Ma perché le fosse comuni dell'Isis non sono una notizia per l'occidente?

Ma perché le fosse comuni dell'Isis non sono una notizia per l'occidente?

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di Fulvio Scaglione*Micromega

Davvero abbiamo capito che cos’è l’Isis? Qualche volta è lecito dubitarne. Per esempio: che notizia è stata data, a proposito delle milizie del califfato, in data 7 maggio, 20 agosto e 30 agosto 2016? Nessuno saprebbe dirlo per una semplice ragione: i fatti scoperti in quei giorni sono passati sulla grande stampa sotto forma di piccole notizie, riquadri in pagine dedicate a ben altro.

Eppure… Il 7 maggio Jan Kubis, inviato speciale dell’Onu per l’Iraq, annunciava la scoperta di oltre 50 fosse con i cadaveri di civili massacrati da quelli dell’Isis. Tre di queste fosse, con una cinquantina di corpi, erano state scavate nel campo di calcio della città di Ramadi. Il 20 agosto, i portavoce dei reparti curdi e arabi entrati a Manbij dopo la cacciata dell’Isis, rivelavano la scoperta in città di 27 fosse comuni, scavate nei parchi della città per nascondere i corpi martoriati dei civili che avevano tentato di allontanarsi. E il 30 agosto l’Associated Press forniva le coordinate, tra Siria e Iraq, di 72 fosse comuni contenenti migliaia di corpi (potrebbero essere anche 15 mila) sparse per il territorio sfuggito al controllo dell’Isis in ritirata. Tutti civili i morti, caduti in esecuzioni di massa di stile nazista durate anche giorni, in qualche caso proseguite anche di notte alla luce delle cellule fotoelettriche.

Nessuna di queste notizie (e di molte altre simili: molto tempo dopo la liberazione di Palmira, furono scoperti i corpi di 66 soldati siriani, uccisi a sangue freddo e nascosti nelle fogne) ha avuto molto risalto. Tutte sono state liquidate con un centesimo del risalto dato alla foto del povero Omran Daqneesh, il bambino di Aleppo finito sotto un bombardamento e poi accuratamente messo in posa dai fotografi vicini ai ribelli anti-Assad.

E’ il caso quindi di ripetere la domanda: abbiamo davvero capito che cos’è l’Isis? Tanta indifferenza a fronte di così tanti morti (per fare un paragone: è stato calcolato che tra il settembre 1943 e l’aprile 1944 i nazisti compirono in Italia oltre 400 stragi, per un totale di circa 15 mila morti) si può spiegare in modi diversi. Con la subalternità della stampa ai modi della comunicazione social, per cui il bambino (martire ma vivo) ben fotografato rende più di un massacro che non andrà mai su Facebook. Con il tifo politico, perché il duo Assad-Putin è molto visibile e antipatico, mentre gli sceicchi che pagano i miliziani non compaiono mai, e il soft power americano fa sentire i propri effetti nella distribuzione delle patenti di “bontà” e “cattiveria”.

Ma la sensazione dominante è che proprio si stenti ad afferrare sia la dimensione sia, soprattutto, la natura dello Stato islamico: un esercito mercenario di morte al servizio dell’estremismo islamico. L’Isis è un’arma. Che viene usata contro qualunque musulmano non sia disposto a inchinarsi al credo salafita e wahabita. Non è un caso, infatti, se la maggior parte delle vittime dell’Isis è fatta di musulmani sunniti quando anche quelli dell’Isis sono sunniti. Così come non è un caso, al contrario di quanto lasciano intendere quasi tutti i giornali, se in Siria e in Iraq i morti tra i civili erano più numerosi quando l’Isis aveva più spazio e potere: più di 46 mila nel triennio 2011-2013, quasi 18 mila nel 2014, oltre 13 mila nel 2015.

* Pubblichiamo su gentile concessione dell'Autore.

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