Francesco Erspamer - L'americanizzazione del Bel Paese (nel menefreghismo dei penalizzati)

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Francesco Erspamer - L'americanizzazione del Bel Paese (nel menefreghismo dei penalizzati)

 

Mentre la sinistra italiana si preoccupava solo di transessuali e clandestini (che non bisogna chiamare così perché gli intellettuali liberal hanno stabilito che la mobilità è un diritto umano e universale, al pari dell’edonismo a suo tempo sancito dal documento fondativo del paese guida del liberismo, gli Stati Uniti), i troppo ricchi diventavano sempre più ricchi. Nel 2021 i grandi manager hanno visto incrementare i loro tutt’altro che magri stipendi del 17% raggiungendo di media il milione e 100mila annuali. Lo stesso non credo che siano soddisfatti; il loro obiettivo resta l’America, di cui invidiano il coefficiente Gini (dal nome di un italiano), ossia l’indice di ineguaglianza economica: lì è al 41,4; in Italia, malgrado gli sforzi dei governi Renzi e Draghi e l’indifferenza dei cittadini nei confronti delle loro politiche economiche, ancora al 35,9 (più però della Germania, 31,9, della Francia, 32,4, persino della Gran Bretagna di Boris Johnson, 35,1).

In altre parole, l’americanizzazione del Bel Paese prosegue implacabile. Come dicevo, nel menefreghismo generale, anche da parte delle categorie direttamente penalizzate (piccoli commercianti e imprenditori, lavoratori, pensionati, giovani disoccupati o condannati al precariato o all’emigrazione). Ovvio: i promotori delle liberalizzazioni non solo possiedono o controllano tutti gli strumenti ancora chiamati «d’informazione» (benché ormai non facciano che propaganda di regime e pubblicità) ma pure le forze politiche quasi al completo, dai piddini interessati esclusivamente alle libertà individuali ai sedicenti conservatori che fanno finta di volere che qualcosa resti come prima per poter cambiare tutto ossessivamente.

Quanto ai pentastellati, cioè gli unici che parevano intenzionati a ostacolare questa deriva (posizione che li ha resi l’oggetto di massicce campagne diffamatorie), si sono neutralizzati da soli con un qualunquismo massimalista che li ha portati a indirizzare la loro rabbia contro lo Stato e contro chi nel settore pubblico guadagnasse più di loro, a cominciare dagli odiati parlamentari (circa 140mila euro all’anno), contribuendo dunque al processo di privatizzazione e a stipendi privati, come dicevo all’inizio, di media dieci volte superiori, per non dire degli ingaggi plurimilionari di calciatori e conduttori televisivi in nome del mercato.

Ciò non significa che ci si debba abbandonare alla disperazione o, per evitarla, alla rassegnazione. Però occorre tornare ad avere ideali, programmi, metodi, obiettivi, e a dichiararli. Quale è la vostra priorità? La mia è, per quel che riguarda l'economia, una più equa distribuzione della ricchezza: non un comunismo puritano alla Pol Pot ma disparità contenute e programmate. Negli anni sessanta persino negli Stati Uniti gli amministratori delegati avevano stipendi mediamente venti volte superiori a quelli dei loro dipendenti; oggi guadagnano trecento volte di più. Perché? Perché gli abbiamo consentito di farlo. Come mai? Assorbendo e condividendo il dogma della libertà personale come unico valore e permettendo che merito e successo diventassero i parametri di giudizio politico, al posto della morale, della solidarietà, delle virtù sociali. Qualcuno è interessato a invertire la tendenza?

Francesco Erspamer

Francesco Erspamer

 

Professore di studi italiani e romanzi a Harvard; in precedenza ha insegnato alla II Università di Roma e alla New York University, e come visiting professor alla Arizona State University, alla University of Toronto, a UCLA, a Johns Hopkins e a McGill

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