La reale posta in gioco dietro il “caso Almasri”

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La reale posta in gioco dietro il “caso Almasri”

 

di Giacomo Gabellini

 

Verso la metà di gennaio, la Digos di Torino ha tratto in arresto Osama Almasri, generale libico su cui passato aleggiano non poche ombre e che prima di arrivare in Italia si era mosso per diverse settimane tra Francia, Belgio e Germania. La misura è stata applicata ai sensi dell’articolo 716 del c.p.p., che assicura alla polizia giudiziaria la possibilità di far scattare le manette verso un soggetto ricercato ai fini dell’estradizione nel Paese che abbia spiccato il mandato di cattura internazionale nei confronti dello stesso. Senonché, la Corte d’Appello di Roma ha disposto la scarcerazione con effetto immediato di Almasri per effetto dell’illegittimità della misura posta in essere dalla Digos di Torino, autorizzata a compiere arresti soltanto in esecuzione di mandati di cattura internazionale spiccati da Stati sovrani, mentre quello a carico di Almasri era stato spiccato dalla Corte Penale Internazionale, che aveva peraltro richiesto alla Germania di monitorare gli spostamenti dello soggetto.

L’articolo 11 della legge 237/12, che recepisce in Italia lo Statuto della Corte Penale Internazionale, contempla infatti, in caso di mandato di cattura spiccato dall’organo sovranazionale, l’attivazione di una procedura diversa da quella prevista dall’articolo 716 c.p.p. implicante il coinvolgimento diretto del Ministero della Giustizia in qualità di unico soggetto istituzionale competente. Il governo Meloni si richiama al vizio procedurale che ha caratterizzato l’arresto di Almasri, segnalato dalla Corte d’Appello,  per rivendicare la legittimità della sua scarcerazione propedeutica all’accompagnamento coatto verso il Paese di origine, sulla base di evidenti motivazioni di convenienza politica rimaste puntualmente al di fuori della baruffa politica, concentratasi sul ben più “comodo” tema dei diritti umani.

Sulla vicenda è intervenuto anche l’avvocato Luigi Li Gotti, che ha presentato una denuncia per favoreggiamento e peculato in concorso verso la premier Giorgia Meloni, i ministri Carlo Nordio e Matteo Piantedosi e il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Alfredo Mantovano. A sua volta, Li Gotti è stato destinatario assieme al procuratore di Roma Francesco Lo Voi di un esposto presentato dal collega Luigi Mele che ipotizza per il primo i reati di calunnia aggravata, attentato contro gli organi costituzionali e vilipendio delle istituzioni; per il secondo, di omissione d’atti d’ufficio aggravata e oltraggio a corpo politico.

Come va inquadrata la vicenda? Cerchiamo di farlo assieme a Michelangelo Severgnini, regista, scrittore e documentarista. È autore del volume 'L’urlo. Schiavi in cambio di petrolio', pubblicato da L’Antidiplomatico edizioni nel 2022 e dell’omonimo documentario.

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