L'ISIS conclude il suo silenzio elettorale

L'ISIS conclude il suo silenzio elettorale

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PICCOLE NOTE


Il cielo torna cupo in questi giorni. Due giorni fa un pazzo scatenato, nel senso satanista del termine (il diavolo si scatena quando appunto non è incatenato), ha attaccato un campus universitario in Ohio, ferendo nove ragazzi. Sarebbe radicalizzato Isis.

 

Avevamo scritto come l’Isis avesse osservato una sorta di silenzio elettorale durante la campagna presidenziale americana: alcuni attentati made in Isis realizzati sul suolo americano hanno infatti nuociuto a Hillary Clinton, dal momento che Trump l’attaccava proprio su questo tema, giungendo al punto di accusarla di connivenza con il Califfato.

L’Isis, avevamo argomentato, aveva tutto l’interesse a una vittoria di Hillary, dal momento che la bellicosa candidata democratica aveva già espresso la volontà di intervenire con maggior aggressività in Medio Oriente, contro Assad e contro Putin. Cosa che avrebbe aumentato la destabilizzazione dell’aera regalando al Califfato nuovi spazi di manovra (vedremo cosa farà Trump, che in campagna elettorale si è opposto a tale prospettiva).

 

Da qui la decisione di sospendere le consuete attività terroristiche nell’ultimo mese di campagna. Con l’attentato di due giorni fa, il silenzio elettorale dell’Isis è finito, come avevamo previsto nel precedente articolo (per chi vuole cliccare qui). Probabile che dietro il nuovo attivismo del Terrore ci sia la volontà di condizionare Trump.

 

Il neopresidente sta faticosamente scegliendo la sua squadra, con una lentezza che non era nelle intenzioni (aveva indicato in giovedì scorso la data dell’annuncio del suo governo). I nomi dei nuovi ministri filtrano uno a uno, una sorta di stillicidio alquanto anomalo rispetto all’irruenza del personaggio e alle sue promesse.

 

Manca soprattutto il nome più importante: colui che andrà a occupare la carica di Segretario di Stato e che guiderà la politica estera americana nella nuova amministrazione. Le indiscrezioni fioccano, ma quel che si capisce da tanta babele è che su tale nomina si sta battagliando ferocemente.

 

I neoconservatori vogliono a tutti i costi far loro la carica, per avere maggior presa su un governo che stanno tentando di poter condizionare in maniera pesante. Ad oggi Trump si è mosso in maniera autonoma, cercando compromessi con vari mondi, compreso il loro, ma ancora non ha ceduto ai loro desiderata.

 

La fortissima pressione per far nominare il superfalco John Bolton, neocon della prima ora, è andata a vuoto. Mentre sembra che i neocon non vogliono su quella poltrona Rudolph Giuliani. Ad oggi Trump non è riuscito a designarlo, come pare avesse promesso.

 

Giuliani, il sindaco dell’11 settembre, ha fama da duro e certo con i falchi neoconservatori ha rapporti antichi. Ma li aveva traditi al momento della campagna elettorale, schierandosi apertamente con Trump, e contribuendo alla sua vittoria contro la bellicosa Clinton (beniamina dei neocon).

 

Una presa di distanza che certo non derivava solo da sue simpatie personali per il tycoon, ma aveva radici profonde per motivare una così netta presa di distanza. Da qui il niet alla sua nomina.

 

Mentre infuria questo scontro all’ultimo sangue, L’America ha conosciuto un altro attentato, appunto. Al di là dei motivi esoterici che hanno mosso la mano dell’attentatore, il crimine mette ancora più pressione su Trump: gli Stati Uniti non possono permettersi una transizione così lenta e faticosa. Il sangue sparso sul suolo americano urge una risposta immediata e forte.

 

Ancora presto per capire gli sviluppi di questo scontro interno e internazionale, però val la pena accennare al fatto che l’attentato in Ohio sia stato seguito, alcune ore dopo, da un’altra tragedia avvenuta sul suolo americano.

 

Un aereo civile si è schiantato in Colombia; 71 le vittime. Da tempo in Colombia il governo e i guerriglieri delle Farc hanno intrapreso un difficile negoziato, che chiuderebbe decenni di sanguinosa guerra civile. Un processo che sembrava avviarsi verso una felice conclusione.

 

Se nella concatenazione di eventi c’è un filo, seppur solo cronologico e semplicemente simbolico, l’attentato negli Stati Uniti e la tragedia colombiana indicano che il cammino verso un attutimento delle tensioni che stanno squassando il mondo è ancora lungo e difficile.

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