La fine dell'illusione della pax americana

La fine dell'illusione della pax americana

Un commento al discorso di Obama ai cadetti di West Point

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di Andrea Muratori

“L’America - ha detto Obama - è stata raramente più forte di oggi rispetto al resto del mondo”. Da questa premessa non verificata, il Premio Nobel per la Guerra, nel discorso tenuto pochi giorni fa ai cadetti di West Point, si è lanciato in uno sproloquio che denuncia la fallacia delle sue tesi geopolitiche e l’esplicita affermazione del desiderio dell’ex uomo del Yes, we can!, di intensificare la politica neocolonialista e imperiale mascherata da dodici anni ormai con le vesti del conflitto al terrorismo globale.

Mentre la crisi in Ucraina infuria, gli accordi di Ginevra sono già carta straccia e Putin sta alla finestra in controllo della situazione, dopo aver smascherato Obama nell’estate scorsa ai tempi della crisi siriana, mentre ancora si rifiuta la realtà degli avvenimenti degli ultimi anni, cioè che le guerre americane in Iraq e Afghanistan sono state ingiuste, immotivate, insensate e, in definitiva, perse, portando solo a una progressiva escalation della tensione in questi due paesi, mentre traballano anche le ambizioni dell’alleato israeliano, Obama ha ancora abbastanza spavalderia per pronunciare frasi del genere (il discorso è disponibile qui).

È ormai chiaro il dilettantismo di Obama e del suo staff nella progettazione e nell’attuazione delle politiche internazionali, e questa incapacità decisionale potrebbe avere effetti deleteri per gli sviluppi futuri del mondo. La realtà delle cose è un’altra: lungi dall’aver il predominio globale, l’asse USA-NATO si trova in una fase di involuzione. Analizzando lo scacchiere mondiale, risulta evidente la profonda convergenza in atto tra la Russia e la Cina, con la prima spinta nelle braccia del dragone asiatico dalle scriteriate politiche della leadership di Washington. Il recente accordo energetico (in termini tecnici un vero “Santo Graal”) potrebbe essere punto di partenza per una futura convergenza tra Mosca (e i suoi paesi satelliti, quali ad esempio il Kazakistan) e Pechino, con i petrodollari sostituiti dai gas-yuan. Difficile pensare che l’India possa sottrarsi, per questioni storiche e geografiche, a appoggiare un cambiamento in tal senso. Lo spostamento del baricentro da Nord a Sud vede inoltre una componente non secondaria nello smarcamento effettuato dell’America Latina in questi anni dall’asservimento ai dettami yankee: Venezuela, Uruguay, Argentina, Ecuador, Colombia si sono dimostrati capaci di politiche autonome ed efficaci, spinti dall’onda lunga del populismo dei governanti, mentre il Brasile ormai anela al ruolo di potenza economica di livello mondiale. Difficile, insomma, per Obama e chi lo seguirà mantenere fede alle parole di West Point: il commissario di polizia del mondo vede i suoi “appuntati” rinunciare pian piano agli armamenti (tralasciamo la nostrana questione degli F-35), quella che era per forza di cose rimasta l’unica superpotenza mondiale è stata decisamente ridimensionata, e non sorprende la grinta mostrata da leader di piccole potenze regionali come l’Iran nello sfidare apertamente Washington, sapendo di potersi rafforzare nella propria politica interna senza correre eccessivi rischi.

Quale il futuro per l’America? Il lungo tramonto di un impero mai dichiarato prosegue lento ma graduale proprio dal momento in cui questa nazione sembrava aver sbaragliato la concorrenza e destinata imporre il proprio way of life a tutte le genti civilizzate. La pax americana si è rivelata un’illusione proprio a causa di quei governanti poco lungimiranti che hanno seguito biechi interessi di arricchimento, cercando orpelli, scuse palesemente poco credibili per arraffare più barili di petrolio potessero, politica che dall’11 settembre 2001 (non staremo qui a discutere le reali cause dell’attentato: le conseguenze sono state se possibili ancora più tragiche) ha trovato una giustificazione “morale” nella lotta al terrore, usata come bandiera per introdurre limiti e censure anche nei confronti degli stessi cittadini (si pensi al caso del Patriot Act, formalmente ancora in vigore). Un consigliere con senno consiglierebbe a Obama di ricalibrare il proprio obiettivo, cercando di garantire, come sembravano promettere le sue parole nell’ormai lontano 2008, un futuro credibile a una nazione squassata dalla crisi, dove milioni di persone vivono nella miseria, in vere e proprie favelas, prive di tutto, mentre silenziando le loro sofferenze una cerchia ristretta insegue vane speranze di egemonia globale. Yes, we can o No, we can’t?

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