Confindustria va alla guerra?
Confindustria refrattaria alle tematiche ecologiche ma non al Riarmo
di Federico Giusti
Il presidente di Confindustria Orsini, nell’assemblea annuale degli industriali ha ribadito le linee guida del padronato italiano tanto all’Italia quanto alla Ue: l’industria europea reclama un ruolo da protagonista per non restare schiacciata nella competizione internazionale per le risorse strategiche o soffocata da una deriva regolatoria autoinflitta.
Una vera e propria idiosincrasia per aumenti salariali e norme a tutela dell’ambiente, la proposta di un “New Generation EU per l’industria” con risorse economiche pubbliche e private per porre fine ad ogni suggestione green, a quella sorta di ambientalismo ideologizzato (una critica insensata se pensiamo alla involuzione delle realtà ambientaliste salite sugli scranni delle maggioranze parlamentari) che avrebbe alimentato diffidenza verso l’industria indebolendo l’ecosistema manifatturiero.
Sul Green Deal, l’errore è stato anteporre l’ideologia al realismo e alla neutralità tecnologica: ci siamo dati i tempi e gli obiettivi ambientali più sfidanti del mondo, ma senza alcuna stima degli effetti e dei costi sull’industria e sui lavoratori e le loro famiglie.
Il resto del mondo non condivide né i nostri standard, né i loro costi, e tutto ciò ci porta fuori mercato. Ma non siamo i soli a chiedere una svolta. Sono con noi tutte le Confindustrie europee. 07 Assemblea 2025 | Bologna, 27 maggio Relazione del Presidente Emanuele Orsini Lo chiede con forza l’industria dell’automotive. Il rischio concreto è di avere auto sempre più costose, con il risultato di cedere quote di mercato sempre maggiori ai concorrenti cinesi. È la stessa opinione espressa con forza dalla Germania del nuovo cancelliere Friedrich Merz, che mette al centro del suo programma un grande piano di rilancio industriale, superando finalmente il tradizionale veto tedesco che anteponeva il “deficit zero” agli investimenti produttivi.
Confindustria Italiana ricorda al Governo Meloni che il rapporto con la Germania, con le sue filiere industriali, va non solo rafforzato ma bisogna prendere esempio dalle recenti svolte, prima tra tutte l’allentamento del debito a favore del riarmo
Una posizione nuova, quella tedesca, su cui l’Italia – seconda manifattura d’Europa e quarta esportatrice al mondo – deve far leva per costruire posizioni comuni. Il grande piano di investimenti industriali tedeschi è un’opportunità per rafforzare le interconnessioni tra filiere italiane e filiere tedesche.
E sempre sul Riarmo, sulla Bce, sulla competizione con gli Usa, sulle regole fiscali e finanziarie della Ue, sulla necessità di costruire il mercato unico dei capitali europei ci sono passaggi illuminanti nella relazione del presidente di Confindustria, val la pena di leggerli direttamente senza ulteriori commenti
Comprendiamo che l’Europa debba spendere di più e meglio per la propria difesa. Ma la guerra commerciale va affrontata con la stessa determinazione e con investimenti straordinari altrettanto necessari. L’Europa deve difendere i propri interessi su tutti i fronti: da quello industriale a quello sociale. Non è possibile che l’unica eccezione per sforare il Patto di Stabilità sia relativa alla spesa per la difesa. La nostra idea è diversa. Il Patto di Stabilità e Crescita deve consentire un grande piano di sostegno agli investimenti dell’industria, in ogni Paese europeo. Altrimenti, non è un patto per la stabilità e la crescita.
È un patto per il declino dell’Europa. Bisogna lavorare seriamente alla creazione del Mercato Unico degli investimenti e dei risparmi, a maggior ragione visto che oggi importanti flussi finanziari potrebbero abbandonare gli Stati Uniti. Anche la Banca Centrale europea deve avere più coraggio sia sul fronte dei tassi d’interesse, sia su quello dei requisiti patrimoniali bancari, che oggi sono molto più rigidi rispetto a quelli in vigore negli Stati Uniti e in Cina.
Non sono parole nostre ma dei vertici confindustriali che parlano di modello statunitense come faro guida per la costruzione di un autentico Mercato unico Europeo per il quale servirebbero, a detta dei padroni, nuove e semplici regole, minore burocrazia e la sostanziale revisione delle regole comunitarie e soprattutto quelle finalizzate alla tutela dell’ambiente, al contenimento dell’inquinamento fino al divieto europeo sui motori endotermici da adottare entro il 2035.
Nella narrazione confindustriale la crisi economica e industriale non è data da problemi di lungo corso e strutturali, dalla guerra, dal rincaro dei prodotti energetici, dalle difficoltà di approvvigionamento delle materie prima, il vero nemico da combattere sarebbe l’integralismo green che ha aggredito l’industria negli ultimi anni con la transizione ambientale vista come una sorta di dogma e senza quel pragmatismo che metterebbe al primo posto la competitività economica continentale.
La proposta di un Piano Industriale Straordinario si rivolge anche al nostro Paese, al Governo Meloni viene chiesto di disaccoppiare il costo del gas da quello delle rinnovabili, puntando sul nucleare ribattezzato per l’occasione il fattore di sicurezza e indipendenza strategica per il Paese.
Confindustria batte cassa alla Ue e al Governo italiano, parla di “incentivi 6.0”, minore tassazione e utilizzo flessibile delle risorse del PNRR e dei fondi di Coesione, dare fondo all’avanzo Inail, pari a 1,5 miliardi di euro l’anno, per processi di formazione e prevenzione dei rischi esentando le imprese dal pagamento delle stesse.
Molte delle proposte Confindustriali non sono nuove anzi rappresentano i classici cavalli di battaglia padronali come pagare meno tasse, avere un sistema fiscale favorevole, ridurre i controlli e gli adempimenti burocratici. Ma allo stesso tempo merita attenzione la sempre verde ricetta dello scambio tra produttività e salari come se la perdita del potere di acquisto dei salari da quasi 40 anni ad oggi non fosse un problema che allenta i consumi interni e alimenta le disuguaglianze sociali ed economiche. Pensare che imprese e salari crescano di pari passo è offensivo se guardiamo ai profitti degli ultimi decenni, al divario crescente tra la ricchezza di pochi e l’aumento esponenziale della miseria di fasce consistenti della popolazione. E non mancano riferimenti a una auspicata e non meglio definita contrattazione “sana” che ci riporta indietro di qualche anno, a quel patto consociativo con i sindacati per arginare i contratti pirata e gli accordi con come le finte cooperative per rilanciare, e anche qui non ci sono novità, l’ennesimo “patto nuovo tra forze politiche e sociali” per “un’Europa più forte” e “un’Italia ancora più grande”.
E anche in questo caso le parole di Orsini sono inequivocabili e vanno prese sul serio come indicazioni del capitale industriale italiano, e non solo, al nostro Esecutivo
Per raggiungere questi obiettivi, il nostro appello è alla massima cooperazione tra forze dell’impresa, del sindacato e della politica. E non può che essere l’Europa il primo destinatario delle nostre sollecitazioni. Le motivazioni sono immediate: • oltre il 70% della normativa di riferimento per le imprese europee, e quindi anche italiane, arriva dall’Unione europea; • più del 50% dell’export italiano ha come destinazione l’Unione europea; • l’unione doganale e il commercio sono competenze esclusive dell’Unione europea. Ecco perché chiediamo al Presidente del Consiglio e alla Presidente del Parlamento europeo di sostenere, a Bruxelles, un Piano Industriale Straordinario europeo. Se le politiche rimangono solo nazionali, continueremo con la frammentazione che ha caratterizzato l’Europa finora, e non riusciremo a far crescere la massa critica degli investimenti industriali e delle innovazioni tecnologiche. Ecco perché all’Europa serve anche una netta sterzata nella sua politica commerciale.
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Un Piano Industriale Straordinario per il futuro dell’Italia e dell’Europa | Confindustria