Il dibattito surreale sul lavoro agile

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Il dibattito surreale  sul lavoro agile

 

di Federico Giusti

Il dibattito sul lavoro da remoto è entrato nel vivo nel periodo dei contagi da coronavirus, nella impossibilità di assicurare al personale il lavoro in presenza nel rispetto delle normative di salute e sicurezza, i datori di lavoro hanno optato per lo smart working aiutati da interventi legislativi appositamente creati a tale scopo.
 
Se da anni, in numerosi paesi, il lavoro agile era divenuto realtà, in Italia ha dovuto superare innumerevoli resistenze culturali e un pregiudizio di fondo: a casa non è lavoro.
 
Una semplificazione orrenda, gli attuali over 60 ricorderanno gli anni nei quali in tante famiglie italiane le donne lavoravano a casa, senza regolare contratto e copertura assicurativa, a cottimo e sottopagate da aziende, una sorta di appalto e subappalto occulto e misterioso agli occhi di chi non voleva vedere.
 
Con gli anni del boom economico una moderna macchina da maglieria poteva salvare dalla fame o dalla precarietà intere famiglie costringendo le donne a lunghi orari di lavoro da aggiungere per altro al lavoro di cura.
 
Chi potrebbe contestare, con il senno di poi, la scarsa produttività delle prestazioni al nero di queste lavoratrici alle quali affidavano piccoli lavori di completamento del prodotto industriale?
 
E con il ricorso alla tecnologia potremmo invece oggi dubitare sulla produttività del lavoro agile quando è acclarato in molti casi la sua convenienza? Fatti due conti il lavoratore a casa corre meno rischi di infortuni, ridotti i contatti esterni si ammalerà con minore frequenza, non corre rischi di ritardi e inconvenienti che potrebbero mettere a rischio le sue stesse prestazioni. Per rendere operativo lo smart è sufficiente un buon pc e una connessione sicura, nella maggioranza dei casi il lavoratore o lavoratrice che sia utilizza strumenti elettronici di sua proprietà senza un euro di rimborso per le spese sostenute o l'usura degli strumenti.
Da un punto di vista economico il telelavoro offriva maggiori garanzie, il datore doveva assicurare una postazione ergonomica, era tenuto a fornire strumenti di lavoro, era perfino previsto un piccolo rimborso spese, Forse per queste ragioni il telelavoro non è mai decollato, rari i casi di utilizzo e solo per una forza lavoro alle prese con gravissime disabilità.
 
Chi poi pensa di non essere controllato se in modalità agile dovrebbe rivedere questa idea non suffragata da fatti
 
Questa lunga premessa per ricordare che lo smart in Italia non è risultato di processi atti a modernizzare il Paese ma il suo avvento  è legato  alla emergenza da coronavirus, conveniva questa modalità di lavoro e dal 2020 in poi ogni contratto ha ampliato le parti dedicate alla modalità agile pur con qualche resistenza datoriale. Sono pochi gli ambiti lavorativi, perfino nel Pubblico ma soprattutto nel privato, in cui il ricorso alla modalità agile è ormai una opzione alternativa alla presenza, se pensiamo alla contrazione dei costi degli affitti e delle pulizie, operare da casa per alcune aziende risulta perfino vantaggioso.
 
L’adozione dello smart, esplosa nei mesi del lockdown,negli ultimi due o tre anni ha subito un forte contenimento, se volessimo trovare qualche spiegazione plausibile potremmo parlare di limiti tecnologici, gestionali e organizzativi. Una delle obiezioni diffuse riguarda la produttività, ebbene lo smart non ha avuto impatti negativi sui risultati delle imprese private e pubbliche e quindi non dovrebbero sussistere ragioni per limitarne l'utilizzo, Sarebbe interessante analizzare le scelte operate dalle aziende che dopo l'emergenza da Covid hanno continuato a ricorrere alla modalità agile, da parte nostra siamo certi che molto, o tutto, dipenda dalle imprese, dalla loro organizzazione e gestione. .
 
Se una azienda non intende investire in tecnologia continuerà a guardare allo smart con sospetto dimenticando che il controllo e il comando di possono esercitare in svariate forme.
 
Un aspetto da prendere in esame è invece legato alla salute del lavoratore in smart, per essere chiari la medicina del lavoro non ha ancora valutato a pieno le patologie derivanti dall'isolamento, dalla assenza di contatti con l'esterno, dalla mancata socializzazione, dal fatto che a prescindere dal diritto alla discussione la reperibilità va ben oltre l'orario consentito.
 
Quanto poi alla marcia indietro di numerose imprese che avevano optato per lo smart la spiegazione è data dal fatto che le richieste, esigibili e non, per prestazioni aggiuntive sono più facilmente ottenibili con il ricatto datoriale verso il personale in presenza
 
Potremmo poi ragionare sull'orario settimanale e giornaliero, sulla tentazione del capitalismo meno tecnologico di intensificare i tempi lavorativi, posticipare l'età pensionabile, pretendere nei contratti nazionali sempre più ore di straordinario esigibile fino ad un ragionamento complessivo sul ricorso alla tecnologia e sulla stessa nozione di flessibilità nella gestione del tempo. 
 
I cantori del nuovo possono anche essere propensi ad espandere la modalità agile ma da qui a presentarli come amici della classe lavoratrice corre grande differenza.
 
Fermo restando che il nostro paese non ha un welfare adeguato ai bisogni reali e contemporanei della forza lavoro e delle loro famiglie, crediamo che il connubio tra investimenti tecnologici e modalità agile non sia da banalizzare, rappresentando anche uno strumento valido per intensificare i ritmi e la produttività.
 
 Il solo ragionamento degno di nota è quello che riporta la discussione sui giusti binari capendo a chi convenga la modalità agile e le ragioni per le quali in tanti continuano invece ad avversarla, per usare una semplificazione sempre utile chiediamoci quali siano gli interessi capitalistici in gioco, poi dopo una risposta e le dovute riflessioni potremo tornare sull'argomento.

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