23 miliardi in più di spese militari: il primo antipasto della Legge di Bilancio

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23 miliardi in più di spese militari: il primo antipasto della Legge di Bilancio

 

di Federico Giusti e Emiliano Gentili

È da poco uscito il Documento programmatico di finanza pubblica del Governo Meloni da cui scaturirà lo Legge di Bilancio, della quale, a breve, sarà reso pubblico il testo. Questo dovrà ricevere prima l’assenso di Bruxelles, per poi passare alla discussione nelle commissioni parlamentari. L’iter si chiuderà con il voto e l’approvazione in Parlamento entro il Natale 2025.

Il testo è corposo e necessita di tempo per una analisi puntuale. Da una prima lettura, comunque, sembra aver ragione parte della stampa (ad esempio l’Avvenire) a parlare di una manovra “leggera” per le famiglie ma invece “pesante” in termini di spese militari. Avevamo quindi ragione da vendere nel sostenere che il Governo non avrebbe ampliato il welfare e men che mai fornito indicazioni all’Aran e alle imprese per un aumento dei salari in linea con il costo della vita.

Non avremo una Finanziaria “lacrime e sangue” perché il movimento complessivo di risorse sarà di circa 16 miliardi, tuttavia non è detto che i numeri rimangano questi al momento dell’approvazione definitiva del testo in Parlamento. Quello che invece va evidenziato è l’aumento delle spese militari pluriennali: si parla di 23 miliardi nel prossimo triennio, a cui aggiungere altri capitoli di spesa afferenti a diversi ministeri ma sempre riconducibili all’impegno bellico.

Fatti due conti si evince che il Governo Italiano non aumenterà repentinamente le spese militari quanto altri paesi, ma le accrescerà progressivamente passando dagli attuali 45 miliardi di euro annui a oltre 61 nel 2028. Certo, dal Governo potrebbero raccontare di aver limitato fortemente le spese militari, avendole mantenute al di sotto delle richieste Usa e Nato, ma la sostanza non cambia. L’Osservatorio Milex parla di un esborso ulteriore pari a 23 miliardi nel triennio: “circa 3,5 miliardi di euro nel 2026, oltre 7 miliardi nel 2027 e infine oltre 12 miliardi nel 2028”.

E colpisce il dinamismo della spesa militare in una Legge di bilancio con 6 miliardi di entrate e quasi 10 di “interventi sulla spesa” (un termine elegante per non parlare esplicitamente di “tagli”).

Il Governo ha un obiettivo: scendere sotto il 3% del deficit per porre fine alla procedura di infrazione decisa dalla Ue. A tale scopo è stata predisposta a una legge di Bilancio senza investimenti corposi e men che mai senza interventi orientati alla ripresa della domanda, che invece va stagnando.

Fatto grave è che si parli di coprire i tagli ai ministeri con un eventuale contributo delle Banche nella forma del prestito.

Il Consiglio dell’Ufficio parlamentare di bilancio (UPB) nel frattempo ha approvato le linee guida del Documento programmatico di finanza pubblica (DPFP) 2025. Attendiamo ulteriore documentazione, ma dalle prime osservazioni (una nota di stampa) si fa capire che le previsioni macroeconomiche sono quelle attese, ma nonostante non siano esaltanti forse si riveleranno un po’ troppo ottimistiche, vista la dinamica degli investimenti, il contesto internazionale e i processi speculativi sulle materie prime.

L’UPB, dal canto proprio, analizza i rischi presenti e futuri: 

I principali fattori di rischio sono individuabili in quattro ambiti: il protezionismo, le guerre e i piani di riarmo, fonti primarie di incertezza con effetti sull’economia di difficile quantificazione; la dinamica degli investimenti in costruzioni, dati i possibili effetti di concentrazione degli interventi finanziati dal programma NGEU nel prossimo anno, che potrebbero generare colli di bottiglia sul lato dell’offerta con conseguente freno alla crescita, cui si aggiungono attese incerte sugli investimenti residenziali; la volatilità dei mercati e le politiche monetarie, dove il fragile e instabile contesto internazionale rischia di ingenerare rapide reazioni avverse dei mercati finanziari, con effetti sull’economia italiana, caratterizzata da un elevato debito pubblico; il rischio climatico e ambientale, ormai fattore strutturale di vulnerabilità, poiché la crescente frequenza e intensità di eventi meteorologici estremi richiede risorse per la prevenzione e la gestione delle emergenze, con impatti sui prezzi e sulla capacità produttiva.

 Le spese per il sociale

Di certo il Governo non aumenterà la spesa sanitaria: siamo davanti alla contrazione dei servizi sanitari erogati dal pubblico, alla riduzione del numero di ospedali nell’ultimo decennio (circa il 15% in meno), del personale sanitario a tempo indeterminato (circa 45.000 unità), dei medici e degli infermieri (che ormai sono 6.5 ogni 1000 abitanti, rispetto agli 8.4 dell’UE).

L’Italia non ha mai superato la spending review e le misure di austerità iniziate con il biennio 2011-2012, quando i dettami di Bruxelles erano quelli di ridurre il debito pubblico contraendo i servizi pubblici. Ma a forza di tagli quei settori sono oggi in grave sofferenza e a pagarne il fio sono i cittadini. Insomma, se Meloni era andata al potere promettendo di rivedere la Legge Fornero sulle pensioni e di accrescere la spesa pubblica almeno per istruzione e sanità, ha fatto invece l’esatto contrario e la prossima Legge di Bilancio fotografa questa situazione, evidenziando che a crescere sono solo i tagli e la spesa militare.

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