L'ossessione di Bernad Henri Lévy per la guerra
La «Russia di Putin è, come l’Iran degli ayatollah, una minaccia esistenziale per l’Occidente». In un delirante articolo su La Stampa, il fondamentalista atlantico Levy manda questo messaggio a Trump
di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico
Pare ci sia davvero molto «caos latente» nelle teste di certi “filosofi” dehors, i quali ambiscono al titolo di portatori di una “instabilità” che, lungi dall'essere nascosta, essi stessi scalpitano per manifestare. E capita, ogni tanto, che qualcuno, forse mosso da cristiana carità, gliene offra l'opportunità, mettendogli a disposizione un po' di spazio, editorialmente parlando. D'altra parte, specialmente nelle domeniche estive, se proprio non ci sono bombardamenti strategici o nucleari di cui dar conto, ma solo qualche scaramuccia in una regione periferica dell'emisfero, sconosciuta ai più, gli spazi devono venir pur riempiti con qualcosa.
In questo senso, se ne ha un esempio con il (purtroppo) ricorrente “filosofo” stagionale Bernard-Henri Lévy. Stagionale, anche nel senso di esser avvezzo a fare le proprie comparsate ogni qualvolta ci sia da sparare – nel senso bellicista del termine – su jugoslavi, siriani, libici, afghani: insomma, quando si dice una “fissazione”, che un tempo veniva trattata in appositi asettici locali, ma oggi fatta caritatevolmente passare per “essenziale contributo intellettuale” sulla tale o talaltra questione.
Così, forse stizzito perché la possibilità di mettere a parte i lettori de La Stampa delle proprie apologie nazisioniste gli era stata prematuramente concessa lo scorso 20 di giugno, alla vigilia cioè del bombardamento yankee sui siti nucleari iraniani, privandolo così dell'opportunità di esprimere tempestivamente la propria estasi per gli effetti dell'attacco, ecco che il 29 di giugno monsieur Henri-inespresso-Lévy ha nuovamente chiesto udienza al foglio torinese, per palesare un'indubitabile perfetta discontinuità col normale corso neuronale.
Lui lo ha pur detto, lo ha ripetuto e ripetuto – d'altronde, è questo uno dei sintomi più comuni – che le sacre democrazie d'Occidente sono sottoposte a «un potente assalto da parte di un fronte eterogeneo, ma sempre più coeso», composto da Cina, Russia, Turchia, Iran e Islam radicale, così che si è già entrati nella «fase iniziale di una nuova guerra mondiale, i cui fronti principali passano per Ucraina e Israele». Ma, ci verrebbe da chiedere al crepuscolare pensatore: e la “pericolosamente nucleare” Corea del Nord, che, pure, altri maestri di grido dei “valori occidentali” inseriscono in quel «fronte eterogeneo»? Bah: forse BHL ne sottovaluta il potenziale “nocivo” in termini di “terrorismo psicologico applicato alla intermittenza neuronale” filosofica. Vallo a sapere.
A ogni buon conto, questa volta, il vespertino fustigatore ukro-sionista, coglie l'occasione per farsi consigliere dello stesso presidente USA, avvertendolo che l'attacco del 22 giugno all'iraniana Fordow rischia di rimanere monco, se non sarà seguito da un uguale intervento contro la parallela minaccia anti-occidentale che viene dalla Russia. Detto schietto schietto: ci vuole alla svelta un altro 22 giugno, insomma, forse non proprio come quello del 1941, alle “quattro precise del mattino”, ma da assestarsi sul modello 2025, intorno alla mezzanotte.
Monsieur Lévy, in breve, reputa proprio dovere ragguagliare Trump su temi che, dio non voglia, l'intelligence USA potrebbe aver omesso di trasmettergli, a proposito della Russia quale «partner strategico» di Teheran sull'intera catena nucleare iraniana, e anche sul tema dei blocchi di alleanze, BRICS e SCO, cui partecipano entrambi gli inviati di Satana in terra, o della perfida mano moscovita nell'armare Hamas in vista del “7 ottobre”.
Insomma, dopo il tempo di “raccogliere pietre” per gli onori a Donald, viene il tempo di “scagliare pietre”, per ammonirlo che un «presidente degli Stati Uniti non può colpire l’Iran un giorno e il giorno prima o il successivo riconoscere in Vladimir Putin, principale sostenitore del regime colpito, un dirigente “importante”, “dotato di grande charme”, meritevole di “una tripla A” e con il quale potrebbe “andare d’accordo benissimo”»: e che diamine, se ne renda conto, signor Presidente degli Stati Uniti.
È edotto, il signor presidente americano, del fatto che Teheran e Mosca sono ugualmente convinte che «Ucraina e Israele, non hanno davvero il diritto di esistere e, se fosse possibile, dovrebbero essere cancellati dalla carta geografica»? Ha contezza, Mr. President, della sacralità dei «due Paesi aggrediti», che si esprime, «nella società ucraina di oggi come nella società israeliana», in un'angelica «medesima cultura filo-occidentale, filo-americana e, soprattutto, anti totalitaria e democratica che ne fa i nostri alleati naturali»? Sa tutto ciò l'insigne presidente? Ha visto, il signor Presidente, con quanto ardore “anti totalitario”, con quanta “democratica” determinazione “filo-occidentale” sappiano muoversi «i nostri alleati naturali», gli uni, a Gaza, mentre gli altri, con quanta «cultura filo-occidentale» siano stati capaci di organizzare la faccenda a Bucha?
Ebbene, se lo lasci suggerire, da chi, avvolto notte e giorno negli incubi “autocratici” dati dalla malefica «internazionale autoritaria» che domina «intere regioni del mondo», è pienamente addentro ai misteri del caos: «Gli stessi motivi che spingono a correre in aiuto degli israeliani attaccati su sette fronti, devono spingere a correre in aiuto degli ucraini la cui terra – da nord a sud, dal Donbass al Mar Nero – è martoriata giorno dopo giorno dagli squadroni della morte di Putin», in confronto ai quali i sette principi dell'inferno non sono che angelici spiriti innocenti.
Vede, Signor Presidente (questo, il “filosofo”, non lo ha detto esplicitamente, ma non dubitiamo che lo avesse in mente) come il latente “caos numerico” si ripeta: là gli «israeliani attaccati su sette fronti» e qua i sette demoni infernali, Lucifero, Leviatano, Azazel, Asmodeo, Belfagor, Mammona, Belzebù che, nell'aggressione tanto a Israele, quanto all'ebreo Zelenskij, sono alleati di Astaroth, Baal, Dagon, Moloch. Dunque, glielo ripeto, onorevole Trump: «Non si può essere amici di Israele e non essere, con la medesima determinazione e se si vuole davvero che l’America torni a essere un po’ “grande”, anche amici dell’Ucraina sofferente e resistente».
Egregio Presidente, contro gli «squadroni della morte di Putin», (anche questo è rimasto tra le raccomandazioni inespresse di BHL e ci prendiamo la briga di suggerirlo noi, a Trump, per conto suo) Lei deve sostenere i celestiali Cherubini di “Azov”, i soavi Serafini di “Ajdar”, i virtuosi Arcangeli di “C14”, che tanta prova di cristiana sollecitudine hanno dato, a suon di mortai, bombe a grappolo, sugli asili di Volnovakha, coi proiettili da 155 mm amorevolmente indirizzati verso i parchi in cui passeggiavano i civili di Gorlovka, i bimbi di Stakhanov, gli anziani di Donetsk.
Ma soprattutto, mi raccomando «ed è la terza cosa che si dovrebbe rammentare al più presto al presidente Trump – che, in questo periodo in cui l’attenzione di tutto il mondo si concentra sul Medio Oriente, la guerra contro l’Ucraina entra in una fase particolarmente terribile». Atroce e così spaventosamente irreale che quei barbari dei russi, pensi, Mr. President, dopo aver scavato trincee con le unghie, dato che non avevano nemmeno un picconcello, dopo aver cercato di resistere ai prodi ucraini con le vanghette tattiche, dato che non avevano più nemmeno il classico “fucile ogni tre soldati”, come avveniva nel 1941 e oggi ci raccontano con così tanto “realismo”, pensi, «l’esercito russo è arrivato a un tale grado di barbarie che nel Donbass occupato si segnalano casi di cannibalismo»: i soldati russi, ormai alla fame, sparano ai propri commilitoni – cioè, quello col fucile spara agli altri due senza il fucile – e poi se li mangia. Pensi, onorevole Donald, a qual grado di barbarie medievale possano giungere gli “autocratici” euroasiatici in guerra contro la benevola “civiltà occidentale”.
Ricordi, signor Presidente: i russi sono ridotti alla fame e al cannibalismo; ma, proprio per questo, la «Russia di Putin è, come l’Iran degli ayatollah, una minaccia esistenziale per l’Occidente». Si muova, egregio Mr. Trump: «per sventare questa minaccia è indispensabile aiutare l’Ucraina con tutto il cuore e armarla».
Conto anche, voleva aggiungere nel finale il “filosofo” dehors, che così come La Stampa ha avuto compassione della mia “latenza caotica”, così anche altre istituzioni benefiche, che operino da via Solferino, o da via Colombo, diano il dovuto spazio alle mie suppliche, volte a mettere in guardia il Sacro Occidente dall'avere troppa premura nei riguardi di chi non merita altro che si armino a dovere i suoi prodi avversari: avvertibile Donald, rifornisca al più presto Kiev (oh, chiedo venia: Kyiv, dio ce ne scampi) di missili, droni, bombe, aerei; e non dimentichi le razioni tattiche di carne in scatola.
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