Il Centro Mondiale Commerciale ed il Caso Pasolini – Parte seconda

Il Centro Mondiale Commerciale ed il Caso Pasolini – Parte seconda

L’inchiesta sul Centro Mondiale Commerciale conclude il proprio racconto degli aspetti finora nascosti dell’assassinio di Pier Paolo Pasolini

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Prosegue, con questa quarta puntata (la seconda parte del Caso Pasolini, qui la prima), l’inchiesta sul Centro Mondiale Commerciale ed i suoi legami con le pagine più occulte e drammatiche della recente Storia mondiale. Qui per leggere la prima e qui la seconda.
 
 
di Michele Metta* 

 
C’è un libro che, nella ricerca della verità sulla strategia della tensione, sicuramente ha in sé, assieme, le qualità di capostipite e di pietra miliare. Il suo titolo è La strage di Stato, ed è scritto da ciò che, nel gergo degli anni Settanta, era un Collettivo: persone di Sinistra, cioè, che messi con slancio in comune singole capacità e saperi, se ne servono per la salvaguardia ed il miglioramento della vita democratica. Talmente fondamentale, quel Collettivo, da essere, in epoca assai più prossima alla nostra, convocato da Guido Salvini quando il magistrato inizia ad indagare sulle stragi.

Uno dei suoi componenti di punta è senz’altro Edgardo Pellegrini: un attivista e giornalista che, in un’edizione commemorativa, aggiunge a quel libro un’appendice dove scrive d’essere incappato proprio nel Clay Shaw membro del CMC-Permindex da cui questa mia serie di articoli è partita. Scrive, infatti, Pellegrini:
 
Di Clay Shaw venne fuori che finanziava la Permindex. E che la Permindex finanziava i neo-fascisti in Italia e in Sud Tirolo. Tempo prima, seguendo come cronista il delitto Wanninger (una aspirante modella uccisa a Roma) ero stato sbattuto fuori a calci e a spintoni da uno strano ufficio di uno strano produttore tedesco che film non ne produceva. E avevo ancora negli occhi l’intestazione della lettera che aveva davanti, sulla sua scrivania: Permindex, naturalmente. Dopo la strage di piazza Fontana, i giudici milanesi in una perquisizione nella casa di un supposto golpista trovarono una vecchia velina del generale Allavena, capo dei servizi segreti, in cui si raccomandava di non scavare troppo a fondo nel caso Wanninger ... “Permindex, hai detto?”, mi chiese, una sera, Eduardo Di Giovanni. “Permindex, sissignore”. L’avvocato, che in pratica conoscevo da sempre, come Marco Ligini, aveva avuto, quasi per caso, un nome: Michele Sindona. E non so come avesse saputo di un collegamento italiano di Sindona: la Permindex.
 
Quel ch’è indispensabile aggiungere, prima di proseguire su John Kennedy, è che il Collettivo di Pellegrini contribuisce poi anche alla realizzazione, nel 1972, d’un’altra opera: filmica; e a firma di Pier Paolo Pasolini. È chiamata come il giorno della strage di Milano: 12 dicembre. Impiegati in tale impresa su celluloide furono i vertici stessi del Collettivo, a partire dal suo rappresentante più importante: il poco fa menzionato Eduardo Di Giovanni. La conferma mi è giunta personalmente proprio da ex integranti di rilievo di tale Collettivo, i quali hanno pure specificato che il grado d’intesa con l’intellettuale era tale da indurlo ripetutamente a doni in denaro già fin dalla stesura de La strage di Stato; cifre per coprire le necessità logistiche legate al reperimento delle notizie poi poste all’interno del volume. Addirittura, una volta conclusasi la fase preparatoria, Pier Paolo Pasolini aveva compiuto una donazione finale ulteriore, consistita in un assegno per le spese di messa in stampa, e che, oggi, equivarrebbe a parecchie decine di migliaia d’Euro. Assegno, ancor più in particolare, assai ben conosciuto da Giorgio Bandiera. Si tratta del Giorgio Bandiera che, oltre ad essere occultamente membro del Collettivo, è, dapprima, attore di prosa per la RAI e, poi, doppiatore: sua, ad esempio, la voce italiana del Dennis Weaver protagonista del cult di Spielberg Duel. Due volti – il segreto e il pubblico – fusi a perfezione quando il Bandiera presta, come voce narrante, le sue eccellenti corde vocali all’esempio più incisivo d’impegno sociale del regista e cantautore Paolo Pietrangeli: Bianco e nero, documentario icona del giustamente definito Cinema militante, ed il cui tema è proprio la Strategia della Tensione.

Tornando a 12 dicembre, a dimostrare che sia uno dei perni più riposti e importanti per comprendere vita e morte di Pasolini c’è un incontrovertibile dato: che si trattasse d’opera sua, è stato ignoto fino al recentissimo ritrovamento d’una registrazione audio. Registrazione dove, nel corso d’un incontro in casa propria con alcuni studenti, è lo stesso PPP a spiegare, lanciatosi in confidenze, il come ed il perché di quest’occultamento. Afferma l’intellettuale:
 
Stilisticamente, assomiglia molto a Comizi d’amore. C’ho lavorato, l’ho montato io, ho scelto io le interviste, ma non ho messo la regia, perché gli avvocati che l’hanno visto mi hanno detto che era pericolosissimo, che mi avrebbero messo in prigione. E allora, abbiamo trovato una formula per cui il mio nome ci fosse, perché chi voleva capire capisse, ma formalmente non potessero procedere contro di me. Io ho girato circa un sessanta per cento, ma l’ho montato tutto io.
 
Elementi che, messi assieme, sfociano inevitabilmente in una domanda: è mai possibile che nessuno del Collettivo abbia mai parlato al poeta del CMC-Permindex, la preda più ghiotta in cui erano incappati? Davvero difficile crederlo. Ancor più difficile, alla luce d’un paio di specifici tasselli da Pellegrini dati nel corso d’un dibattito del 1995. Infatti, a quesito postogli sulla genesi del volume La strage di Stato, così, dopo articolato discorso, conclude:
 
[C’è poi un] ultimo elemento: un punto di riferimento per come muoverci nella controinformazione, lo abbiamo importato; nel senso che, sulla morte, sull’assassinio di John Kennedy – altro assassinio di Stato mica male – […] si erano mossi due personaggi eccezionali. Uno, probabilmente, tutti quelli che hanno visto [il film] JFK sanno chi è: il procuratore della Louisiana Jim Garrison, su cui è incentrato il film; l’altro, invece, era un avvocato, che si era autonominato avvocato alla memoria di Lee Harvey Oswald. Si chiamava Mark Lane, e scrisse un libro stupendo che si chiamava L’America ricorre in appello. Jim Garrison e Mark Lane fecero le due più grandi controinchieste, credo, di questo secolo, su un delitto di Stato. Cioè: le controinchieste fatte dal Procuratore della Louisiana e da questo avvocato erano assolutamente una cosa spettacolosa, e in un gruppo di giornalisti democratici e di Sinistra [quale eravamo noi che contribuimmo alla stesura del libro La strage di Stato], eravamo costantemente in contatto con loro, con i loro gruppi, e studiavamo proprio come tecniche giornalistiche le loro tecniche investigative che erano tecniche alternative a quelle del potere. Queste tecniche d’investigazione giornalistica sono state importate pienamente dal gruppo che poi ha fatto La strage di Stato. Queste sono le varie componenti che stavano dietro a noi.
 
Pellegrini sta dunque dicendo che il gruppo di lavoro dal quale nasce il libro – gruppo di lavoro che, ripeto, determinantemente poi contribuisce al 12 dicembre film di Pasolini incentrato sul medesimo tema – era in contatto costante con l’accusatore del membro del CMC Clay Shaw: Jim Garrison.
Andiamo, ora, alla seconda delle dichiarazioni di Pellegrini sulla genesi del libro. Questa:
 
[È importante raccontare] perché fu possibile [...] avere l’idea, e i mezzi, e la voglia, di fare quest’inchiesta: [...] bisogna andare agli inizi degli anni Sessanta, e visualizzare [...] una casa in via dei Coronari: è la casa dove abita il – dove viveva – il burattinaio Otello Sarzi. Sì: il più grande burattinaio d’Italia, ma anche quello che ha cominciato la Guerra partigiana con i fratelli Cervi nel reggiano; ma anche il commissario politico di [Vincenzo] Moscatelli. E a casa di Otello era un grande via e vieni d’intellettuali e di partigiani. Qualche volta c’è venuto Pasolini; venne, e conobbe lì Mangiafuoco, Fellini, per cui, poi, è sul Mangiafuoco romano vero che viene creata la figura di Zampanò. Era una casa in cui c’era soprattutto un gran via e vieni di partigiani. [...]. E questo tipo di generazione partigiana era molto importante per molti di noi che frequentavamo casa Sarzi – io ci ho anche abitato per quasi un anno – ; è stata praticamente la prima grande Comune degli anni Sessanta.
 
Fermiamoci. Pasolini frequentava una casa assiduamente frequentata da Pellegrini: la casa d’Otello Sarzi. Il Sarzi partigiano e celeberrimo costruttore di burattini. Burattini da Otello Sarzi utilizzati per opere d’impegno civile le cui sceneggiature erano scritte da Marco Ligini: componente di vertice del Collettivo, tanto da essere l’estensore materiale del libro La strage di Stato.

In ultimo, è assai importante esaminare il dove ed il quando delle dichiarazioni di Edgardo Pellegrini riportate. Il dove è la Casa delle Culture di Roma: lo stesso luogo, cioè, che ha ospitato la Camera ardente di Pasolini all’indomani del suo omicidio. Il quando, è proprio al termine della proiezione, in occasione del ventennale della morte del poeta, della pellicola 12 dicembre pasoliniana. In una cornice siffatta, il senso di quanto Pellegrini pronuncia è persino ancor più largamente lampante. Sembra proprio d’udirlo, insomma, tra le righe, dirci d’aver sposato l’identico escamotage confidato da Pier Paolo Pasolini nella propria conversazione con il gruppo di studenti venuti a trovarlo nella propria abitazione: una formula perché chi voleva capire capisse.

*Le dichiarazioni e opinioni espresse nel presente articolo non necessariamente coincidono con quelle della redazione

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