Trattato del Quirinale: le mani della Francia sull’Italia

Trattato del Quirinale: le mani della Francia sull’Italia

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Oggi Mario Draghi e il presidente francese Emmanuel Macron firmeranno a Roma un “trattato di cooperazione rafforzata” noto come Trattato del Quirinale. Il problema è che, al di fuori della cerchia ristretta di Draghi (e, si presume, del Quirinale), nessuno sa quale sia il contenuto del trattato. Neanche il Parlamento, che non ha letto il testo e «non ne sa nulla», ha dichiarato Giorgia Meloni, e che sarà chiamato ad approvare il testo solo dopo che è stato firmato dai due leader, in quella che possiamo considerare a tutti gli effetti una semplice formalità, vista l’assoluta subalternità del Parlamento nei confronti del governo Draghi.

Su tutta la vicenda, insomma, vige la massima segretezza. Quel poco che sappiamo è che il trattato è stato proposto per la prima volta da Macron nel 2017 e che poco dopo, all’inizio del 2018, sono stati avviati i colloqui con l’allora prima ministro italiano Paolo Gentiloni, oggi commissario europeo per l’economia. L’accordo è stato poi messo in stand-by in seguito alla nascita del governo gialloverde, che si è scontrato con la Francia su diverse questioni, dall’immigrazione alla Libia ai rapporti tra Movimento 5 Stelle e movimento dei gilet gialli. I colloqui sono poi ripresi sotto il governo Conte II, per subire una drammatica accelerazione con l’arrivo di Mario Draghi a Palazzo Chigi, all’inizio di quest’anno.

Data la storia (recente e non solo) delle relazioni italo-francesi, la natura clandestina di questo accordo non sorprende. L’atteggiamento predatorio della Francia nei confronti dell’Italia – e la nostra subalternità nei confronti dei cugini transalpini – è cosa nota, dopotutto. Basti pensare che solo negli ultimi quindici anni le acquisizioni di imprese italiane da parte di imprese francesi sono state quasi 350, per un valore complessivo di quasi 50 miliardi di euro, ponendo la Francia in cima alla lista dei paesi che in questi anni hanno fatto “shopping” nel nostro paese. Le centinaia di società e di marchi prestigiosi – nei settori della moda, dei trasporti, delle telecomunicazioni, dell’alimentare, dell’industria pesante, dell’energia, della finanza – passati in mano francese in questi anni includono Acqua di Parma, Bulgari, Fendi, Loro Piana, Gucci, Bottega Veneta, Pomellato, Richard Ginori, Sergio Rossi, BNL, Cariparma, Edison, Eridania, Galbani, Invernizzi, Locatelli e tanti altri.

L’ultimo colpo messo a segno dalla Francia è indubbiamente la creazione di Stellantis, nata dalla fusione tra FCA e la francese PSA, che ha di fatto messo l’azienda automobilistica italostatunitense sotto gestione francese (incluso dello Stato francese, che continua a a detenere una quota importante di Peugeot). Mentre è di questi giorni la notizia che la KNDS, una joint venture franco-tedesca nel settore della difesa, ha fatto un’offerta per acquistare la divisione sistemi di difesa di Leonardo. Che la Francia consideri l’Italia “roba sua” è dimostrato anche dagli sforzi di Vivendi per mantenere il controllo di TIM dall’assalto degli americani di KKR.

Non sorprende, dunque, che l’anno scorso persino il Comitato parlamentare per la sicurezza della Repubblica abbia denunciato la «crescente e pianificata presenza di operatori economici e finanziari di origine francese nel nostro tessuto economico, bancario, assicurativo e finanziario, nonché [le] forti interrelazioni tra soggetti industriali ed economico-finanziari italiani e gli anzidetti operatori», e manifestato la sua «preoccupazione in merito alla circostanza che tale aspetto, in via ipotetica, possa anche determinare strategie, azioni e atteggiamenti non sempre in linea con le esigenze economiche nazionali».

Nel frattempo la Francia si è guardata bene dal lasciare che le proprie aziende finissero in mano italiana: nel 2017, in seguito all’acquisizione da parte di Fincantieri della quota di maggioranza dei cantieri navali STX di Saint-Nazaire, in Francia, Macron ha “temporaneamente” nazionalizzato l cantiere per evitare che finisse in mano a Fincantieri. Questo episodio è indicativo di come l’establishment francese sia “europeista” a parole ma nei fatti difenda aggressivamente (e anche giustamente, aggiungerei) i propri interessi nazionali. Il che non si può certo dire della classe dirigente italiana. Basti pensare che nello stesso anno in cui Paolo Gentiloni ha avviato i negoziati per il Trattato del Quirinale per poco non ha ratificato un altro trattato – il Trattato di Caen, ripudiato poi all’ultimo momento dopo la protesta delle opposizioni – che avrebbe ceduto alla Francia una porzione importante di acque territoriali italiane. Purtroppo questo atteggiamento servile dei nostri politici nei confronti della Francia non è cosa nuova.

E forse non è un caso che molti membri di spicco del Partito Democratico – incluso il suo attuale segretario, Enrico Letta – siano stati insigniti della Legion d’onore, la più alta onorificenza francese. Letta – soprannominato non a caso “il francese” – intrattiene (e ha intrattenuto in passato) anche rapporti molto stretti con numerose società francesi.

Alla luce di tutto ciò, è comprensibile che il trattato in questione desti molta preoccupazione circa le sue conseguenze, in primis, per l’industria italiana. Ma in verità anche su molti altri temi – come la politica estera (vedi la Libia) e l’immigrazione – gli interessi di Italia e Francia sono stati spesso divergenti, se non addirittura conflittuali. Appare dunque molto improbabile che il trattato darà vita a un nuovo asse italo-francese in grado di agire “nell’interesse comune” dei due paesi e magari anche di riequilibrare l’egemonia tedesca in Europa, come hanno sostenuto alcuni commentatori.

Appare molto più probabile, dati i rapporti di forza (materiali e anche oserei direi psicologici) tra i due paesi, che il trattato servirà semplicemente a consolidare la sussunzione dell’Italia nella sfera d’influenza della Francia e ad erodere ulteriormente quel poco di sovranità che è rimasto al nostro paese. Come scriveva nel 2017 Roberto Napoletano, ex direttore del Sole 24 Ore: «Nei circoli internazionali il ragionamento politico prevalente dà per acquisito che i francesi vogliono conquistare il Nord dell’Italia e magari lasciare che il Sud diventi una grande tendopoli per gli immigrati di tutto il mondo».

Non c’è alcun motivo per ritenere che le cose siano cambiate da allora.

 

[AGGIORNAMENTO la bozza del trattato è stata pubblicata pochi minuti fa: https://www.governo.it/sites/governo.it/files/Trattato_del_Quirinale.pdf ]

Thomas Fazi

Thomas Fazi

Economista e saggista. Autore con W. Mithchell di "Sovranità e barbarie" (Meltemi). Su twitter:  @battleforeurope

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