Le ragioni del declino di Podemos

Le ragioni del declino di Podemos

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di Manolo Monereo* 

(Articolo tradotto da Carlo Formenti)


Commentare i risultati elettorali di Unidas Podemos è sempre più difficile. Il punto di vista soggettivo conta e i numeri tendono a peggiorare. Molto è già stato scritto e altro si scriverà. Occorrerà valutare i flussi di spostamento fra i vari partiti per compiere un’analisi più accurata. In ciò che si dice ci sono delle verità: una cosa sono le elezioni autonome e un’altra quelle generali; gli esiti nei Paesi Baschi non sono gli stessi che in Galizia; le eterne lotte interne hanno influito pesantemente; UP ha perso la base sociale e le radici nel territorio; i governi autonomisti sono emersi rafforzati dalla crisi creata dalla pandemia. A tutto ciò si aggiunga il fatto singolare che il voto perso da UP non è andato al PSOE ma alla sinistra nazionalista, e che non sembra che la partecipazione al governo stia rafforzando il peso elettorale di UP [In questi giorni sono usciti due sondaggi che attribuiscono una forcella fra il 10 e il 12% al partito guidato da Pablo Iglesias].
 

I risultati sono stati descritti come una sconfitta assoluta e si raccomanda un’autocritica. Il mio punto di vista è leggermente diverso. Penso che i dati debbano essere valutati nella loro tendenza storica: confermano il declino elettorale di UP, la sua perdita di peso nei territori locali e la sua progressiva conversione in una forza minoritaria che cerca di far politica nell’area egemonizzata dal PSOE. Diversi anni fa ho definito tutto ciò “entrare nella sindrome di Izquierda Unida”. Dobbiamo prendere atto di un paradosso: si progetta una strategia (l’alleanza di governo con il PSOE) per evitare un arretramento elettorale che, indubbiamente, sta allineando i risultati dell’organizzazione a quelli della vecchia Izquierda Unida, con una differenza: UP non ha l’organizzazione, i quadri, né l’impianto territoriale della forza politica guidata da Julio Anguita. La mia tesi è che Podemos vive da tempo una crisi latente che è venuta accentuandosi a ogni tornata elettorale. Una crisi di progetto.


Quali sono i dati più rilevanti di questa crisi? In primo luogo – è il più evidente – un persistente declino elettorale. Gli scarsi risultati nelle Comunità Autonome e nelle elezioni locali influenzano sempre di più le elezioni generali e viceversa. Ciò si è verificato con grande forza nei Paesi Baschi e, soprattutto, in Galizia. Non dimentichiamo che l’idea-Podemos prende avvio, in larga misura, da un esperimento politico-elettorale che ha le sue origini nella terra di Castelao (il padre del nazionalismo galiziano). Nei Paesi Baschi ci sono state, né più né meno, due diverse maggioranze nelle elezioni generali. In secondo luogo, la progressiva scomparsa di Podemos come attore politico-sociale radicato in un territorio. I circoli hanno perso spessore sociale o stanno semplicemente scomparendo. Il patrimonio organizzativo, la base militante, è venuto esaurendosi e il ritorno al privato è notevolmente aumentato. In terzo luogo, il tipo di partito che si è costruito è, di fatto, quello più diffuso in questi tempi post-politici: il partito-manifesto, un partito istituzionale basato su uffici pubblici e politici professionisti, finanziato dal denaro pubblico e strettamente collegato ai media e ai social network. 


L’asse elettorale istituzionale è chiaramente quello predominante e la militanza è chiamata a ratificare accordi presi altrove. In quarto luogo, vi è ciò che potremmo chiamare la dissoluzione dell’immaginario alternativo di Podemos. Questa forza non è nata per essere un partito-cerniera o una sinistra complementare al PSOE, ma per essere un’alternativa al bipartitismo e creare una nuova situazione politica. Si potrebbe dire che Podemos non ha fatto molti sforzi per concretizzare programmaticamente questo immaginario. Questa è la sua debolezza ma anche la sua forza. Si è nutrito dell’immaginario del 15M al quale si è ricollegato, specialmente nei processi elettorali. In quinto luogo, il cambio di strategia. Indipendentemente dal fatto se il cambiamento di orientamento politico sia giustificato o meno, il punto sostanziale è che impatta su Podemos come discorso autonomo e come proposta differenziata. Non è lo stesso essere una forza elettorale determinante con aspirazione maggioritaria piuttosto che contribuire all’alternanza politica a rimorchio di un partito che è stato parte fondamentale nel costruire la struttura di potere di un regime e che è stato, non andrebbe dimenticato, il tuo principale concorrente elettorale. Essere un’alternativa al Partito socialista non è lo stesso che chiedere il voto per governare insieme a lui. Insisto, tutto ciò ha conseguenze elettorali e peserà sempre di più in futuro differenziando la proposta. Essere un’alternativa al Partito socialista non equivale a chiedere il voto per governare con lui. Insisto, tutto ciò ha conseguenze elettorali e peserà sempre di più in futuro.
 

La mia convinzione è che il nucleo dominante di Podemos fosse a conoscenza di questa crisi di progetto e che abbia cercato di evitarla con un audace colpo di mano tattico: governare con Pedro Sánchez. Non sempre con sufficiente chiarezza, sono comparsi elementi di analisi che andavano nella direzione di una “fuga in avanti”, di un “salto senza rete” in cerca di scorciatoie di fronte a una situazione che stava diventando sempre più difficile e ingestibile. Questi elementi hanno funzionato per accumulazione: a) esaurimento della spinta al cambiamento del 15M; b) profonda crisi organica e progressivo frazionamento di tutte le strutture e apparati; c) consolidamento del partito socialista e del progetto Sánchez; d) il fattore tempo; vale a dire, approfittane ora e qui per guadagnare potere, quello vero, quello del bollettino ufficiale dello stato.


Al centro dell’assenza di dibattito e di analisi collettiva stavano i nodi del cambio di fase e della necessità di una nuova strategia. “L’assalto al cielo” stava finendo; la guerra di movimento minacciava di venire drammaticamente interrotta e i problemi si accumulavano fino a limiti difficili da governare. Per dirla in modo inequivocabile: la situazione imponeva di andare a una guerra di posizione, di accumulare forze e densità organizzativa; di affermarsi solidamente nei territori e come protagonista del conflitto sociale; di costruire un vero partito e forgiarlo nell’auto-organizzazione sociale. Ciò esigeva tempo ed egemonia. Più Togliatti e meno Laclau. La decisione che si è presa, governare con il PSOE, ha avuto conseguenze immediate: rafforzamento del centralismo organizzativo, omogeneizzazione del partito, priorità dei collegamenti con i media e i social network, disciplina rigorosa e, fondamentalmente, minimizzare gli aspetti programmatici più dirompenti e meno accettabili dal Partito Socialista; normalizzarsi e darsi un profilo da forza governativa.


Discutere ora se questa strategia UP abbia avuto successo o no ci porterebbe troppo lontano, a questo punto. I dati elettorali stanno lì e dovrebbero essere valutati con un certo rigore. Il dibattito che mi interessa ora è un altro, cioè capire se il pessimismo del gruppo dirigente UP è giustificato o meno. Associare l’esaurimento del 15M a una stabilizzazione della crisi di regime è stato un errore di analisi che ha avuto profonde conseguenze e strategie tattiche e, quel che è peggio, ha lasciato il campo della contestazione sociale e della rivolta all’estrema destra. Il mondo, il nostro mondo, prima e dopo la pandemia, è gravido di conflitti sociali e di un’accentuazione della lotta di classe. I grandi centri di elaborazione e analisi politica avvertono che questo autunno / inverno sarà molto difficile e probabilmente si verificheranno condizioni favorevoli a grandi rivolte sociali. Inoltre, ai governi, in particolare a quelli dell’Europa meridionale, viene consigliato di rafforzare le loro misure repressive e di inasprire la legislazione di emergenza.


La chiave, secondo me, è capire bene questa fase. Quando parlo di “sindrome Izquierda Unida”, mi riferisco alle conseguenze di governare con il tuo principale concorrente elettorale, che è, allo stesso tempo, un elemento fondamentale del tipo di potere che viene rafforzandosi in quest’ultimo periodo. Essere un partner di minoranza in un tale governo comporta enormi rischi e il pericolo di dissoluzione in quanto forza politica significativa. Non si tratta di avere un piano A e un piano B; si tratta semplicemente di avere un piano basato sul conflitto e non di evitarlo. Come uscire da questo dilemma? Innanzitutto, rafforzando il discorso autonomo di UP. Più unità, più autonomia, maggiore differenziazione e creazione di un polo ideale e morale che susciti impegno politico e partecipazione elettorale. Senza questo, nulla è possibile. Gli esempi dell’Unione Europea o della Casa Borbone forniscono molti indizi su cosa si può fare o non fare con sufficiente radicalità. Il governo è un modo di organizzare il conflitto e non la sua cancellazione.


Un altro problema su cui ho riflettuto molto è la necessità di andare verso una sorta di Stati Generali della sinistra spagnola. Si tratta di definire collettivamente un progetto di paese che organizzi l’immaginario sociale, che consolidi un senso comune e offra una soluzione positiva alle varie crisi che si stanno accumulando nello Stato spagnolo. Un progetto di paese che ponga al centro la Spagna e che sia in grado di definirla come costruzione e creazione collettiva dal punto di vista delle maggioranze sociali, delle classi lavoratrici e, soprattutto, dei giovani.


Un terzo elemento dovrebbe andare nella direzione della creazione di una nuova formazione politica. Non vi è alcuna base per creare il partito Podemos e la Izquierda Unida è venuta perdendo militanti, organizzazione e progetto parallelamente assieme al suo alleato politico. Le formule giuridiche potrebbero essere diverse e le soluzioni organizzative potrebbero essere a geometria variabile. La cosa fondamentale è un processo costituente che dia vita a una nuova formazione politica che cerchi di coinvolgere coloro che c’erano e non ci sono più, quelli che sono tornati alla vita privata e, soprattutto, le migliaia di uomini, donne e giovani che stanno per divenire protagonisti di un inevitabile conflitto sociale.


Un quarto elemento riguarda i compiti immediati: occorre creare ovunque comitati di UP. Ciò va fatto sistematicamente mobilitando la creatività sociale e definendo una strategia di unità popolare. Occorre dare segnali evidenti di autonomia politica e di discorso alternativo, bisogna prepararsi attivamente al conflitto sociale. Se il governo è un modo di organizzare il conflitto, non si dovrebbe temere la mobilitazione sociale né attingere a un catalogo storico che confonda Pedro Sánchez con Juan Negrín e Pablo Iglesias con Vicente Uribe [n.d.r. si tratta di due leader storici, nell’ordine, del partito socialista e del partito comunista spagnolo negli anni Trenta].


Infine, una vecchia questione: quella che è stata chiamata dialettica rivoluzionaria. La realtà è una e trina. La chiave è distinguere la realtà dalla correlazione di forze definita dal potere, cioè comprenderla come un complesso tendenzialmente contraddittorio che una forza con volontà di cambiamento deve interpretare e trasformare in piattaforma per un’azione cosciente. Nella realtà c’è sempre una possibilità che tende alla sovversione. Abbiamo tempo, ma non troppo.


* è un politologo spagnolo, già deputato di Unidos Podemos (UP). Articolo pubblicato su La Fionda

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