherebbe. Chiarirò tutto”.
Nell’immondezzaio, poi, si sarebbero trovati in confortante compagnia di connazionali. I veterani del Qatargate con tanto di infiltrazioni marocchine. Con molta calma, e con pieno sconcerto del garantista Nordio, la Procura Federale di Bruxelles è arrivata a disporre la revoca dell’immunità parlamentare ad Alessandra Moretti, ma, pietosamente, non per Elisabetta Gualdini (entrambe PD). Nell’inchiesta hanno raggiunto l’eurodem Pier Antonio Panzeri, l’allora vicepresidente del Parlamento Eva Kaili e Francesco Giorgi, assistente del primo e compagno della seconda. Per rinfoltire la combriccola vi sopravvivono ancora Andrea Cozzolino, arrestato, Marc Tarabella e Maria Arena tutti trovati con colline di soldi in casa. L’iter è tuttora in corso.
Il pantano degli squali (chiedendo scusa a quelli con le pinne)

Tutto, del resto, nasce all’insegna della corruzione, della degenerazione legale, del nepotismo e amichettismo, della sopraffazione. A partire dall’ineffabile baronessa acquisita, von der Leyen, da ministro della Difesa nella Bundesrepubblik inquisita per un amichettismo che concorre con i vertiginosi primati del regime meloniano. Aveva reclutato per il suo ministero più consulenti, superpagati, ma di dubbia competenza, di quanti cortigiani avesse radunato il Re Sole. Non se ne è parlato più. Come non si parla più dell’oscenissimo Pfizergate. L’accordo tra Ursula e il compare Bourla per miliardi di nostri euro in cambio di miliardi di vaccini (in buona parte buttati), concordati in camera caritatis chattiana tra questa gatta e questa volpe. SMS che, quando qualcuno nel parlamento si è svegliato dal torpore euroindotto e ne ha chiesto ragioni e prove, non c’erano più. Ursula li aveva cancellati. Robetta, scambi tra innamorati.
Ma oggi grazie al Belgio, la cui magistratura non si è trovato di fronte, a spingarda puntata, un qualche tonitruante Nordio, si è arrivati all’esito che in qualche modo conferma l’inequivocabile realtà del tramonto dell’Occidentale: l’arresto di intoccabili grazie a una legge che, mentre sotto Meloni, Trump, Netanyahu o Zelensky, deve essere uguale solo per chi si fa pestare dalle loro scarpe, per gli incorreggibili eurogiudici e quelli belgi resta ancora quella antica, uguale per tutti.
A questo punto toccherebbe trovare la Bastiglia. Ma la Bastiglia dov’è? Qualcuno ce la sa indicare?

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Fulvio Grimaldi, da Figlio della Lupa a rivoluzionario del ’68 a decano degli inviati di guerra in attività, ci racconta il secolo più controverso dei tempi moderni e forse di tutti i tempi. È la testimonianza di un osservatore, professionista dell’informazione, inviato di tutte le guerre, che siano conflitti con le armi, rivoluzioni colorate o meno, o lotte di classe. È lo sguardo di un attivista della ragione che distingue tra vero e falso, realtà e propaganda, tra quelli che ci fanno e quelli che ci sono. Uno sguardo dal fronte, appunto, inesorabilmente dalla parte dei “dannati della Terra”.

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