Dazi, la miopia della destra sovranista e la subalternità ai voleri Usa
L'intesa commerciale annunciata domenica da Ue e Usa viene in sostanza benedetta dalla premier Meloni che se la vende alla opinione pubblica italiana come conquista del dialogo tra vecchio continente e Trump. Posizione non condivisa dalle associazioni datoriali che in parte prendono posizione opposta parlando esplicitamente di resa Ue.
Il dazio massimo del 15 per cento sulle esportazioni verso gli Usa escludono alcuni settori come acciaio e alluminio per i quali la tariffa resta al 50 per cento.
Inutile ricordare che la imposizione dei dazi determinerà la irreversibile crisi di alcuni settori economici, nel frattempo acquistiamo gas liquefatto dagli Usa a un costo superiore di 4 o 5 volte al prezzo pagato alla Russia.
L'intesa tanto apprezzata dalla destra italiana non a caso prevede l’acquisto da parte della Ue di energia dagli Stati Uniti per "750 miliardi di dollari", da qui ai prossimi tre anni, in questo modo si crea una sorta di dipendenza dalle esportazioni Usa, anzi per alleggerire i dazi su alcuni prodotti la merce di scambio è stata la certezza dell’acquisto di gas, particolare non secondario.
Italia e Germania sono i paesi europei che hanno maggiormente spinto per un compromesso presentato come indispensabile per scongiurare una guerra commerciale.
La Ue deve intanto fare i conti con la scarsa competitività della sua economia inficiata non solo dalla ridotta propensione di alcuni paesi ad assecondare i processi di innovazione tecnologica ma dalla debolezza del dollaro nel cambio con l’euro e dalla decisione da parte di Bruxelles di alleggerire ogni pressione sui grandi marchi dell’apparato informatico e tecnologico di Oltre oceano.
Senza perdersi nelle dichiarazioni ufficiali di partiti e associazioni, vale invece la pena di evidenziare la critica di associazioni datoriali che parlano del danno da 23 miliardi di euro per il nostro paese e la perdita di almeno 100 mila posti di lavoro
La variabilità dei dazi determina la crisi di alcuni settori, ad esempio, i produttori di Vini o dei generi alimentari sono tra i primi a criticare la intesa o almeno quella che viene venduta come tale. Viene stimato un danno di decine di milioni di dollari o di euro ai quali aggiungere altre cifre nel caso in cui la moneta americana continuasse ad essere svalutata rispetto all’euro. Perdere terreno nei mercati americani significherebbe venire scalzati da altri continenti pronti a sfruttare le debolezze altrui.
Opinione diffusa resta quella di giudicare positivamente l’accordo con gli Usa pensando sia portatore di stabilità commerciali ed economiche, a nostro modesto avviso una trattativa non c’è mai stata e il vecchio continente accoglie i dazi al 15% come un successo, una sorta di limitazione del danno. Ma l’accordo in terra irlandese tra Trump e Von der Leyen non salva la Ue dai timori che le contraddizioni possano presto esplodere all’interno dei singoli paesi, traspare la ricerca di un accordo a prescindere con gli Usa rinunciando in partenza a salvaguardare i prodotti tecnologici comunitari.
Più che cantare vittoria prevale a nostro avviso la rassegnazione o la riduzione del danno, il vecchio continente accetta l’aumento delle spese militari, la rinuncia a sviluppare alcune produzioni, l’obbligo di acquistare a caro prezzo l’energia proveniente dagli Usa, rinuncia a gareggiare in campo tecnologico o a tassare le multinazionali di Oltre Oceano. Per essere caustici e diretti, una volta tanto, è difficile non concordare con Orban che parla di una Europa sottomessa agli Usa.