Bielorussia: la sferzata di Lukashenko all'economia

Bielorussia: la sferzata di Lukashenko all'economia

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di Fabrizio Poggi

 

“Risultati economici insoddisfacenti possono portare alla perdita dell'indipendenza del paese”. Queste le parole pronunciate dal presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko nel corso della visita nel distretto di Shklov, nella regione centrorientale di Moghilëv, la cui economia si basa soprattutto sull'industria cartaria e la lavorazione di prodotti caseari e granari. Lukashenko ha posto l'accento in particolar modo sui tempi dello sviluppo agricolo: “Siamo al fronte” ha detto, “e l'unica ragione per non raggiungere gli obiettivi fissati, è la morte. Se un dirigente agrario non è in grado di dirigere, che prenda la vanga e vada nel campo. Se non superiamo questo periodo, falliremo e dovremo entrare nella compagine di qualche altro stato, oppure si puliranno le scarpe con il nostro paese. Peggio ancora: dio non voglia, scateneranno una guerra, come in Ucraina".
 

Lukashenko non ha ovviamente detto alla compagine di quale altro stato si riferisse, né, tantomeno, chi dovrebbe scatenare la guerra contro Minsk; ha però concesso “pieni poteri” ai funzionari regionali, perché “è il momento di fare ordine” nell'economia: “se volete, prendete le pistole: è un problema vostro”.
 

All'accenno di Lukashenko a “uno stato straniero”, ha risposto indirettamente il presidente della Commissione della Duma per gli affari della SNG, Konstantin Zatulin, che vi ha notato un chiaro riferimento alla Russia. Più di una volta, ha detto Zatulin, “Lukashenko ci ha detto che si difenderà in trincea fino all'ultimo, nel caso che noi volessimo fare con la Bielorussia qualcosa di simile alla Crimea. Ma noi non abbiamo alcun proposito di questo tipo. Per la verità” ha detto ancora, “c'è uno stato che di sicuro ambisce, quantomeno, a una parte della Bielorussia, ed è la Polonia”. Polonia che, in effetti, alla fine della guerra ha visto i propri confini spostati di un paio di centinaia di chilometri verso ovest: a spese della Germania e a vantaggio di Ucraina, Bielorussia e Lituania. E Varsavia, da tempo, non fa assolutamente mistero delle proprie ambizioni di una Trzecia Rzeczpospolita Polska: a ovest la Granica na Odrze i Nysie ?u?yckiej (la linea Oder-Neiße) e a est i Ksi?stwo di W?odzimierskie e Halickie (i principati di Volinia e di Galizia). Non da oggi, Varsavia manifesta infatti le proprie ambizioni più che regionali - “da mare a mare”: dal mar del Nord al mar Nero, secondo l'idea Mi?dzymorze del maresciallo Józef  Pi?sudski.
 

Come che sia, prima del “sopralluogo” a Shklov, Lukashenko si era incontrato la settimana scorsa con Vladimir Putin, nel quadro del Consiglio supremo dello Stato unitario di Russia e Bielorussia. In quella sede, scrive Jurij Dolzhnikov su Svobodnaja Pressa, si è avuta la sensazione che, nonostante la retorica dello sviluppo delle relazioni tra i due paesi, i processi di integrazione da tempo segnino il passo e procedano solo per le strutture economiche: non a caso Putin ha posto l'accento sull'importanza della via di transito bielorussa per gasdotti e oleodotti, data la crescente incertezza delle altre rotte. Le continue diatribe a proposito delle diverse impostazioni sui controlli di frontiera tra i due paesi non sono che l'aspetto più appariscente. L'osservatore bielorusso Jurij Tsarik definisce tali rapporti di “amicizia antagonistica”, ciò che gli inglesi chiamano “frenemies”; mentre il politologo russo Ghevorg Mirzajan scrive su Sputink-Belarus che le questioni di attrito hanno assunto negli ultimi tempi una troppo accentuata risonanza, mentre la loro soluzione richiederebbe un lavoro più “silenzioso”.


Se a livello di social network, dice ancora Jurij Dolzhnikov, le frenesie liberal-occidentali gridano al “vassallaggio” di Minsk verso Mosca per ogni scelta diplomatica comune su questa o quella questione internazionale, a livello di vertice, con il pretesto della neutralità, Minsk nicchia ad esempio sull'apertura della prevista base aerea russa e strizza spesso l'occhio a Washington su Ucraina, Siria o Georgia. Nonostante Lukashenko assicuri che “i nostri paesi si attengono a posizioni comuni sui principali problemi internazionali e sostengono l'un l'altro nelle organizzazioni internazionali”, a Mosca ci si chiede, ad esempio, come mai Minsk non riconosca la Crimea russa o invii aiuti “umanitari” solo alla parte del Donbass controllata dalle truppe ucraine.


E se qualcuno sogna ancora una “neutralità svizzera”, si deve notare che essa dipende soprattutto dai paesi vicini, che difficilmente potrebbero accettarla, date anche precise rivendicazioni territoriali: ancora una volta, il riferimento sembra essere alla Polonia.


Quanto poi le dissonanze politiche tra Minsk e Mosca abbiano un fondamento economico, lo si può desumere dalla pressoché completa dipendenza bielorussa dal mercato verso est: più della metà del commercio estero (32,4 su 63,4 miliardi di dollari) è orientata verso la Russia e, secondo osservatori dei due paesi, Minsk starebbe cercando di allentare tale vincolo. Che Mosca ne sia ben consapevole, lo dimostra il semplice fatto che, proprio alla vigilia dell'incontro Putin-Lukashenko, il Rosselkhoznadzor (l'ente russo per l'ispezione veterinaria e fitosanitaria) aveva annullato il precedente divieto sull'importazione di latticini dalla Bielorussia.


Quali potrebbero essere dunque per Minsk gli esiti di una svolta verso occidente? Se da un lato lo sbocco verso i mercati europei, potrebbe far ricadere i prodotti caseari bielorussi nelle grinfie delle lobby polacco-baltiche o delle famigerate quote di Bruxelles, dall'altro potrebbe addirittura spingere precisi settori sociali a chiedere energicamente più integrazione verso ovest. Non è mai stato un segreto che Bruxelles, mentre di tanto in tanto carezza “l'ultimo dittatore europeo”, di fatto cerchi da tempo di arrivare a un cambio di regime sul modello ucraino, sull'onda del “più Europa”. Non è forse cominciato così anche in Ucraina?


Si riferiva probabilmente a questo Aleksandr Lukashenko, quando, pochissimi giorni fa, ha detto che “se qualcuno conta sul fatto che adottiamo una nuova costituzione e con essa creiamo le basi per una nostra majdan, finché sarò presidente, ciò non avverrà”.

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