Proteste razziali negli USA: l'establishment in piazza?

Proteste razziali negli USA: l'establishment in piazza?

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di Francesco Corrado per l'AntiDiplomatico


E' passato oramai un mese dall'uccisione di George Floyd da parte della polizia di Minneapolis ed è da allora che le proteste si susseguono ininterrottamente, non solo negli USA, ma anche nel resto del mondo occidentale.

I fenomeni sono due: da un lato le genuine proteste antirazziste che però sono portate avanti da gente che "non sa quello che vuole e non riuscirà ad averlo" parafrasando i CCCP e dall'altro lato, a nostro avviso, invece c'è una pura e semplice manifestazione dell'establishment dominante a livello culturale (che finanzia gli attori di queste proteste) che trova una sponda politica nel PD ed anche in parte del PR (gente alla Romney e Bush fratello per intenderci) che cerca di creare problemi al presidente in carica, al fine di indebolirne la figura.

Sindaci, governatori, senatori e deputati del PD stanno dando protezione ed endorsment di ogni tipo ai BLM e ai gruppi che stanno manifestando. Per non dilungarci e fare centinaia di esempi, basti quello della sindaca di Seattle che, intervistata a proposito dell'occupazione di alcuni isolati della città da parte dei manifestanti che hanno costituito lo stato libero di CHAZ, dice: "sarà un'estate d'amore".

Sicuro. Ma facciamo un po' di ordine. Ciò che è accaduto a Minneapolis ha innescato una serie di proteste antirazziste i cui protagonisti hanno avanzato richieste anche molto radicali, e che a nostro avviso vengono cavalcate dai DEM e dalla stampa per fini propri.

Ad aver ucciso Floyd è stata la polizia di Minneapolis cioè del Minnesota per cui le proteste avrebbero dovuto almeno lambire il capo della polizia che peraltro è nero (alla faccia del razzismo), il sindaco (democratico), ma soprattutto il governatore del Minnesota, stato amministrato dai democratici oramai da tre mandati consecutivi.

Trump dal lato suo ha fatto ciò che era in suo potere: condannare l'accaduto e spedire di corsa i suoi, cioè gli agenti dell'FBI, cioè la polizia federale, quella che dipende dal presidente degli Stati Uniti, tanto per chiarire le cose, a fare luce sui fatti. Ma si sa Trump è razzista per antonomasia come del resto è una spia del Cremlino.

Eppure, un fatto non in discussione è che negli anni di Obama il numero di neri uccisi dalla polizia è stato sempre superiore a quello registrato nell'era Trump.

Esempi? Nel 2018 e nel 2019 con il tizio arancione alla Casa Bianca il numero degli arfroamericani morti per mano della polizia è stato rispettivamente di 258 e di 259 cioè le migliori performance mai registrate. Niente a che vedere con l'opera del nero Obama sotto la cui presidenza, nel 2015, è stato stabilito il record assoluto con ben 305 persone di colore vittime della violenza della polizia.

Ma per i manifestanti e per la stampa che li asseconda, sponsorizza e coccola tutto ciò è irrilevante. Ovviamente. Ciò che fa gridare al razzismo è un semplice fatto: negli USA gli afroamericani pur essendo circa il 13% della popolazione totale rappresentano il 28% delle vittime della violenza esercitata dallo stato, cioè della polizia.

Questo fa degli USA una nazione razzista?

Saranno pure razzisti ma negli ultimi decenni il numero di ispanici, afroamericani e asiatici entrati in polizia è cresciuto a dismisura. Il reclutamento massiccio di personale non bianco è stato fatto proprio sul presupposto che il razzismo fosse la causa del numero sproporzionato di afroamericani vittime della polizia.

A fronte di una popolazione, come detto, pari al 13% del totale, gli afroamericani sono super rappresentati nelle forze dell'ordine avendo raggiunto nel 2016 quota 27% degli agenti in servizio. In molte città il loro numero è assolutamente maggioritario come a Memphis (50%), New Orleans (58%) e Washington (59%).

Eppure le cose non sono cambiate, basti vedere cosa è successo a Minneapolis dove il capo della polizia è ispano-afroamericano. Perché? Perché di fatto i neri sono sovrarappresentati anche nelle statistiche delle commissioni di crimini, cioè ne commettono un bel po'. E la cosa è lampante proprio con riferimento ai reati di omicidio (che offre dati più affidabili rispetto ad altri crimini): il 45% almeno è commesso da afroamericani a fronte di una popolazione che è sempre quella, cioè il 13% del totale. Questo fatto mette la comunità afroamericana in contatto con le forze dell'ordine in modo che non è tanto proporzionale all'entità numerica della sua popolazione, ma proporzionale al numero di crimini commessi.

Quindi se il razzismo non ci sentiamo di escluderlo, visti i numeri, questo non sembra avere una parte preponderante nel problema della violenza della polizia. Nei passati decenni abbiamo assistito a scene violentissime di autentici omicidi, commessi da poliziotti, a danni di cittadini americani a volte anche ragazzini, che sono sembrate autentiche esecuzioni.

Gente uccisa a calci oppure persone a cui agenti di polizia hanno sparato quasi a sangue freddo. Scene che hanno scatenato autentiche rivolte nelle città interessate e che ci sono arrivate solo per miracolo o quasi, dato che prima dell'avvento dei telefonini non erano in molti a portarsi dietro una telecamera. Da questo punto di vista la vicenda di Floyd è emblematica perché se vi troviamo la brutalità della polizia in azione è molto più difficile trovarci del razzismo.

La polizia ha fermato Floyd non in quanto nero e perciò sospetto (come accaduto più di una volta nel passato), ma perché George Floyd avrebbe pagato un pacchetto di sigarette con soldi falsi per cui il tabaccaio davanti al cui negozio poi si è svolta la vicenda ha chiamato il 911.

I poliziotti arrivati sul luogo non erano una banda di WASP, ma quattro agenti di cui due bianchi, un asiatico ed un nero che non ha fatto nulla per impedire la morte di Floyd. N

elle scene filmate degli istanti che precedono la morte di Floyd si vedono molte cose che non vanno, ma non razzismo. Poi i quattro agenti coinvolti sono stati licenziati dalla polizia e sbattuti in galera.


Si può parlare di razzismo sistematico come fanno i parlamentari democratici ed i repubblicani filo establishment?

Il tutto a fronte di milioni di chiamate cui risponde il 911 con feed back positivo da parte dei cittadini? Basterebbe paragonare a quella di Floyd la vicenda di Sacco e Vanzetti con l'estesa rete di persone necessarie a commettere tutte le irregolarità e le falsità poste in essere al solo fine di condannare a morte due innocenti, ma anarchici e per giunta italiani (quello era razzismo di sistema). I quattro poliziotti di Minneapolis si sono ritrovati (giustamente) soli, non hanno avuto la protezione di un ambiente che pratica il razzismo sistematico.

Il problema è e rimane quello della violenza della polizia in se stessa, che ovviamente negli USA colpisce tutti i gruppi razziali, perché se è vero che gli afroamericani sono sovrarappresentati nella categoria, vero pure è che i bianchi uccisi ogni anno dalla polizia sono ben oltre i 400 cui aggiungerei le altre minoranze come ispanici ed asiatici; oppure queste non sono vittime?

L'abbattimento delle statue di Churchill a Londra o di Montanelli in Italia, il saccheggio del supermercato di Girona, l'abbattimento delle statue di Colombo oppure di Lincoln (che mise fine alla schiavitù), le buffonate della Boldrini in Parlamento, l'inno cantato in occasione della finale di Coppa Italia con pugnetto chiuso a cosa mirano davvero?

Qual è il problema, la violenza della polizia?

Se è questo il problema si può risolvere: non sembra un qualcosa che possa sfuggire alla comprensione ed alla (almeno parziale) soluzione. Se il problema o presunto tale è il razzismo, come per esempio suggerisce l'UE nella sua bozza di risoluzione, allora le cose si complicano perché è molto più difficile per uno stato legiferare in materia di sentimenti.

Solo la Chiesa ha avuto queste pretese. Ma ora c'è il politically correct. Al di la dell'agenda che i manifestanti e chi li sponsorizza e li protegge possano avere (che sono certamente diverse) a nostro avviso i nodi stanno arrivando al pettine: le conseguenze di anni ed anni di bombardamento mediatico ed educativo basato sui postulati del postmodernismo che ha plasmato le ultime tre generazioni di americani.

Lo spostamento avvenuto nella sinistra americana, della chiave interpretativa della realtà, dal conflitto capitale-lavoro ai presunti conflitti di razza (bianchi vs neri o indigeni o altro), o ai conflitti tra i sessi (uomini vs donne) o tra i generi (etero vs gay o transgender) ha completamente stravolto il senso di ciò che significa oggi essere di sinistra (istituzionale) in America, ma anche in Italia.

Quando la vera sinistra antagonista circa 20 anni fa manifestava proprio a Seattle (lo ricordate il popolo di Sattle? I No Global?) contro la globalizzazione predatoria della finanza transnazionale e del grande capitale industriale, la reazione fu davvero violenta e la polizia sparò sui manifestanti facendoci scappare i morti.

Successe a Seattle, poi nella civilissima Oslo e poi anche a Genova in occasione del G8 che non a caso segna la fine della reale attività antiglobalista della sinistra italiana (almeno quella istituzionale) il tutto appoggiato e giustificato dalla stessa stampa che in questi giorni coccola i BLM.

Non c'erano per quelle manifestazioni i sindaci che parlavano di "estate d'amore" e che portavano cibo ai manifestanti come nella Seattle attuale accade a quelli di CHAZ, nutriti aggratis dal comune. All'epoca volavano le mazzate. Quelle vere.

Spostare tutta l'attenzione sulla lotta tra razze, tra sessi, tra orientamenti sessuali, come motore della storia e basando il tutto su mistificazioni storiche quando non di pure e semplici invenzioni, come il mitico eteropatriarcato, ha un aspetto che va sottolineato. Quello della diffusione della vittimizzazione, oltre ogni logica e realtà, delle cosiddette minoranze o delle categorie "emarginate", così i ragazzi afroamericani dell'Evergreen College che dicevano che per loro già il non essere uccisi fosse un gran risultato, o ragazze terrorizzate perché potrebbero essere le prossime vittime di un femminicidio (anche se la statistica ci suggerirebbe ben altro).

A questo consegue l'identità di genere cioè l'identificazione quasi tribale nella propria categoria di appartenenza: nero, bianco, ispanico, islamico, cristiano, uomo, donna, trans, gay eccetera. E così la visione della società divisa in classi passa in secondo piano se non scompare del tutto. Questa cultura della vittimizzazione ha una contropartita: se c'è una vittima allora ci deve essere anche un carnefice. Così il problema si sposta nella sua interezza dalle dinamiche economiche a fenomeni astratti come il razzismo, il maschilismo, l'intolleranza verso i gay che oltre ad essere realtà interiori, sentimenti, sono fenomeni sostanzialmente marginali ma che vengono gonfiati fino a divenire l'intero ordine del discorso, ciò che ha plasmato le nostre società; il vero problema.

Per la vulgata corrente del politically correct negli USA ogni bianco si dovrebbe vergognare dei propri "white privilege", quindi i privilegiati non sono più gli stramiliardari, ma tutti i bianchi.

Davvero geniale.

Così si può adottare il razzismo come chiave di lettura della violenza della polizia, invece che ricercarla nella militarizzazione del suo addestramento (che è proprio il caso invece), ma così difficilmente si otterranno miglioramenti. Così la schiavitù diffusa, in ogni epoca storica ed in ogni cultura che si conosca, per ragioni che sono sempre state economiche, diventa una questione di razzismo come se all'epopea degli schiavi africani portati in America non avessero preso parte parte, come schiaviste, tribù africane costiere che si occupavano della materiale cattura degli schiavi stessi nelle regioni più interne del continente per poi rivenderli agli olandesi, inglesi o portoghesi.

Per chiudere: non bisognerà aspettare molto per vedere l'evoluzione che avrà questa faccenda. I DEM forti dei sondaggi appoggiano i manifestanti e stanno loro concedendo una certa libertà d'azione in alcune delle più grandi città da loro amministrate: durerà? E quanto? Le elezioni sono vicine oramai e tra la questione del covid e la morte di Floyd la popolarità di Trump ha preso una bella mazzata ma è sempre alta. Mentre pel di carota va a spasso per gli USA e sta facendo campagna elettorale sul serio per la rielezione, Biden stenta ad uscire dal suo bunker, terrorizzato dal covid e dà segni sempre più inquietanti di degrado intellettivo, problema peraltro diventato chiaro a tutti già da ottobre. Ai DEM, rei di aver scelto il peggiore dei candidati possibili, non rimane che un colpo di scena per venirne a capo e non vedere di nuovo Trump per 4 anni alla Casa Bianca.

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