Giornalismo: sentinelle e puttane

Giornalismo: sentinelle e puttane

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di Francesco Erspamer* - Themisemetis

 

Ma certo che i giornalisti italiani sono pennivendoli e puttane, come del resto i professori universitari sono baroni e gli intellettuali, diceva Gramsci, anazionali e regressivi. Non tutti, evidentemente; io per esempio sono un professore e non un barone, Gramsci era un intellettuale non regressivo e Travaglio non è una puttana. Però che le colpe e i meriti siano solo individuali è una fissazione puritana, importante per spiegare l’affermazione del capitalismo e diventata egemonica da qualche decennio con la vittoria del liberismo; oggi è usata per spacciare consumismo a livello globale in nome della correttezza politica e di presunti valori universali che riguarderebbero strettamente le persone, mai i popoli, rendendoli facili prede delle multinazionali. Invece esistono comunità, identità comuni e responsabilità collettive: i tedeschi che accettarono Hitler senza combatterlo (sarebbe stato facile all’inizio, divenne difficilissimo più tardi ma non fa differenza) furono corresponsabili delle atrocità naziste e giustamente ne pagarono le conseguenze, inclusi coloro che non erano stati nazisti ma neppure antinazisti e che dall’eventuale trionfo del Terzo Reich avrebbero beneficiato. Troppo comodo, e molto liberista, tollerare gli abusi e la corruzione di chi è a noi vicino come se la nostra passività ci assolvesse.



 

È un vecchio problema, lucidamente affrontato già nel Vecchio Testamento dal profeta Ezechiele (VI secolo a.C., dunque il periodo della cattività babilonese), in polemica contro la convinzione popolare che le colpe dei padri automaticamente ricadessero sui figli ma anche contro l’ipotesi di una salvezza individuale ed egoistica. Ezechiele usa l’allegoria della sentinella, che non può sottrarsi alla responsabilità di avvertire gli altri in caso di pericolo; e la estende a tutti i membri di un gruppo: “Se un giusto si ritrae dalla sua giustizia e compie il male, io metterò un ostacolo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l’avrai ammonito, morirà a causa del suo peccato, né saranno più ricordate le opere giuste che ha compiuto; ma della sua morte domanderò conto a te. Se tu invece avrai ammonito un giusto di non peccare ed egli non avrà peccato, certamente vivrà, perché si è lasciato ammonire, e tu ti sarai salvato”.
 

Quanti giornalisti sono stati delle sentinelle? Quanti hanno “ammonito” i loro colleghi che si erano venduti ai poteri forti o piegati alle loro pressioni? Quanti hanno denunciato la macchina del fango che da anni il Pd e Berlusconi hanno scatenato contro chiunque cercasse di contrastare il loro regime? Quanti si sono apertamente opposti alla deriva nell’approssimazione e nel gossip? Quanti hanno lottato per le riforme che renderebbero trasparente la loro professione, ossia lo smantellamento delle concentrazioni editoriali e una drastica limitazione degli introiti pubblicitari, in modo da diminuire la quantità di denaro a disposizione dei media e dunque le occasioni di corruzione? Troppo pochi e con voce troppo debole. Invece che stracciarsi le vesti e riempire i loro giornali di pompose difese di sé stessi (travestite da difesa di una libertà di informazione che non c’è da tempo) e dai soliti attacchi al M5S, i giornalisti italiani dovrebbero fare autocritica – quelli onesti e competenti, intendo, ossia che non sono pennivendoli e puttane. Perché così com’è il sistema italiano dell’informazione è una disgrazia sociale; va riformato dalle fondamenta.


*Professore all'Harvard University

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