L'attentato al cuore della Turchia e le trattative Usa-Russia ad Ankara

L'attentato al cuore della Turchia e le trattative Usa-Russia ad Ankara

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L’attentato avvenuto domenica in Turchia, che ha provocato sei morti e decine di feriti, ha un grande rilievo geopolitico, dato che si tratta di un colpo al cuore di una delle nazioni più importanti del mondo perché, pur facendo parte della NATO, ha dispiegato una politica estera indipendente, riuscendo anche a ritagliarsi un importante ruolo di mediazione nella crisi ucraina.

L’attacco al cuore della Turchia

L’attacco, benché condotto da una comune terrorista, arrestata subito dopo, è stato molto sofisticato. Lo denota sia il numero di arresti successivi, una quarantina di persone, sia l’obiettivo scelto, una delle vie più importanti di Ankara, viale Istiklal, frequentata per lo più da turisti.

Obiettivo rilevante anche perché si trattava di colpire una zona oggetto di scrupolosa sorveglianza, come evidenzia Zvi Bar’el su Haaretz, il quale annota come l’attentato sia stato “compiuto in pieno giorno in una via che l’intelligence turca segue da presso da anni, una zona nella quale sono in funzione innumerevoli telecamere di sicurezza ed è pattugliata da dozzine di poliziotti, sia in uniforme che in borghese”.

La Turchia negli ultimi anni era diventata una meta turistica alquanto ambita anche per la sicurezza che poteva garantire ai visitatori. Dopo la bomba, non sarà più così. Peraltro ne esce scalfita anche l’immagine dello stesso Erdogan, coma da conclusione della nota di Bar’el: “Non è solo un problema di sicurezza; [la bomba] minaccia anche la posizione politica e la popolarità di Erdogan, già precipitata negli ultimi due anni nonostante il fatto che l’opposizione non abbia attualmente un candidato serio da proporre alle elezioni del prossimo giugno”.

“L’ultima cosa di cui ha bisogno ora Erdogan, con un Paese precipitato in una crisi economica che ha causato il crollo della lira turca e un tasso di inflazione superiore all’85%, è di passare anche come leader che ha perso il controllo della situazione e non più in grado di garantire la sicurezza del Paese”.


La Turchia e il conflitto Est – Ovest

Abbiamo accennato come la Turchia si sia ritagliato un ruolo nuovo nella geopolitica globale, anche in contrasto con le linee guida occidentali, come denota anche il fatto che abbia iniziato i lavori per diventare l’hub energetico della Russia, che destinerà ad Ankara il proprio gas perché lo commercializzi.

L’ambiguità turca  da un lato giova al dialogo Est – Ovest, dall’altra la mette al centro di tante tensioni, internazionali e regionali. Proprio Ankara, infatti, ha ospitato oggi un incontro segreto tra una delegazione americana e russa, riferito dalla Reuters.

Secondo la ricostruzione di Bloomberg, il Capo della Cia, William Burns si è incontrato col suo omologo russo Sergei Naryshkin. L’incontro aveva come oggetto specifico lo scambio di prigionieri, i pericoli di escalation, ma non aprire prospettive di pace per la guerra ucraina.

E però, proprio in queste ore il Wall Street Journal ha rivelato che nella visita segreta di Jake Sullivan svolta in Ucraina nei giorni scorsi, un po’ minimizzata da altri media, il Consigliere per la Sicurezza nazionale Usa avrebbe chiesto a Zelensky non solo di aprirsi ai negoziati con la Russia, ma anche di abbassare le pretese a un livello più “realistico”.

Insomma, qualcosa sta succedendo nella crisi ucraina e la Turchia è al centro di questo qualcosa. E questo qualcosa è al centro di un feroce conflitto nel cuore dell’Impero tra falchi e colombe (in realtà, falchi un po’ più realisti).

Il messaggio, la rete del Terrore e i burattinai

Così, l’attentato di ieri potrebbe avere un significato diverso da quello che lo circoscrive a un mero capitolo dell’infinita saga della guerra a tutto campo lanciata da Erdogan contro i curdi.

E forse il clamoroso rigetto delle autorità turche della solidarietà di Washington per le vittime della bomba non deriva solo dal fatto che gli Usa sostengono i curdi, come da spiegazione ufficiale.

Molto interessanti, in tal senso, le parole del ministro degli Interni turco, Süleyman Soylu, riportate da Anadolu: “Siamo consapevoli del messaggio che ci è stato dato, l’abbiamo ricevuto. Sottolineo ancora una volta: non accettiamo le condoglianze dell’ambasciata americana, le respingiamo, perché il loro Congresso invia denaro alla rete che sostiene Kobane e le altre aree controllate dal terrore e da lì cerca di turbare la pace della Turchia”. Non siamo contro nessuno, ha aggiunto, non tradiamo nessuno, ma non possiamo tollerare quanto accade.

“Sappiamo perfettamente quale risposta ci è stata data e quale messaggio ci è stato recapitato […] Ovviamente, i terroristi sono stati catturati con un’operazione riuscita. Se non li avessimo catturati, oggi si sarebbero rifugiati segretamente in Grecia. Ciò perché sappiamo come sono stati coordinati e sappiamo da dove sono partiti”.

Quindi, Soylu ha fatto riferimento alla struttura terroristica. “I responsabili di questo attentato, ha detto, sono tutti quelli stanno sostenendo il PYD, chi sta cercando di fornire informazioni al PKK. Non c’è parlare granché delle pedine. Ci sono troppe pedine nel mondo […]. Vogliamo che si sappia: invieremo un messaggio di risposta al messaggio ricevuto e un messaggio molto forte”.

Interessante un altro particolare. Soylu ha detto che la Turchia è in possesso di un’intercettazione nella quale l’organizzazione terroristica dava istruzioni per uccidere l’autore dell’attentato, aggiungendo che “le nostre forze di sicurezza e le unità di intelligence hanno impedito che questa vicenda venisse coperta e che gli autori fossero eliminati”.

Interessante cenno, perché indica certe dinamiche del Terrore che si ripetono a tutte le latitudini. Ucciso l’autore dell’attentato, si chiudono le indagini. E la rete, e soprattutto chi usa della rete, è al sicuro.

Al di là, resta la trattativa segreta Usa – Russia e le tensioni di cui è oggetto la Turchia che, perseguendo con determinazione il sogno di neo-ottomano di Erdogan, si muove con spregiudicatezza nell’agone globale.

Ne fanno le spese i poveri diavoli, tra cui anche quei curdi che le tensioni regionali – in particolare le guerre in Iraq  Siria –  hanno ridestato a vita nuova, rinverdendo i loro sopiti sogni nazionalistici, preda però di sanguinose divisioni fratricide e di giochi regionali e internazionali che attraversano e intorbidiscono tali aspirazioni

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