Riusciranno Joe Biden e Kamala Harris a perdere le elezioni del 2020?

Riusciranno Joe Biden e Kamala Harris a perdere le elezioni del 2020?

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di Francesco Corrado

 

La missione a prima vista sembrerebbe impossibile da portare a compimento, ma di fatto i democratici pare stiano facendo un bel po' di mosse in quella direzione. Ovviamente suggerire un'ipotesi simile, a questo punto della corsa per le presidenziali, sembra una follia, dato che il vantaggio di Biden nei confronti di Trump è enorme. Tutti i sondaggi indicano che Biden sia in vantaggio su Trump: ovunque e di parecchio pure. Uncle Joe risulta in vantaggio (anche se di poco) in molti stati che sono storicamente repubblicani, mentre in quelli saldamente nelle mani dei democratici il vantaggio di Biden supera spesso i 10 punti percentuali. Nel complesso i DEM sarebbero davanti ai repubblicani dell'8%. Quattro anni fa, ad agosto, la Clinton era in vantaggio del 7% eppure alla fine vinse Trump. Certo, ma non si possono fare miracoli ogni 4 anni. Teoricamente non ci dovrebbe essere partita. Teoricamente.
 

Biden, come era chiaro già da novembre, ha una qualche forma di degenerazione intellettiva. Ricorda benissimo vicende private come politiche risalenti nel tempo, ma spesso dimentica la città in cui si trova, altrettanto spesso ha vuoti di memoria mentre parla ed ha problemi a recuperare il filo del discorso. Appare lento e spesso disorientato. Una volta dichiarato il lockdown per il covid è stato rinchiuso nel suo bunker da cui non è uscito per mesi. La qual cosa, se lo ha salvato da un contagio che avrebbe potuto portare complicazioni, di certo non gli ha giovato da altri punti di vista come quello cognitivo-relazionale-intellettivo.


Per questo la scelta della persona che avrebbe ricoperto il ruolo di vicepresidente era determinante. Con un candidato presidente anziano e che perde colpi è evidente che il vicepresidente sarà fatalmente destinato a governare effettivamente il paese. Delresto lo stesso Biden lo ha ammesso col suo tono scherzoso "Alla fine ho 77 anni quindi non sono un ragazzino, potrebbe capitarmi qualcosa e la scelta del vicepresidente sarà cruciale". Quindi la scelta, che poi è caduta sulla Harris, era attesissima. La Harris aveva le caratteristiche necessarie richieste: è donna ed è nera.


La Harris, come dicono quelli dell'ala sinistra del partito, è la candidata di Wall Street, la preferita di Hillary Clinton di cui è l'alter ego. Una è bianca l'altra nera, una del nord-est l'altra del sud-ovest, ma per il resto sono identiche. Per quanto i media e l'establishment di Washington l'abbiano sempre coccolata, la Harris non è mai stata popolare, soprattutto tra i fan di Sanders e della sinistra in generale. Poi all'inizio della corsa per le primarie la candidata Tulsi Gabbard delle Hawaii la massacrò in diretta televisiva: se la Harris presentava, come credenziali, l'essere stata la procuratrice generale della California, la Gabbard andò a colpire proprio lì. La Gabbard chiese alla Harris di spiegare agli elettori del PD perché avesse fatto rimanere in carcere persone della cui innocenza aveva le prove, persone poi scarcerate a seguito dell'intervento della magistratura giudicante.


La Gabbard ricordò che la Harris aveva usato queste persone innocenti per farle lavorare gratuitamente presso servizi sociali, ricordò la persecuzione dei consumatori di cannabis (che per la sinistra del partito andrebbe legalizzata) che sotto la direzione della Harris fu molto dura. La Harris non riuscì a dire nulla in sua difesa e dopo quel confronto si ritirò dalla corsa per le primarie. Un successone insomma.


A livello di favore del pubblico, la Harris non porterà un granché alla causa ma a questo giro i democratici non stanno facendo l'errore che fece la Clinton quattro anni fa. La Clinton rubò le primarie a
Sanders e non paga di questo si comportò nei confronti della base del partito con un'arroganza senza limiti. I supporters di Sanders, oramai sconfitto, vennero letteralmente ignorati e quando diedero la disponibilità ad impegnarsi per la campagna della Clinton contro Trump gli venne risposto: no grazie.


La Clinton aveva fondi illimitati e se ne fregava della base. Il lavoro non fu quello dei volontari "grassroots" ma di gente di apparato venuta da Washington e ben pagata pure, che spesso non aveva molta familiarità con le specifiche situazioni locali (è successo in Michigan per esempio). E ci prese le mazzate. Anche a questo giro a Sanders hanno fregato le primarie ma pare che Biden sia in ottimi rapporti con Sanders e che stiano lavorando insieme. La base più di sinistra e sedicente socialista (Sanders, Warren e la squad della Ocasio Cortez), non è disposta a rimanere fuori e se Biden vuole il loro appoggio se lo dovrà sudare facendo concessioni politiche chiare.


Durante la convention della settimana scorsa Alexandria Ocasio Cortez, dimostrando coerenza e pure coraggio (la stampa l'ha massacrata per questo), ha ribadito il suo endorsment a Sanders. Della serie: Caro Biden, noi siamo qui, non siamo come te, e ricorda cosa è successo alla Clinton.


Insomma per il PD le cose sembrano andare per il verso giusto ma ci sono dei problemi. Di fatto in questo periodo il candidato democratico non ha dovuto fare un granché per avere l'appoggio popolare: l'arrivo del covid è stato assolutamente provvidenziale. Mentre la stampa continuava a massacrare Trump per la gestione della pandemia, Biden si limitava a fare qualche dichiarazione sulla scienza e su come Trump fosse cattivo. I guru delle campagne elettorali del passato e attuali hanno consigliato a Biden di non dire e di non fare nulla e la cosa ha giovato. A febbraio la popolarità di Trump era alle stelle dato che le ridicole accuse di essere una spia al servizio dei russi erano miseramente cadute, dando anzi spazio all'Obamagate; era quindi evidente che i democratici avevano raccontato palle per quattro anni mentre l'azione di governo di Trump, piaccia o no, aveva colto nel segno. Coi dati di febbraio l'attuale inquilino della Casa Bianca avrebbe vinto a mani basse. Poi è arrivato il covid-19 ed ha cambiato le carte in tavola.

 

La settimana scorsa è andata in onda la convention del Partito Democratico che ha ufficialmente incoronato Joe Biden come candidato dei democratici alla presidenza USA. Sono stati 4 giorni quasi surreali. Quattro trasmissioni della durata di 2 ore e mezza in cui la politica è stata la vera assente: gli unici a parlare sul serio sono stati Sanders (5 minuti scarsi) e la Ocasio Cortez (90 secondi). In mezzo a tante "testimonianze della gente comune" la totalità delle quali si riferivano direttamente o indirettamente al covid, quindi in mezzo ad un mare di sentimenti la proposta politica è stata fumosa, contraddittoria, con abbondanza di promesse, nemmeno chiare peraltro. L'unico vero argomento è stato che Trump è proprio il male assoluto. Insomma una convention ad personam, tutta tesa a demonizzare l'avversario Trump, agente del KGB, che ascolta Putin e non il dottor Fauci e via così per 4 giorni. Di base il tutto è stato patetico e diciamo che la base se ne è accorta dato che rispetto alla convention di quattro anni fa lo share di gradimento è stato molto più basso: i telespettatori sono stati il 22% in media in meno della convention del 2016.

 

Ecco: i democratici hanno usato alla grande il coronavirus ma ora arriverà il momento di confrontarsi coi repubblicani e gli strateghi già consigliano a Biden di non partecipare a confronti diretti con Trump. Sono sicuri che le cose in un confronto diretto si metterebbero malissimo. Insomma i DEM hanno un grande vantaggio ma la situazione non è chiara e soprattutto stanno campando di balle da molto tempo ed i nodi potrebbero arrivare al pettine. Poi in questi giorni è in corso la convention dei repubblicani, vedremo come rispondono a quel triste show messo su dai DEM.

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