TINA, Trump e il coronavirus

TINA, Trump e il coronavirus

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di Geraldina Colotti

C’è un nemico comune dietro il coronavirus, e si chiama TI.NA. Un acronimo al femminile con fauci da squalo che, dagli anni 1980, vomita le parole pronunciate da Margaret Thatcher, allora primo ministro inglese (il maschile è voluto): There Is No Alternative, non c’è alternativa. Un capestro a cui si sono adattate le sinistre soft in Europa, rendendosi complici dell’attacco alle conquiste dei lavoratori e delle lavoratrici portato dal grande capitale internazionale. Un attacco le cui conseguenze sono oggi sotto gli occhi di tutti, anche se mancano gli strumenti affinché i settori popolari capiscano che l’alternativa esiste, ed è ormai questione di vera e propria sopravvivenza.

Questo hanno voluto dire, in Italia, quei lavoratori e lavoratrici che hanno partecipato allo sciopero generale, indetto dal sindacato di base USB. Uno “sciopero per la vita”, praticato concretamente in quei settori obbligati a produrre nonostante non ve ne sia necessità effettiva, e appoggiato simbolicamente da chi, invece, sta fornendo servizi essenziali. Questi ultimi, hanno aderito esponendo cartelli online o fermandosi per un minuto, mentre gli altri che sono già a casa, si sono manifestati con un “corteo digitale”, diffuso dal sito di Potere al Popolo.

Uno sciopero per la vita che, pur non avendo coinvolto le grandi masse, ha registrato una significativa partecipazione. Ha avuto, soprattutto, il merito di indicare un problema comune a tutti i paesi capitalisti, che hanno anteposto il profitto alla vita di chi quel profitto lo produce. “Andrà tutto bene se difendiamo i diritti dei lavoratori”, è stata infatti la consegna dello sciopero, a cui hanno aderito anche operai metalmeccanici iscritti alla FIOM della Lombardia, la regione al centro della pandemia.

Uno slogan che ha aggiunto una doverosa precisazione alla retorica del governo che assicura: “Andrà tutto bene”, mentre i morti aumentano al ritmo di oltre 600 al giorno. Il 27 marzo, in Italia, il numero dei contagi sembra essere lievemente diminuito (66.414), ma non i decessi che sono 9.134, e potrebbero essere molti di più perché molte persone muoiono a casa e non risultano come vittime della pandemia. In Spagna, l’epidemia si sta diffondendo con una rapidità simile (oltre 60.000 i contagiati il 27 marzo, quasi 5.000 i morti).

La metà degli infettati del mondo – 450.000 – si registra in Europa. I morti sono 25.000. Ma, intanto, gli Stati Uniti, in soli 15 giorni hanno superato la Cina per numero di contagi, per via della grottesca ottusità di Trump, emulata dai suoi cloni, in Brasile o nel Regno Unito. In un paese in cui se non paghi muori, è facile prevedere quali potranno essere le proporzioni della catastrofe.

Lo si è visto in Italia, dove in dieci anni si è tagliato del 50% il finanziamento alla salute pubblica a vantaggio del settore privato. E, negli Stati Uniti, gli economisti stimano che la cifra di persone che chiederanno sussidi di disoccupazione o aiuto al governo potrebbe arrivare ai 4 milioni.

Ma, intanto, il presidente USA ha annunciato addirittura che conta di riaprire le fabbriche per Pasqua… E, per distogliere l’attenzione dal disastro che si sta preparando per il popolo statunitense, ha annunciato un’altra aggressione al Venezuela dichiarando, con la consueta arroganza imperialista, di aver messo una taglia sulla testa del presidente del Venezuela Nicolas Maduro e di altri dirigenti del governo bolivariano.

Il grottesco cow boy della Casa Bianca considera quello venezuelano uno “stato narco-terrorista”. E solo una stampa subalterna e collusa come quella europea ha potuto riprendere la notizia senza far notare il pulpito da cui viene la predica: viene dal presidente del principale paese consumatore di droga e principale finanziatore di tutte le operazioni destabilizzanti, passate e presenti, compiute dentro e fuori il continente latinoamericano.

La confessione pubblica resa ai giornalisti colombiani da un ufficiale disertore venezuelano, Cliver Alcalá, sarebbe stata sufficiente a spiegare il concetto con un esempio concreto. Il personaggio, che vive in Colombia e che ha deciso di diffondere le dichiarazioni per proteggere la propria incolumità, ha confessato l’acquisto di una grossa partita di armi per compiere attentati contro i dirigenti chavisti, da effettuare in questi giorni, approfittando della situazione di emergenza dovuta al coronavirus.

Armi – ha detto il disertore – comprate attraverso una compagnia statunitense per conto dell’”autoproclamato presidente a interim” Juan Guaidó e con l’evidente avallo del governo colombiano. E da dove arrivano i milioni di dollari per comprare quelle armi? Dalle tasche dei venezuelani, come ha denunciato all’Organizzazione delle Nazioni Unite, Fundalatin. La Ong ha chiesto all’organismo di adoperarsi per la fine delle sanzioni criminali imposte dagli USA ai paesi che, come Cuba e Venezuela, non si sottomettono al nuovo “consenso di Washington”.

Per voce del suo Segretario generale Antonio Guterres, l’ONU ha chiesto che cessi “la follia della guerra” e che si sospendano i conflitti. È questa la risposta di Trump? È questa la risposta di quei paesi europei che hanno legittimato l’indegno teatrino dell’”autoproclamato”, esponendo il popolo venezuelano, già così duramente provato, a una pandemia globale come quella del coronavirus?

Durante l’intervista con una radio colombiana, il disertore Alcalá ha ricevuto una telefonata dai suoi padroni USA che probabilmente avevano deciso di liberarsi di lui, tanto da includerlo nella lista dei “sanzionati”, e che tentavano di nuovo di metterlo a tacere.

Il disertore ha infatti dichiarato di aver paura di rimanere vittima di un “falso positivo”, una pratica usata in Colombia per far credere che le persone uccise dai paramilitari o dalla polizia siano “terroristi”, e aumentare così il business della “sicurezza” per reprimere il conflitto sociale. Ne sono prova i quotidiani omicidi di ex guerriglieri e leader sociali.
La confessione dell’ex ufficiale anti-chavista conferma quanto ha denunciato il governo bolivariano in tutti gli organismi internazionali a proposito dei piani destabilizzanti dell’estrema destra, provenienti dalla Colombia e finanziati dagli USA.

Piani che risultano ancor più criminali in un momento così tragico per l’umanità intera.

L’intento di Trump e della banda di ladri di cui è costituita l’estrema destra venezuelana, è infatti quello di impedire alle imprese internazionali ogni tipo di commercio con il Venezuela, pena l’incorrere nelle pesanti sanzioni previste in caso di “narco-terrorismo”.

There Is Not Alternative, Non c’è alternativa al capitalismo, ci hanno voluto far credere. Che questa pandemia stia dimostrando esattamente il contrario è, evidentemente, un pericolo gigantesco per l’imperialismo, giacché da questa crisi globale si può rimettere in moto una prospettiva di trasformazione radicale a livello mondiale.

Una volta di più, si deve allora provare a fiaccare l’indomita resistenza del popolo chavista. Nonostante la guerra multiforme che il socialismo bolivariano ha dovuto affrontare in questi anni, il comportamento adottato dal gruppo dirigente chavista guidato da Maduro si colloca infatti ai livelli più alti di maturità politica di fronte a questa tragedia mondiale.

Il popolo venezuelano, cosciente e organizzato dal suo partito, si è temprato e rafforzato. A differenza di quanto accade nei paesi capitalisti, sa di non essere esposto all’arbitrio delle élite, ma di essere il motore principale della “democrazia partecipata e protagonista” contemplata nella costituzione. Questo oggi emerge chiaramente e fa infuriare il cowboy del Pentagono e i suoi tirapiedi.

Il coronavirus – ha detto il vicepresidente esecutivo Tareck El Aissami, riprendendo le parole del presidente Maduro – mette a confronto due modelli. Da una parte, c’è il sistema capitalista, che privilegia il profitto e non la vita, che nega la gravità del problema per proteggere gli interessi del grande capitale internazionale. Dall’altra, “c’è la visione socialista, che mette al centro l’essere umano, l’uomo, la donna, la famiglia”.

Infatti, in Italia, un colpevole ritardo dovuto alla pressione degli industriali e dei commercianti, ha portato a questa drammatica situazione. Non per niente, il centro della pandemia si situa nelle regioni del nord che, in questi anni, sono state le più devastate dalla xenofobia e dall’incompetenza della destra e dall’acquiescenza del Partito Democratico, o da dilettanti allo sbaraglio che considerano la lotta di classe questione da archeologia.

Invece, l’esplosione del coronavirus riporta le questioni all’osso: alla materialità del lavoro, alla necessità di pianificare l’economia e di saperla riconvertire in tempi di emergenza come questo. Al contrario, come hanno denunciato i lavoratori di La Spezia durante la diretta streeming di Giorgio Cremaschi (coordinatore di Potere al popolo), nelle fabbriche di guerra si continua a lavorare.

Grazie all’ambiguità dei decreti governativi, per giustificare il mantenimento delle attività produttive, e anche in condizioni che non consentono l’applicazione di misure di protezione dal virus, le imprese possono dichiarare di svolgere attività essenziali solo con una autocertificazione, avallata dai prefetti. Per chi sarebbero “essenziali” le spese militari se non per proteggere gli interessi del grande capitale internazionale?
Intere regioni, in Italia, sopravvivono grazie all’economia di guerra, mentre il popolo dei senza-diritti espone dalle finestre cartelli in cui chiede al governo con quali soldi potranno continuare a fare la spesa. Qui non ci sono i Clap come in Venezuela, né agisce sul tessuto sociale più fragile la formidabile organizzazione territoriale messa in campo dal PSUV in Venezuela. I bassi sussidi promessi dal governo italiano chissà come e quando arriveranno, e di sicuro non tuteleranno migranti e lavoratori al nero.

Scrive sul suo profilo Fb Alessandro Mustillo, del Fronte dei Giovani Comunisti: “Il governo non ha previsto e finanziato nessuna norma specifica peer gli affitti delle abitazioni, che continuano a correre come se nulla fosse. Serve un salario e un reddito di quarantena per da finanziare con prelievi forzati sui grandi patrimoni, con una tassazione straordinaria delle multinazionali dell’e-commerce, e da chi sta guadagnando in questo momento di emergenza”.

Prima i lavoratori e le lavoratrici, dice invece il governo bolivariano, prima la protezione delle comunas, della piccola produzione diretta, del lavoro informale. No ai licenziamenti e agli sfratti. Divieto assoluto ai gestori delle comunicazioni di interrompere i servizi ai cittadini. E già, in Venezuela, i servizi sono praticamente gratuiti. Ma, ora più che mai, nessuno deve rimanere indietro.

La ricerca del bene comune, nel socialismo, non è retorica, ma una dialettica proficua tra interessi generali e interessi del singolo. “Non siamo venuti a dare quel che ci avanza, ma a condividere quello che abbiamo. Ognuno offre quello che ha dentro”, ha dichiarato il capo della missione medica cubana appena giunto in Italia. Medici, non bombe. Una visione che Cuba porta avanti da sempre, nonostante il tremendo assedio che sta vivendo.

E i militari che si vedono per strada in Venezuela, hanno tutt’altra funzione da quella di difendere gli interessi dei settori dominanti, come accade in Europa o negli Stati Uniti: “Non siamo mercenari di nessuna potenza straniera”, hanno affermato i vertici della Forza Armata Nazionale Bolivariana respingendo “la stravagante e estremistica dichiarazione di Trump contro il Venezuela”.

Dopo aver ribadito la lealtà dei 5 corpi che compongono la FANB, hanno assicurato la massima vigilanza di fronte agli attacchi dell’estrema destra in un momento così delicato per il paese, concludendo: “L’impero nordamericano e i suoi alleati non spezzeranno la nostra dignità e l’irrevocabile decisione di essere liberi, sovrani e indipendenti”.

Un messaggio che i popoli di tutto il mondo stanno raccogliendo in questi giorni firmando appelli o inviando messaggi di protesta contro le misure coercitive e unilaterali di Trump e dei suoi ladroni. No Más Trump. Questa potrebbe essere la volta buona.
 

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