Se questa è Europa

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«Lasciamo quest’Europa che non la finisce più di parlare dell’uomo pur massacrandolo dovunque lo incontra, a tutti gli angoli delle sue stesse strade, a tutti gli angoli del mondo». Così Frantz Fanon si riferiva ai «dannati della Terra», nel 1961. A quasi sessant’anni di distanza dalla pubblicazione di quel libro, l’Europa non è ancora stata capace di elaborare una sincera autocritica sulle conseguenze della sua politica coloniale e neo-coloniale, raffinando anzi le sue abilità nell’arte della retorica «dirittumanista», e stringendo, nello stesso tempo, il cappio al collo dei nuovi «dannati».


Il vecchio continente è infatti ancora teatro di gravi episodi di disumanità, anche quando questi avvengono lontani dai nostri occhi, o passano sotto silenzio. Un quadro desolante della grave violazione dei diritti umani perpetrati nell’Europa contemporanea emerge al confine tra Italia e Francia, grazie al rapporto pubblicato l’anno scorso dall’Oxfam, l’Ong che insieme alla Croce Rossa e ad alcuni volontari ha fornito assistenza ai migranti che tentavano di oltrepassare il confine. Nel rapporto 


Se questa è Europa, c’è quanto basta per rendersi conto di come la violazione della legge, da parte delle forze dell’ordine – coordinate dai ministeri degli interni – crei una condizione insostenibile per cui migranti e autoctoni resteranno destinati ad odiarsi. I primi chiedendo pietà e i secondi sicurezza.


La frontiera di Ventimiglia

Com’è noto, Ventimiglia rappresenta un cordone di transito internazionale di primo piano. Insieme a Como, che collega Italia e Svizzera, e al Brennero, che collega l’Italia all’Austria, la cittadina ligure è una delle zone di passaggio decisive per tutti quei migranti che desiderano arrivare in Francia, dopo essere sbarcati sulle coste italiane a termine di un lungo e pericoloso viaggio. Passare è stato possibile fino al 2015, anno in cui il governo francese ha disposto la chiusura unilaterale della frontiera, impedendo il passaggio a decine di migliaia di migranti, in larga parte sudanesi, eritrei, guineani e afghani, in fuga da paesi in cui da tempo è scoppiata la guerra o dove viene praticata una spietata persecuzione politica.

La chiusura della frontiera ha creato le premesse per lo sviluppo di forme estremamente precarie di esistenza per tutti i migranti che, non potendo attraversare il confine e terrorizzati dalla probabile eventualità di essere riportati indietro, si sono accampati sotto un cavalcavia, sul greto del fiume Roja, nella reiterata speranza di riuscire a varcare la frontiera. Qui vivono ai limiti dell’umano, sopportando anche temperature al di sotto dello zero. Lavandosi nel fiume e dormendo a terra per settimane, sperano nonostante il divieto di oltrepassare il confine, compiendo tentativi spesso mortali.

La maggior parte dei migranti che tenta il passaggio è composta da uomini che hanno tra i venti e i trent’anni. Non mancano le donne, alcune delle quali hanno bambini con sé o arrivano in «avanzato stato di gravidanza», in base a quanto rivelano le testimonianze fornite dalla Caritas locale. Tuttavia, la categoria più vulnerabile resta quella dei minori non accompagnati, che riportano spesso evidenti segni di torture o di maltrattamenti, e che secondo il rapporto dell’Oxfam rappresenterebbero il 25% di tutti i migranti in transito. Sono loro che, «in fuga dalle comunità di accoglienza in cui erano stati inseriti in Italia, dove non ricevevano servizi adeguati alla loro età e alla condizione di maggiore vulnerabilità», subiscono «intollerabili abusi» da parte della polizia francese ogni volta che provano ad attraversare il confine.

Secondo Chiara Romagno, responsabile per Oxfam, «oltre a non mettere in atto nessuna delle garanzie pur previste dalla legge», la polizia francese schernisce e maltratta i minori. «A molti», continua, «hanno tagliato la suola delle scarpe, prima di rimandarli in Italia». Secondo Daniela Zitarosa di Intersos invece, i poliziotti francesi «gli urlano, gli ridono in faccia, li spintonano» e ad alcuni di loro «aprono il cellulare e portano via la scheda» così che «non possono nemmeno più telefonare ai genitori».

Nella quasi totalità dei casi, secondo il rapporto, i respingimenti verso l’Italia avvengono «in totale violazione della normativa francese e comunitaria». Un ragazzo sudanese di 15 anni ha raccontato di essere stato intercettato durante un tentativo di transito e di essere stato «messo su un treno che tornava in Italia», senza alcuna spiegazione.

Nonostante il tribunale di Nizza abbia riconosciuto «in almeno venti casi» le violazioni delle garanzie previste dalla legge, i respingimenti illegali sono continuati in tutta normalità, anche attraverso scorciatoie legali disoneste come la modifica dell’età anagrafica dei migranti sul documento di respingimento. I minori, con un tratto di penna, diventano così maggiorenni e cioè allontanabili, nonostante in Italia fossero stati identificati come minorenni. Secondo l’Oxfam, i minori che riescono ad attraversare la frontiera e arrivano in Francia non vengono mai messi nelle condizioni di chiedere asilo, non essendo «possibile, per loro, essere aiutati da un interprete o chiedere l’intervento di un avvocato», figure «mai presenti nelle zone di confine».
 

L’inadeguatezza del sistema di accoglienza

Il dibattito sviluppatosi negli ultimi anni sui «porti aperti» e i «porti chiusi» ci impedisce di concentrare l’attenzione su un particolare decisivo in merito alla questione migratoria: il sistema di accoglienza e di integrazione. È questo il punto di maggiore criticità che trasforma di fatto la «questione migratoria» in una «crisi migratoria». È del tutto miope misurare la “gravità” di questo fenomeno solo in base ai numeri relativamente bassi dei rifugiati rispetto alla popolazione italiana, secondo l’equazione «i numeri sono bassi e quindi l’immigrazione non è un problema».

Al contrario è del tutto evidente che gli enti, sia governativi che volontari, sono palesemente incapaci di gestire la redistribuzione nazionale dei migranti e le relative pratiche di riconoscimento e integrazione. I centri sono sempre sovraffollati e inadatti ad ospitare tutti i migranti, molti dei quali condividono spazi strettissimi o restano al di fuori dei cancelli, dandosi al vagabondaggio come nel caso di Ventimiglia. Inoltre, i tempi burocratici per avanzare le richieste d’asilo, infinitamente lunghi e incerti, scoraggiano i migranti, i quali abbandonano presto gli istituti che li ospitano, ritrovandosi ben presto in condizione di clandestinità giuridica ed esistenziale, un fattore che concorre ad ingrossare le fila degli sfruttati e degli oppressi.

Queste dinamiche sono state raccontate dal rapporto di Save the Children sulla schiavitù infantile, pubblicato nel 2018. Come risulta dalle testimonianze raccolte, i migranti – molti dei quali minorenni – non possono assolutamente permettersi di rispettare i lunghi tempi d’attesa della burocrazia italiana. È inquietante scoprire come ragazze e ragazzi siano incoraggiati dai loro stessi parenti ad evadere dai centri per cercare di raggiungere, illegalmente, i Paesi del nord Europa, spesso prostituendosi o lavorando in condizioni di vera e propria schiavitù per pagare i loro accompagnatori.

Da una parte, i ragazzi sono pervasi dall’ossessione di pagare il debito del viaggio con i trafficanti – che secondo il rapporto può aggirarsi dai 25.000 ai 50.000 euro -, terrorizzati dalle minacce di ritorsione che questi promettono nei confronti dei famigliari rimasti nei Paesi d’origine, qualora il pagamento non dovesse avvenire. Dall’altra, questi ragazzi sono tenuti del tutto all’oscuro delle possibilità d’integrazione alle quali hanno diritto in Italia, e fuggendo diventano carne da macello per la filiale agricola, per l’edilizia, per la ristorazione, per la criminalità organizzata e soprattutto per la prostituzione.

L’impossibilità di adeguarsi ai tempi d’integrazione previsti dalla legge italiana sono il fattore principale per cui i minori, facendo perdere le tracce di sé, si avviano verso una condizione di sfruttamento evitabile soltanto attraverso quell’inserimento nel processo di accoglienza che non hanno possibilità di aspettare. Tuttavia, a evidenziare la fragilità dei centri di accoglienza ci sono alcuni episodi sistematici che rivelano come questi stessi centri vengano usati dai trafficanti come punti nevralgici della tratta degli esseri umani e dello sfruttamento dei minori.

Come viene riportato nel rapporto di Save the Children, in un CPA pensato per 50 ragazzi, è stato notato come «alcuni minori [lamentassero] continui movimenti notturni tra l’interno e l’esterno del centro». Inoltre, continua la testimonianza, è stato rilevato «l’allontanamento di una ragazza dal centro in abiti succinti e fortemente truccata». «Le minori», concludono, «pare siano coinvolte nel circuito della prostituzione». Si tratta di fatti frequenti che riguardano molti dei centri di accoglienza in cui vengono ospitati i migranti, usati come centri di smistamento o come luoghi di spaccio e prostituzione.


Le conseguenze degli egoismi

Queste e tante altre sono le conseguenze della miopia con la quale l’Unione Europea sta tentando di affrontare la crisi migratoria. La chiusura unilaterale delle frontiere da parte di Francia, Svizzera e Austria impedisce ai migranti di raggiungere i loro parenti o conoscenti che si sono già stabiliti nel nord Europa, precludendo loro la possibilità di ricevere un’assistenza dignitosa e civile. Il blocco illegale dei confini contribuisce inoltre ad appesantire il fragilissimo sistema di accoglienza italiano, privo delle risorse logistiche ed economiche necessarie per gestire un flusso migratorio di tali proporzioni.

Tra l’altro, le modalità del tutto illegali con le quali avvengono i respingimenti portano alla mortificazione morale dei migranti, i quali hanno già vissuto il pegno del deserto e che, sbarcando nella civile Europa con il peso di un debito impossibile da sostenere se non attraverso anni di schiavitù, vedono ridursi i propri legittimi diritti in materiale burocratico di cui liberarsi. Così l’Europa, se questa è Europa, tanto impegnata a celebrare sé stessa, trasforma gli uomini in topi. Forse un giorno la Storia renderà giustizia ai vinti. Ma la “Storia” non esiste, esistono gli uomini. Per chi può ancora permettersi il lusso di essere considerato tale.

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