I comunisti turchi di fronte all'operazione militare in Siria

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I comunisti turchi di fronte all'operazione militare in Siria



sinistra.ch


Di fronte all’offensiva militare turca in Siria per sconfiggere le postazioni dei separatisti curdi nel cosiddetto “Rojava” che minacciano l’integrità territoriale sia della Siria sia della Turchia, siamo andati a vedere cosa dicono i differenti partiti comunisti in Turchia.


Il Partito Laburista (EMEP, seguace del pensiero dell’ex-leader albanese Enver Hoxha) di fatto confluito nel Partito della sinistra liberal e filo-curda HDP che è notoriamente vicino all’esperienza del “Rojava”, si oppone sia al governo turco sia a quello siriano.


Ma tranne EMEP, sembra esistere un minimo comune denominatore fra tutti i partiti della sinistra rivoluzionaria che abbiamo analizzato: tutti condannano infatti i separatisti curdi quali collaborazionisti dell’imperialismo atlantico e nessuno crede alla favola della “Rivoluzione libertaria, democratica, femminista ed ecologista” nel territorio del “Rojava” di cui invece è convinta ampia parte della sinistra europea. Il giudizio sulla missione militare turca in sé, però, diverge.


Il Partito della Liberazione Socialista (1920-TKP) è un piccolo partito marxista-leninista che si considera erede del primo Partito Comunista di Turchia filo-sovietico (fondato nel 1920, da qui la sigla particolare): con lo slogan “la Siria ai siriani” definisce sia il PKK curdo sia l’esercito statunitense,  entrambi, come “invasori stranieri” della Repubblica Araba Siriana, e invita l’esercito di Damasco e quello di Ankara a coordinarsi “contro i terroristi che collaborano con l’imperialismo”. L’operazione militare turca lanciata il 9 ottobre scorso, secondo il 1920-TKP, “ha portato al crollo della occupazione americana in Siria. La zona di occupazione coloniale creata dall’imperialismo nel nord-est della Siria (cioè il “Rojava”, n.d.r) non è più nelle mani dell’imperialismo e dei suoi collaboratori. L’Esercito Arabo Siriano è ora molto più vicino al suo obiettivo di salvare dall’occupazione l’intero territorio nazionale”. E ancora “la lotta globale del popolo turco contro l’imperialismo e contro i terroristi ha raggiunto un primo obiettivo, il prossimo è la riconciliazione tra la Siria e la Turchia”.


Una posizione simile è difesa anche dal ben più importante Partito Vatan guidato da Dogu Perinçek, una delle maggiori organizzazioni rivoluzionarie turche che unisce oggi oltre ai post-maoisti della prima ora anche i kemalisti di sinistra, che giudica l’intervento militare come una offensiva non contro il popolo curdo ma contro l’imperialismo statunitense nella regione e chiama espressamente all’unità civico-militare per contrastare il secessionismo etnico e la balcanizzazione del Medio Oriente. Nel contempo invita il presidente turco Recep Tayyip Erdogan a subito collaborare con il governo di Bashar al-Assad e con quello di Russia, Iran, Irak e Azerbaigian. Il Vatan rivendica anche la chiusura immediata della base militare americana di Incirlik in Turchia. Sia loro sia TKP-1920 ribadiscono poi l’importanza dell’accordo di Adana del 1998 siglato fra Siria e Turchia per le reciproca sicurezza.


Il Partito Socialista Operaio di Turchia (TSIP), sigla ultra-minoritaria della sinistra storica del Paese e che, benché si richiami a Stalin, risulta da qualche anno ormai organicamente alleata con i socialdemocratici, non ha preso posizione ufficialmente: solo il suo presidente Turgut Koçak nell’ambito di un suo editoriale, peraltro non molto esplicito, ha espresso la sua analisi, secondo cui Erdogan avrebbe deciso di intervenire per non far sembrare che Assad potesse sconfiggere da solo il separatismo curdo, dopodiché spiega che la sovranità della Siria e la sua unità nazionale sono importanti anche per il TSIP.


Il Partito Comunista di Turchia (TKP), uno dei partiti meglio organizzati alla sinistra della socialdemocrazia, diretto da Aydemir Güler di tradizione leninista e parte dell’Iniziativa Europea dei Partiti Comunisti e Operai, condanna l’operazione militare di Ankara con lo slogan “Giù le mani dalla Siria” perché ritiene sia una forma di occupazione del territorio di un altro Paese e critica le trattative con la Russia (considerata imperialista) preferendo che Ankara parli direttamente con Damasco senza la mediazione di Putin. Il TKP propone poi l’uscita della Turchia dalla NATO e considera Erdogan poco credibile visto che fin dall’inizio dell’instabilità in Siria ha collaborato coi ribelli anti-Assad.


Il Partito della Liberazione Popolare (HKP) coordinato da Nurullah Ankut, si colloca a sua volta nel solco del socialismo scientifico ma si attiene al pensiero del marxista turco Hikmet Kivilcimli, esprime parole di condanna contro Erdogan, che resterebbe sempre al soldo degli USA anche quando litiga con il presidente americano Donald Trump, e loda al contrario l’amministrazione di Assad che già anni fa aveva proposto di creare forme di autonomia ai curdi che vivevano entro i confini siriani rispettandone la Costituzione. Questa ipotesi venne rifiutata però dai separatisti curdi che immaginavano di ottenere di più schierandosi con gli USA e rovesciando il governo di Damasco.


Il Partito Operaio e Contadino di Turchia (TiKP), presieduto da Ismail Durna, di orientamento maoista e piccola scissione a sinistra del Partito Vatan visto sopra, ritiene che effettivamente la zona occupata dai curdi nel nord della Siria (il Rojava, ndr) è una “minaccia per la sicurezza della Turchia” ma che intraprendere un’azione militare è illegittimo, senza l’assenso del governo di Damasco e senza prima procedere con l’interruzione della collaborazione con gli USA che dei separatisti curdi è il principale fornitore. Il giudizio complessivo quindi è negativo.

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