"Il volo di Francesca" - RECENSIONE

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"Il volo di Francesca" - RECENSIONE

 

di Luca Busca

Francesca Zanini firma, insieme a Carlo Rovelli, Giorgia Marzano e Massimo Tirelli, un atto di coraggio sotto forma di libro. Coraggio necessario ad esporre se stessa in un momento particolare della propria vita, in cui era priva di difese e di quelle tipiche maschere che ognuno di noi assume per nascondere le proprie fragilità. È il racconto di un episodio intimo e personale della propria gioventù che valica i labili confini sui quali si intrecciano amicizia e amore. Una storia che ha la capacità in poche pagine di narrare uno spaccato della società italiana della fine degli anni settanta. Un mondo fatto di battaglie politiche, spesso tutt’altro che teoriche, di sperimentazione, che includeva l’uso e a volte l’abuso di droghe, di una sessualità disinibita, che con “amore libero” e “coppie aperte” allargava a macchia d’olio la sfera delle conoscenze, di viaggi avventurosi fatti con sacco a pelo e pollice alto per fare l’autostop (Born to be wild). Un mondo vissuto al ritmo sfrenato del rock psichedelico e della voglia di libertà (Free Bird). Un turbinio di esperienze eccitanti e conturbanti che ha lasciato non poche vittime e cicatrici profonde nell’animo di molti. Tra rivoluzioni (Volunteers of America) eroina, amori e “trip” andati male “ho visto le menti migliori della mia generazione distrutte dalla pazzia, affamate nude isteriche, trascinarsi per strade di negri all'alba in cerca di droga rabbiosa, hipsters dal capo d'angelo ardenti per l’antico contatto celeste con la dinamo stellata nel macchinario della notte …” (1)

Il libro racconta, secondo quattro punti di vista diversi, il momento di follia di Francesca, senza mai indulgere alla retorica della nostalgia. Un cedimento probabilmente dovuto alla contemporaneità tra un’esperienza psichedelica (Lucy in the sky with diamonds) e un situazione particolarmente delicata segnata dalla fine dell’amore tra lei e Carlo Rovelli e da problemi della propria famiglia di origine. Nel suo vagare tra le nebbie dei propri incubi Francesca finisce nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Borgo Trento. Era il 1980, la Legge Basaglia, la 180, era in vigore da due anni e i manicomi, con la loro coercizione, l’elettroshock e altre amene cure che distrussero molto di più di quanto abbiano sanato, non erano stati ancora chiusi. Così Carlo Rovelli, armato di conoscenza giuridica e qualche amico, decise di andare a prelevare Francesca e di portarla in una tranquilla casa di campagna.

Qui, con l’aiuto, l’attenzione e la cura degli amici la “normalità” tornò lentamente a insinuarsi nella mente provata della “paziente”. Il racconto entra con toni lirici ossessivi nei particolari più intimi del delirio e, con accenti poetici, nei sentimenti dei protagonisti, senza, però, perdere contatto con la realtà che ne costituisce il contesto. Un esperienza che segna la vita di tutti i protagonisti, tanto da trovare spazio in un libro oltre quarant’anni dopo esser stata vissuta.

Per chi quegli anni li ha vissuti in maniera “spericolata” (cit Vasco) il racconto suscita una groviglio di ricordi ed emozioni. In tanti abbiamo perso amori e amici tra follie, overdose, violenze e Aids. Perdite a cui non eravamo preparati (Back in black) immersi com’eravamo nel vortice di entusiasmo, energia giovanile, solidarietà ed empatia che ha caratterizzato la fine degli anni settanta. Un vortice troppo forte per molti che sono caduti nella trappola della “Sweet Jane” (cit. Lou Reed), della violenza o più semplicemente in quella tesa dalle loro stesse emozioni, troppo intense per sostenere l’imponderabilità delle droghe psichedeliche. Alcuni, come Francesca, si sono salvati grazie alla solidarietà degli amici e, in altri casi, all’amore ritrovato (Everybody needs somebody to love). In molti si è insinuata quella “sindrome del sopravvissuto” che ha permesso all’edonismo individualista degli anni ottanta di affermarsi senza ostacoli. Personalismo sempre più esasperato che ha prodotto la “liquidità” della post-modernità di baumaniana fattura e che ha travolto nel suo flusso la coscienza e l’empatia, lasciando sul terreno solitudine e disgregazione, competizione e consumismo.

Oltre alle emozioni e ai ricordi suscitati, il libro ci regala un giovane Carlo Rovelli in lotta contro quella scienza dogmatica che all’epoca imponeva l’elettroshock come cura della “diversità”. Un po’ come oggi si impongono vaccini, farmaci e protocolli ad esclusivo beneficio delle case farmaceutiche senza alcuna considerazione del paziente. Atteggiamenti che tanti danni provocano alla credibilità di una scienza sempre più succube delle dinamiche neoliberiste, libere ormai dal vortice di lotte politiche, solidarietà, entusiasmo, empatia ed energia che arginarono il flusso violento della privatizzazione della vita sociale e personale fino all’epoca dei fatti raccontati.


NOTE

Urlo di Allen Ginsberg

https://www.youtube.com/watch?v=pAgnJDJN4VA

Back in Black

https://www.youtube.com/watch?v=EN51lWunDyk

Lucio Dalla LSD

https://www.youtube.com/watch?v=cQybXHI2W-A

Grateful Dead – Alice D Millionaire

Luca Busca

Luca Busca

Inizio il mio percorso giornalistico nel 1982, nel 1984 ottengo l’iscrizione all’albo dei pubblicisti come collaboratore del quotidiano La Repubblica e dell’Agenzia Giornalistica Telegraph. Entrato nel mondo musicale live come ufficio stampa, fondo, alla fine del 1984, la mia prima azienda di organizzazione di eventi musicali.  Dal 1987 al 2002 ho curato sei edizioni del Roma Live Festival, la rassegna Rock della capitale.
Come direttore di produzione ho poi partecipato alla realizzazione di Reality show, lavorando in Messico, Santo Domingo, Kenya, Sudafrica e India. Sono stato
commerciante, e amministratore di un’azienda che si occupava di fotovoltaico. Nel frattempo sono tornato a fare il giornalista occupandomi prima di arte (Next Exit), di viaggi (omonimo inserto di Repubblica) e ora di vino e olio per la rivista e la guida Bibenda. Sono anche docente presso la Fondazione Italiana Sommelier. Da un paio di anni scrivo per il blog Sinistrainrete e l’AntiDiplomatico

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