Medio Oriente: scelta tra caos e riequilibrio internazionale
di Fabio Massimo Parenti* - CGTN
Evitare una ulteriore escalation in Medio Oriente fermando la guerra tra Israele e Iran è un obbligo della comunità internazionale. Lo hanno riaffermato Xi-Putin nella loro telefonata del 19 giugno. Il presidente cinese in particolare ha sottolineato la necessità di una tregua immediata, un cessate il fuoco per tutelare innanzitutto i civili ed avviare trattative seguendo esclusivamente la via diplomatica del dialogo. Per far ciò, la Cina ribadisce, come di consueto, la necessità di un maggiore impegno della comunità internazionale attraverso un ruolo più incisivo del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Dobbiamo constatare tuttavia che i numerosi richiami alla calma, alla diplomazia e alla de-escalation non stanno trovando terreno fertile sui due fronti bellici più strategici e sensibili nel processo in corso di trasformazione degli assetti di potere al livello internazionale.
I nuovi massicci e distruttivi attacchi israeliani, che hanno generato contrattacchi di autodifesa da parte iraniana, rientrano in un quadro regionale già andato fuori controllo in Palestina, con la progressiva distruzione di Gaza e della Cisgiordania, ove è in corso un vero e proprio genocidio per mano di Israele. Nazioni Unite e cosiddetta comunità internazionale risultano assenti, conniventi, in quanto al di là di dichiarazioni di condanna delle operazioni israeliane da parte ad esempio del Consiglio per i diritti umani dell’Onu, che le definisce “compatibili con genocidio”, e le risoluzioni non vincolanti dell’Assemblea Generale, Israele sta continuando le proprie campagne di distruzione e uccisione indiscriminata di civili. Altre condanne ufficiali sono giunte da Sudafrica e Brasile, così come Russia e Cina hanno mostrato una ferma posizione contro le azioni di Israele. Tuttavia, è proprio il sostegno statunitense ed europeo ad Israele a non essere venuto meno e ciò ha consentito a Netanyahu di allargare il conflitto alla Siria, al Libano e oggi, drammaticamente, all’Iran.
Negli ultimi decenni, benché con una storia ancora più lunga alle spalle, si è consolidato un asse strategico tra Washington, Londra e Tel Aviv, deciso a mantenere il primato del dominio dell’Occidente a ogni costo. Questo blocco atlantico, o meglio alleanza trilaterale, ha attuato una strategia sistematica di accerchiamento e destabilizzazione contro Mosca, Pechino e Teheran, percepiti come i principali ostacoli ad un ordine unipolare a guida Usa, consolidatosi con la fine della Guerra fredda. Conflitti, sanzioni, rivoluzioni pilotate e guerre ibride sono stati gli strumenti centrali per contenere l’ascesa eurasiatica. Destabilizzando e favorendo continui cambi di regime, dall’Iraq alla Libia, passando per la Siria ed oggi si spererebbe, come si evince dai media mainstream occidentali, per Russia ed Iran.
Alla luce degli eventi attuali, è evidente che il confronto non è tra democrazia e autoritarismo, ma tra un potere imperiale in declino e nuove potenze che rivendicano sovranità e multipolarismo. Mosca, Pechino e Teheran non possono cedere il passo a un ulteriore espansionismo della rete che fa perno su Washington-Londra-Tel Aviv. Tuttavia, questa contrapposizione da nuova guerra fredda, eseguita a partire dall’amministrazione Biden, e che rimanda alle analisi strategiche di Brzezinski degli anni Novanta, è voluta solo ed esclusivamente dal blocco occidentale, mentre i nuovi poli eurasiatici sarebbero interessati alla riforma pacifica del sistema internazionale, date le sue trasformazioni materiali, evitando di riproporre vecchi schemi egemonici di cui sono stati vittime.
Oggi la Cina si rifiuta di impegnarsi in una corsa agli armamenti o nello spazio (o in qualsiasi altro settore strategico) direttamente con gli Stati Uniti o con qualsiasi altra potenza, proprio per evitare che la propria agenda di sviluppo venga dettata indirettamente da altri. Inoltre, non intende in alcun modo farsi mettere all’angolo o confinare in un ristretto circolo di nazioni alleate attraverso strategie di decoupling economico e commerciale. Sul piano diplomatico, questo approccio “aperto” è sostenuto dai Cinque Principi della Coesistenza Pacifica, formulati da Zhou Enlai negli anni Cinquanta. La politica estera antimperialista del passato è rimasta intatta con vari adattamenti fino a giungere all’ascesa pacifica e infine alla Comunità umana dal destino condiviso di Xi Jinping. Insomma, mentre il rifiuto dell’egemonismo cinese è un dato incontestabile nella sua storia passata e soprattutto in quella recente, Usa e vassalli europei mostrano di lavorare sempre più al di fuori del diritto internazionale, abbracciando il militarismo e l’espansionismo come negli ultimi secoli di dominio mondiale. Nel nuovo mondo contemporaneo, con nuove potenze, maggiore interconnessione e nuove leadership, c’è chi come la Cina richiama costantemente l’applicazione del diritto internazionale e l’uso effettivo delle istituzioni della governance mondiale, come il consiglio di sicurezza e il WTO, e chi invece, il cosiddetto “occidente”, ridimensionato ed altamente indebitato, non riesce ad uscire fuori dalle logiche imperialiste e colonialiste.
Le trattative bilaterali di Trump con i principali paesi della regione sono risultate finora inefficaci, tanto in Medio Oriente quanto in Ucraina. La ragione dello scarso impatto delle azioni statunitensi, volte inizialmente a trovare risoluzioni durature a questi conflitti, risiede nell’approccio unilaterale con cui si cerca di imporre un unico punto di vista per far prevalere un unico interesse strategico ed economico. E’ naturale che stiamo parlando di un approccio che nega i principi base della diplomazia, che implicherebbe mediazione e sintesi equilibrata tra prospettive ed interessi diversi per raggiungere obiettivi di stabilità comuni. A causa di questi fallimenti americani, del loro approccio unilaterale ed impositivo, nonché dei doppi standard nel sostenere le guerre di aggressione degli amici e condannare quelle dei rivali geopolitici, tanto la Russia quanto l’Iran non sono riusciti a raggiungere accordo alcuno con la squadra del nuovo inquilino della Casa bianca.
*Fabio Massimo Parenti è professore associato di studi internazionali e Ph.D. in Geopolitica e Geoeconomia