No, il Calcio non siete voi!

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Il calcio è la Juve di Del Piero e Zidane che perde partita e campionato all’ultima giornata sotto il diluvio di Perugia.
 
Il calcio è la Roma di Boniek Cerezo e Ancelotti che, in uno stadio Olimpico strapieno di tifosi pronti a festeggiare, perde lo scudetto contro un Lecce già retrocesso e un solo punto fatto in trasferta in tutto il campionato.
 
Il calcio è il Milan di Sacchi e degli olandesi che perde a Bari alla penultima di campionato e vede festeggiare lo scudetto alla Sampdoria.
 
Il calcio è il Foggia di Zeman che, con una squadra di illustri sconosciuti, insegna a giocare a pallone a mezza Italia.
 
Il calcio è il Piacenza degli italiani che, per quasi un decennio, resta in serie A senza avere in rosa neanche uno strapagato campioncino straniero.
 
Il calcio è il Torino di Mondonico che, tornato in serie A, si qualifica in UEFA, arriva in finale dopo aver schiantato il Real Madrid di Hagi e Butragueno e perde la coppa contro l’Ajax pareggiando entrambe le partite e colpendo 3 pali.
 
Il calcio è il Vicenza di Guidolin che batte in casa il Chelsea e va a giocare a Stamford Bridge sognando una storica finale di coppa delle coppe.
 
E si potrebbe continuare all’infinito perché la lista di storiche imprese e tonfi clamorosi è davvero lunga. E non si ferma certo allo scudetto del Verona.
 
Perché, vedete, qui il problema non sono soltanto i soldi. E nemmeno il trincerarsi dietro una presunta nostalgia per un calcio che non c’è più. È una banalissima questione di principio.
Il tanto vituperato calcio, lo sport che molti pseudo intellettuali detestano e proprio non riescono a capire, mi ha insegnato la cosa più importante di tutte: il debole può sempre battere il più forte. Che non c’è alcun automatismo fra l’investire montagne di denaro e vincere. Può succedere sempre, mandando in fumo miliardi, sogni di gloria e intere stagioni sportive.
 
Una lezione vecchia come il mondo che è l’essenza stessa dello sport. E che i nuovi magnati del pallone proprio non vogliono accettare.
 
Ecco perché chiunque sano di mente deve opporsi alla superlega.
 
Perché un conto è prendere atto che il calcio moderno sia ostaggio del business, fenomeno che, per inciso, si può tranquillamente arginare con l’intervento deciso di governi e federazioni. Altro assumere come regola del gioco che solo il ricco ha diritto non soltanto di vincere, ma addirittura di partecipare.
 
E se credete che la Juve non possa investire miliardi e poi perdere a Crotone, molto probabilmente, avete dimenticato che il calcio è solo un gioco. Nato per strada e cresciuto sui campi sterrati di periferia che qualcuno sta cercando di trasformare definitivamente in un esclusivo circolo di bridge per nobili annoiati.
 
Un gioco che, però, porta con sé un valore fondante della stessa società umana in quanto tale.
 
Niente è già deciso e con fatica, sudore e coraggio, Davide può sempre battere Golia. Qualche volta succede, molto spesso no. Ma fintanto che, dentro di noi, sapremo che è possibile che questo accada, i deboli, i più piccoli, gli esclusi, saranno meno tali. Non soltanto nello sport.
 
Non è retorica. È un principio che introiettiamo inconsapevolmente da bambini appena iniziamo a correre dietro a un pallone. Che ci plasma e che continuiamo a portare con noi per tutta la vita.
Certo, molto spesso, resta solo una remota possibilità. Un sogno.
 
Ma se lasciamo che in nome del denaro ci portino via anche questo allora resta davvero poco per cui lottare ancora. Lunga vita al calcio.

Antonio Di Siena

Antonio Di Siena

Direttore editoriale della LAD edizioni. Avvocato, blogger e autore di "Memorandum. Una moderna tragedia greca" 

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