Sirte, il giorno in cui le urne erano già piene

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Sirte, il giorno in cui le urne erano già piene


di Vito Petrocelli 

Le elezioni comunali di Sirte, città a 450 km ad est di Tripoli, che avrebbero dovuto rappresentare un passo verso la stabilità e il ritorno alla normalità istituzionale, si sono svolte in un clima di forte confusione e tensione sin dalle prime ore.

Secondo quanto riportato dall’agenzia 17Press, il processo elettorale è stato caratterizzato da una situazione caotica e disordinata. I fatti e i dettagli contenuti in questo articolo, ad eccezione della descrizione generale del contesto, si basano in più su informazioni provenienti dall’interno della città, verificate attraverso diversi testimoni e fonti indipendenti.

All’alba, a Sirte, il silenzio non era quello di un giorno qualunque. Era un silenzio carico di tensione e aspettativa, quello di una città che si preparava a votare, convinta – o forse solo speranzosa – che le elezioni comunali potessero rappresentare un passo verso la normalità.

Ma quando i primi osservatori hanno aperto le porte dei seggi, quella speranza si è incrinata.

All’interno delle scuole trasformate in seggi elettorali, nei quartieri di Nouijia, Al-Majd e Al-Farabi, le urne risultavano già sigillate. E all’interno, secondo quanto denunciato dai presenti, vi erano già schede elettorali. Non una, non due. Urne già piene, prima ancora che il primo cittadino potesse esprimere il proprio voto.

La notizia si è diffusa rapidamente: dai corridoi dei seggi alle strade, dai telefoni alle voci concitate. Gli osservatori hanno protestato. I rappresentanti delle liste hanno chiesto spiegazioni. In alcuni quartieri, i cittadini hanno chiuso i seggi con le proprie mani, rifiutandosi di partecipare a quella che consideravano una farsa.

Ma invece di un’indagine immediata, è arrivata la forza.

Secondo numerose testimonianze, la Direzione della Sicurezza di Sirte è intervenuta all’interno dei seggi, ha cacciato gli osservatori e arrestato alcuni di loro, colpevoli di aver denunciato quello che definivano un broglio evidente e documentato. Poco dopo, sempre secondo le stesse fonti, alcuni seghi sarebbero stati riaperti con la forza, nonostante le richieste popolari di sospendere il voto fino al chiarimento delle violazioni.

Mentre la tensione cresceva davanti alle urne, un’altra vicenda emergeva dai resoconti del processo elettorale. 

Nei giorni precedenti al voto, circolavano informazioni considerate “gravissime” da attivisti e cittadini: circa 3.500 nomi di elettori non residenti a Sirte sarebbero stati inseriti nei registri elettorali. Si parlava di militari e di un’operazione organizzata per orientare il risultato finale.

Nelle denunce pubbliche venivano indicati nomi e responsabilità precise:
Mukhtar Al-Maadani, sindaco uscente e candidato;
Abdullah Al-Abdali, responsabile dei mukhtar dei quartieri;
Ibrahim Aghbash Al-Gheddafi, descritto come figura chiave del coordinamento;
e Zayed Hadiya, deputato di Sirte, indicato come parte dell’operazione generale.

Secondo quanto riferito, una visita a Bengasi sarebbe avvenuta nel fine settimana precedente alle elezioni, dopo la convocazione del responsabile locale della Commissione Elettorale. Una mossa che, agli occhi di molti cittadini, ha sollevato più domande che risposte.

Nel mezzo di questo scenario, anche il diritto alla giustizia è finito sotto pressione.

Un avvocato, Ali Al-Sada’i, incaricato ufficialmente da più liste di preparare i ricorsi legali sulle irregolarità elettorali, è stato arrestato. Nessuna spiegazione dettagliata. Nessun chiarimento pubblico. Solo silenzio.

Poi è toccato a un cittadino comune.

Faraj Ahmed Bushoufa, il cui “crimine”, secondo quanto denunciato, sarebbe stato quello di aver filmato le urne già piene. Attualmente risulta detenuto presso la sicurezza interna di Sirte.

La città osservava.

Documentava.

Ricordava.

Persino la tribù Maadan ha sentito il bisogno di intervenire pubblicamente, dichiarando la propria totale estraneità a qualsiasi tentativo di broglio e rifiutando che il proprio nome venisse associato a pratiche illegali o alla manipolazione del voto. 

E mentre tutto questo accadeva, tornava a circolare una frase pronunciata tempo prima dal sindaco uscente in un’intervista televisiva: «Ho già il 50% dei voti».

Per molti cittadini di Sirte, oggi quella frase non suona più come una previsione.

Suona come qualcos’altro.

Sirte non chiede favori.

Chiede una sola cosa: che le elezioni comincino con le urne vuote, come impone la legge, e riempite dalla volontà della gente. Non riempite prima.

E finché questo non accadrà, per molti cittadini, queste elezioni non rappresenteranno un vero voto.

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