La Patria tradita: Dall'ordine naturale allo smarrimento del principio di appartenenza
a cura di Daniele Trabucco (*)
La Patria, nell’orizzonte del pensiero classico, non è una costruzione della volontà, né una convenzione giuridico-politica tra individui astrattamente considerati. È, al contrario, una realtà ontologica, un dato originario dell’esperienza umana, inscritto nell’ordine naturale e radicato nella struttura metafisica dell’essere. Appartenere a una Patria significa essere collocati in uno spazio storico e spirituale che precede ogni scelta soggettiva e alla cui conservazione ciascun uomo è chiamato in forza della propria razionalità partecipativa dell’ordine.
La Patria è, allora, in questa prospettiva, una comunità ordinata secondo giustizia, in cui si riflettono armonicamente i princìpi primi dell’ordine morale naturale e in cui l’individuo riceve forma, orientamento e fine. In questo senso, la Patria è un vincolo di filiazione, non di adesione.
Come il figlio non sceglie il padre, così l’uomo non sceglie la Patria, ma la riceve, la eredita, ne partecipa per natura. Essa è «terra dei padri» non solo in senso genealogico, ma soprattutto ontologico: è l’ambito in cui la persona umana è introdotta nella storia, dove si intrecciano il tempo e l’eterno, la carne e la legge. L’uomo, essere naturalmente sociale e politico secondo l’insegnamento di Aristotele, trova nella Patria il principio concreto dell’ordine, dell’identità e del dovere. Patria e legge naturale si implicano vicendevolmente: senza la prima, la seconda resta astratta; senza la seconda, la prima si corrompe in ideologia.
Con la modernità, tuttavia, questo orizzonte ontologico si dissolve sotto la pressione dell’individualismo razionalista e dell’autonomismo etico. La Patria viene svuotata della sua densità metafisica e ricondotta a un prodotto della volontà collettiva, a un’emanazione del popolo-nazione che si autodetermina nella storia. L’idealismo etico-politico di Giuseppe Mazzini (1805-1872), di cui si fanno sperticati elogi soprattutto da «destra», rappresenta uno snodo cruciale di questa torsione concettuale: la Patria non è più realtà da custodire, quanto un progetto da costruire; non ordine ricevuto, bensì fine da realizzare; non vincolo ontologico, ma impulso volontaristico.
Viene sostituito, così, il fondamento trascendente della comunità con la religione secolare del progresso nazionale. La modernità, infatti, secolarizza la Patria, la politicizza, la rende strumento della sovranità popolare emancipata da ogni ordine superiore. Da essa nascono, in forma degenerata, tanto il nazionalismo totalizzante, quanto il cosmopolitismo dissolutivo: due volti dello stesso nichilismo, che negano in modi diversi la dimensione naturale e spirituale della Patria come locus oggettivo della giustizia. Laddove la Patria viene ridotta a bandiera, simbolo o sentimento, essa non è più l’ambito concreto in cui l’uomo si realizza secondo natura, divenendo un’astrazione ideologica in balìa delle passioni politiche.
Alla luce di questa cornice filosofica, il Governo Meloni, in carica da ottobre 2022, si rivela essere, nei fatti, non restauratore dell’ordine naturale, bensì continuatore di quella modernità che della Patria ha fatto simulacro. Le ripetute invocazioni del termine «Patria», svincolate da un orizzonte metafisico, non producono alcuna inversione di rotta rispetto al paradigma dominante.
L’adesione convinta dell’Esecutivo ai vincoli europei, al tecnicismo economico e all’ideologia atlantista, come dimostrano l’appoggio alla politica NATO e alle misure coercitive contro la Federazione Russa in netto contrasto con l’interesse nazionale ed in perfetta continuità con il Governo Draghi, svuotano di significato ogni appello alla «terra dei padri». In luogo della difesa della Patria come comunità naturale e spirituale, si offre il simulacro di uno Stato-nazione disciplinato e funzionale all’ordine globale.
Infine, l’ambiguità dell’Esecutivo Meloni si manifesta nel rapporto tra ordine e libertà. Un governo che si richiama alla Patria dovrebbe promuovere un ordine giusto che renda possibile la libertà come esercizio del bene, non come arbitrio individuale. Eppure, la logica securitaria e tecnocratica che ha guidato provvedimenti come il recentissimo «decreto sicurezza» (decreto-legge 11 aprile 2025, n. 48 già convertito, con modificazioni, dalle Camere in legge formale) mostra come si sia smarrito il principio secondo cui la giustizia precede l’autorità. La Patria non si afferma con la repressione, ma con la testimonianza della verità. La dimensione coercitiva è tale unicamente nella misura in cui tende al bene oggettivo della persona e della comunità e non si riduce ad espressione ideologica della volontà di chi detiene il potere.
Questa (la Patria), in ultima analisi, nella sua realtà più profonda, è principio spirituale e ordine morale, non appartenenza anagrafica o consenso democratico. È partecipazione alla verità dell’essere, mediazione storica del bene comune, spazio concreto in cui l’uomo trova misura, limite e destino. Essa è dono da ricevere, non progetto da inventare. Il tradimento della Patria oggi non si consuma tanto nella retorica globalista, ma proprio nell’uso strumentale della sua immagine svuotata che ne fa il partito di maggioranza relativa (Fratelli d’Italia). E ogni volta che si invoca la Patria senza riconoscerne la legge naturale, si contribuisce al suo dissolvimento spirituale. La Patria, come la verità, non si proclama: si serve.
*Professore strutturato in Diritto Costituzionale e Diritto Pubblico Comparato presso la SSML/Istituto di grado universitario «san Domenico» di Roma. Dottore di Ricerca in Istituzioni di Diritto Pubblico.