Ponte sullo stretto e questione meridionale
1956
di Paolo Desogus*
Ponte sullo stretto e questione meridionale. Permettetemi una premessa che vi prego di non considerare come una qualche forma di excusatio: in linea di principio non sono contro le grandi opere. E anche riguardo al ponte tra Sicilia e Calabria non escludo a priori la sua costruzione.
Altra premessa: non sono affatto un esperto di ponti e non vorrei imbarcarmi in questioni che non controllo adeguatamente. Sulle questioni tecniche mi limito solo a chiedere a chi ne sa più di me che senso ha fare un ponte super tecnologico che connette due regioni le cui infrastrutture stanno al palo. In Sicilia, ad esempio, l'elettrificazione delle ferrovie è limitata e i binari sono all'85% a binario unico, mentre il ponte potrà far transitare i treni ad alta velocità...
Lascio ad altri rispondere a queste domande. Vorrei invece soffermarmi su un punto che riguarda da vicino i miei interessi e cioè la questione meridionale, a cui è legato anche l'annoso dibattito sul ponte.
Immagino che molti di voi ci abbiano fatto caso: tra i partiti di governo il maggiore sponsor del ponte è la Lega Nord di Matteo Salvini. Com'è possibile che un partito radicato nel settentrione che coltiva da anni una concezione del sud essenzialmente razzista si faccia promotore di un'opera grandiosa, che assorbirà una parte significativa degli investimenti dello stato italiano?
Ora, la questione meridionale e cioè il dislivello di sviluppo tra nord e sud che nasce con l'Unità d'Italia e che ha conosciuto momenti di riduzione e fasi di drammatica espansione, come negli ultimi anni, ha assunto una configurazione di cui occorre tenere conto quando si parla di investimenti pubblici. Rispetto ai tempi di Nitti, Salvemini o Gramsci ci sono stati indubbiamente dei cambiamenti, ma è rimasto un fatto: la povertà del sud e la sua arretratezza industriale costituiscono ancora oggi un'occasione di ricchezza per le imprese del nord.
Se infatti la Lega smania per il ponte è perché la sua costruzione coinvolgerà le imprese del nord. Non si tratta di un caso isolato. Il sud, sguarnito di industrie tecnologiche e ad alto tasso di valore aggiunto, è da anni il principale cliente del nord. Servizi, infrastrutture, prodotti industriali, macchinari, insieme al supporto di manutenzione, affluiscono dal nord al sud, che non è strutturalmente in grado di provvedere con le proprie imprese.
Ragioni demografiche, insieme alla disoccupazione e alla stagnazione dei salari, hanno impoverito ulteriormente il Mezzogiorno. Questo calo ha avuto ricadute proprio nel nord. Cosa serve dunque il ponte? Serve a colmare la perdita di quote di mercato che il nord ha perso verso il sud. Questo e non altro è il motivo per cui la Lega si batte il ponte.
La domanda preliminare che allora dovremmo porci non è tanto "ponte sì" o "ponte no". La domanda è cosa è bene per il Mezzogiorno, cosa occorre fare per sottrarlo dalla dipendenze dal nord, dipendenza che ha un significato anche coloniale. La mancanza di capacità tecnologica e industriale unita e la dipendenza finanziaria dal nord sono il combinato disposto per rendere il sud dipendente dalle scelte economiche e infrastrutturali prese altrove, cioè nel nord.
Ho scritto sopra che in linea di principio non sono ostile alle grandi opere e nemmeno al ponte. Lo sottoscrivo. Ma dentro un ordine coloniale che persiste e che dà alimento ancora oggi alla questione meridionale sono portato a considerare il ponte sullo stretto un'opera politicamente dannosa.
*Post Facebook del 8 agosto 2025