Corbyn e il socialismo impossibile nell'Unione Europea
di Omar Minniti
C'è poco da dire sul risultato delle elezioni in UK. Più che un voto di massa a favore dei conservatori, c'è stato un plebiscito quasi bulgaro per uscire subito e senza più tentennamenti dall'Unione Europea.
Pesantissima è stata la sconfitta del Partito Laburista. Lo dico senza problemi: se avessi avuto diritto di voto nel Regno Unito, avrei optato per il sostegno critico ai suoi candidati favorevoli alla "Lexit", ad un'uscita dall'Ue sulla base di una piattaforma socialista sovranista. Ritengo che, a differenza del PD e di altri partiti di centrosinistra europei, il Labour resti nel complesso un partito con solide radici nella classe operaia e nella cultura del lavoro, in cui persiste uno spazio di manovra per i marxisti.
Il dramma di Corbyn è stato di avere, su molti temi di politica interna ed internazionale, uno dei programmi più a sinistra di tutta la storia laburista, ma, al tempo stesso, di essere finito completamente in ostaggio dell'ala blairiana ed euroinvasata. Una contraddizione macroscopica. Se da una parte parlava, in maniera chiara, di nazionalizzazioni, difesa dei salari e delle pensioni, estensione dei diritti sociali, sostegno alla Palestina ed ai paesi socialisti latinoamericani, dall'altra, come un Giano Bifronte, Corbyn mortificava il voto popolare che aveva optato per la Brexit e chiedeva a tutti i costi di restare nell'Ue dell'austerity e delle politiche liberiste di lacrime e sangue. Un autogol clamoroso che costerà moltissimo a tutta la sinistra laburista e, probabilmente, allo stesso Corbyn, la cui testa ora verrà reclamata dalla destra interna.