L’Italia senza memoria, senza lavoro e senza casa
di Federico Giusti
Sul finir della Primavera il Parlamento ha approvato il pacchetto sicurezza, un insieme di norme, con fattispecie di nuovi reati e aggravanti, costruito ad arte per quella stretta repressiva da tempo nell’area. Non ci aspettavamo prese di coscienza clamorose e men che mai posizioni diverse, e critiche, dagli ordini di scuderia dei vari partiti. La povertà del dibattito parlamentare e di quello televisivo è sotto i nostri occhi, inutile prendersela con il crollo spirituale, con la frattura etica e morale derivante dalla globalizzazione o con lo spengersi di quel fuoco costituzionale che nel 1950 era già ridotto a una debole bracetta.
In Italia il richiamo alla Carta è stato da sempre poco utile fino a divenire il classico specchietto per le allodole di chi si nasconde dietro alla Costituzione per manifesta incapacità di leggere politicamente i cambiamenti sociali e politici e per troppi conflitti di interesse a limitare ogni azione dirompente per un effettivo cambiamento. Se poi i guardiani della Carta sono quelli che sappiamo, per quanto tempo ancora pensiamo di andare avanti con questa farsa? E a quale Carta faremo riferimento visto le molteplici narrazioni sulla Costituzione?
Siamo davanti a colossali rimozioni, citiamone solo alcune: negli anni Settanta tra la svolta dell’Eur e il Compromesso storico, negli anni Novanta con le missioni militari all’estero o il biennio 1992 93, la stagione della precarietà fino all’avvento del jobs act. Non sono stati incidenti di percorso ma tappe importanti nella storia repubblicana con cambiamenti importanti che non hanno scalfito minimamente le granitiche certezze di molti, ad esempio il fascismo non fu un incidente di percorso ma una lunga stagione che ha lasciato in eredità alla Repubblica antifascista il codice penale e i membri della classe dirigente che poi ritroveremo a capo di Prefetture, Questure, ministeri, università.
Il fascismo ebbe ampi consensi in ogni classe sociale e in misura inferiore nella classe operaia tanto che le camicie nere colpirono preventivamente tutte le sedi sindacali, politiche, l’associazionismo che rappresentava voce ed espressione delle classi contadine ed operaie. La dittatura fascista entra in crisi quando la Monarchia e una parte dei Gerarchi si alleano contro Mussolini, una Monarchia truffaldina che abbandonò subito buona parte delle regioni sotto il controllo nazista e non esitò a salvare all’indomani del 1945 le ricchezze di famiglia migrando verso paesi esteri.
La istituzione che aveva decretato la morte della democrazia liberale la troviamo indenne a gestire l’uscita dal Fascismo mettendo tuttavia al riparo i fascisti dai tribunali nazionali e internazionali, incluso chi si era reso responsabile di crimini orrendi. E questa classe politica impresentabile acquisisce peso sotto l’ombrello Nato e all’ombra della Democrazia Cristiana all’indomani della amnistia Togliatti.
Ci fermiamo qui con questo excursus storico utile a ragionare su una caratteristica tipica dell’Italia politica: il trasformismo e la continuità dei poteri forti una volta ripulitisi dalle immagini meno presentabili.
E gli ultimi 30 anni di storia italiana dovrebbero indurre a piccole riflessioni, ad esempio, gli esponenti del centrosinistra a capo di Fondazioni, aziende e riviste legate al commercio di armi, al voto di sindacalisti passati al Parlamento a favore delle peggiori leggi approvate, anche quelle dichiaratamente ostili agli interessi della classe lavoratrice.
Quando in Italia parliamo di indipendenza e sovranità del potere politico dovremmo addentrarsi nella storia e nei contesti storici in cui determinate decisioni sono state assunte, ad esempio le politiche del lavoro, l’innalzamento dell’età previdenziale, il welfare aziendale e la inesorabile decadenza del servizio sanitario nazionale e del welfare aziendale. Da semplici letture si evince che questo paese ha subito nel tempo continue svolte moderate che hanno limitato ogni critica ai dominanti, è avvenuto ad esempio negli anni Cinquanta e sessanta sulle tematiche dell’abitare regalando leggi favorevoli non all’edilizia popolare e alle classi sociali meno abbienti ma pensando di farlo attraverso incentivi all’acquisto della prima casa e generose compensazioni ai proprietari dei terreni espropriati. Ed oggi abbiamo il panorama di case popolari più fatiscente e inadeguato dei paesi a capitalismo avanzato e dobbiamo perfino sorbirci ore di trasmissioni a difesa della proprietà privata minacciata dagli occupanti.
Avremo tempo per analizzare la sconfitta referendaria, perché tale è, con meno del 30 per cento degli aventi diritto recatisi alle urne, nel frattempo dovremmo fare i conti con i nostri limiti e le pagine della storia recente e passata rimosse senza mai avere tratto prima le dovute lezioni.
Non si tratta di un mero esercizio intellettuale ma di una necessità impellente, si impara dagli errori se abbiamo la umiltà di correggerci prima che sia calato l’oblio. E quindi non esitiamo a porci domande scomode cercando risposte non convincenti ma almeno veritiere senza le quali continueremo a muoverci all’angolo del tappeto come dei pugili suonati.
Sono vivamente consigliati ai fini di una lettura aggiornata della realtà alcuni contributi quali
Sarah Gainsforth L’Italia senza casa Laterza 2025
La Fionda numero 22024 Lo stato incostituzionale e in particolare i saggi di Davide Conti, Stefania Limiti, Carlo Galli, Maco Baldassari e Aldo Giannulli