Europa contro Russia: dobbiamo riabituarci a morire in guerra?

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Europa contro Russia: dobbiamo riabituarci a morire in guerra?


di Domenico Moro

 

Recentemente in Francia hanno suscitato un notevole scalpore le dichiarazioni pubbliche rilasciate dal generale Fabien Mandon, capo di stato maggiore della difesa francese. Secondo Mandon, bisogna ritornare ad “accettare di perdere i propri ragazzi. Ciò che manca è la forza d’animo per accettare di farsi male, per proteggere ciò che siamo. Se il nostro paese vacilla perché non è pronto ad accettare di perdere i suoi figli, perché bisogna dirlo, a soffrire economicamente perché le priorità andranno alla produzione per la difesa, allora siamo a rischio”i. Quindi, bisogna riabituarsi non solo a sacrifici nel nostro tenore di vita per finanziare un aumento degli armamenti, ma soprattutto a morire in guerra in Francia, e, a quanto pare, in tutta Europa.

Cento anni fa la possibilità per un giovane europeo di essere ucciso in guerra era considerata nell’ordine delle cose, per quanto spiacevole. Dopo i massacri della Prima e della Seconda guerra mondiale, in Europa e, in generale, nei paesi avanzati dell’Occidente collettivo, si è affermata l’inaccettabilità di morire in guerra. Questa posizione si è riscontrata anche negli Usa, sebbene, a differenza dell’Europa occidentale, avessero conservato una postura esplicitamente imperialista anche dopo la Seconda guerra mondiale. Il punto di svolta negli Usa fu la guerra del Vietnam, durante la quale i coscritti di leva si rivelarono inadatti a sostenere i pericoli di morte del combattimento, e si evidenziarono le difficoltà a motivare i soldati (e il sostegno dei civili) da parte dell’ideologia dominanteii. La risposta degli Usa fu l’introduzione delle Forze Armate professionali. Infatti, dalla fine della guerra del Vietnam, ad intervenire nelle numerose guerre che sono state intraprese dagli Usa sono stati i volontari professionisti. Ma, come dimostra il ritiro dall’Afghanistan, anche le perdite di professionisti risultano poco digeribili dall’opinione pubblica statunitense.

La stessa tendenza al passaggio dalla leva obbligatoria a una leva di volontari professionisti si è affermata, tra gli anni ’90 e i primi anni 2000, anche nei principali stati dell’Europa occidentale a partire da Germania, Francia, Italia e Spagna. Il concetto strategico che è sotteso a questa soluzione è che con la fine dell’Urss veniva meno la necessità di “difendere la patria” e che l’impiego delle truppe dovesse essere destinato a missioni cosiddette fuori area, dal momento che si era entrati nell’epoca delle spedizioni. C’era, quindi, bisogno di uno strumento militare più piccolo e mobile, adatto a dispiegarsi in paesi lontani, soprattutto del terzo mondo, in operazioni di peace-keeping o peace-enforcingiii. I conflitti che ci si aspettava di combattere erano quelli a bassa intensità, contro guerriglieri o milizie prive o quasi di armi pesanti. Malgrado ciò, quando si sono verificate delle limitate perdite di vite di militari, come per esempio a Nassiriya il 12 novembre del 2003 quando 19 militari italiani furono uccisi, l’emozione è stata forte. Dunque, l’Europa, per un lungo periodo di tempo si è risparmiata conflitti con alte perdite di vite umane, con cui invece i paesi del Sud globale sono sempre stati costretti a fare i conti, spesso proprio a causa di guerre scatenate dai paesi occidentali utilizzando l’arma aerea o manovrando fazioni locali. 

Nuova dottrina militare e nuovo modello di difesa

Oggi, il modo di intendere le Forze Armate sembra cambiare di nuovo. Il nuovo nemico, per la classe politica europea occidentale, è la Russia e la guerra da combattere non è più quella a bassa intensità contro forze guerrigliere ma quella ad alta intensità contro Forze Armate pesantemente armate e tecnologicamente avanzate. La ragione, si dice da varie parti, è la volontà della Russia di ripristinare l’”impero sovietico”, minacciando anche l’Europa occidentale. Da questa narrazione viene eliminato il fatto che sia stata la Nato ad allargarsi minacciosamente fino ai confini della Russia, nonostante le promesse fatte dai leader occidentali a Gorbaciov al momento dello scioglimento del Patto di Varsavia, e che sempre la Nato avesse l’intenzione di inglobare anche l’Ucraina. Ugualmente è sottaciuto il fatto che in Ucraina la guerra, tra il governo ucraino e la minoranza russofona del Donbass, era iniziata molto tempo prima che la Russia intervenisse e aveva provocato 10mila morti fra quella popolazione russofona. 

Quindi, di fronte a questo presunto nuovo pericolo, l’Europa sta modificando i suoi strumenti militari, sia sul piano dei mezzi materiali sia sul piano del personale. Il programma ReArm Europe, presentato dalla Commissione europea a marzo 2025, prevede lo stanziamento di ben 800 miliardi di euro in armamenti e la possibilità per gli Stati europei di sforare il vincolo del 3% al deficit pubblico per le spese militari. Più recente è la notizia, per quanto riguarda l’Italia, che il 41% dei fondi per l’industria, 10,3 miliardi su 25,1 miliardi complessivi, del Ministero dell’industria e del made in Italy (Mimit) andranno in armi. Si tratta di risorse che verranno stornate dal welfare (sanità, scuola, ecc.) e da settori industriali strategici in difficoltà, come la siderurgia, che – lo diciamo en passant – richiederebbe la nazionalizzazione dell’ex Ilva.  

Ma novità importanti si presentano anche sul piano del personale che dovrà usare queste nuove armi. Infatti, gli eserciti professionali dell’epoca delle spedizioni sono troppo piccoli per i nuovi compiti. Le Forze Armate italiane, ad esempio, ammontano a 160mila uomini e donne. Per questa ragione, alcuni paesi europei, Lituania, Lettonia, Svezia, e Croazia, hanno ripristinato la leva obbligatoria, mentre Norvegia e Danimarca l’hanno estesa anche alle donne. Più importante ancora è che la Germania e la Francia, oltre a Belgio e Polonia, abbiano deciso l’introduzione di un servizio militare, anche se non obbligatorio. In Germania, il cancelliere Merz ha stabilito di aumentare i soldati da 180mila attivi e 50mila riservisti a 260 mila attivi e 100mila riservisti. Se non si riuscirà a riempire i ranghi con i volontari, si reintrodurrà la leva obbligatoria. In Francia, Macron ha detto che “Abbiamo bisogno di mobilitazione, della mobilitazione della nazione per difendersi…per essere pronti e rispettati…di fronte all’accelerazione della crisi e all’inasprimento delle minacce.” I nuovi soldati riceveranno una paga di 800 euro al mese per 10 mesi. L’obiettivo francese è quello di raddoppiare entro il 2030 a 80mila unità la riserva da mobilitare e impiegare in eventuali conflitti. Per quanto riguarda l’Italia, il ministro della difesa, Crosetto, ha affermato di voler portare un disegno di legge in Parlamento su un servizio volontario analogo a quelli tedesco e francese. 

La postura aggressiva della Nato e dell’Europa verso la Russia

Questi aumenti degli effettivi militari e delle riserve mobilitabili non sono paragonabili alla leva di massa che sarebbe necessaria in caso di una vera guerra con una nazione come la Russia, che ha 146 milioni di abitanti e le seconde forze armate a livello mondiale, con 1,32 milioni di soldati attivi e 2 milioni di riserveiv. Tuttavia, è un segno grave del fatto che l’Europa occidentale sta assumendo una postura aggressiva che è diretta con tutta evidenza contro la Russia. Questo appare evidente se uniamo le decisioni suddette alle dichiarazioni di importanti capi militari occidentali, tra cui non solamente il francese Mandon. A tal proposito, una dichiarazione preoccupante è stata rilasciata al Financial Times dall’ammiraglio Giuseppe Cavo Dragone, che, oltre a essere stato capo di stato maggiore della difesa, è oggi la più alta carica militare della Nato. L’ammiraglio ha affermato che la Nato valuta attacchi preventivi contro la Russia. È vero che Cavo Dragone si è riferito a azioni di guerra ibrida, che comprendono attacchi informatici, guerra economica, fake news e altre operazioni a bassa intensità, ma si tratta comunque di operazioni molto dannose per i paesi che ne sono oggetto. Senza contare che fare dichiarazioni di questo tipo mentre c’è in atto un tentativo di risoluzione del conflitto ucraino è quantomeno inopportuno. Del resto, gli stati europei più importanti – i cosiddetti volenterosi – si erano già messi di traverso rispetto al piano di pace proposto da Trump, proponendo un nuovo testo su cui impostare la negoziazione che è chiaramente irricevibile da parte del Cremlino.  

La reazione russa alle parole di Cavo Dragone è stata piuttosto decisa. La portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, ha affermato che le dichiarazioni dell’ammiraglio italiano sono “un passo estremamente irresponsabile, a dimostrazione che l’alleanza è pronta a continuare verso una escalation. Vediamo un tentativo deliberato di minare gli sforzi per superare la crisi ucraina. Le persone che rilasciano tali dichiarazioni dovrebbero essere consapevoli dei rischi e delle possibili conseguenze, anche per gli stessi membri dell’alleanza.”  Ugualmente decisa è stata la reazione di Vladimir Putin: “Noi non abbiamo intenzione di combattere contro l’Europa, l’ho già detto cento volte. Ma se l’Europa vuole combattere con noi siamo pronti.”

Insomma, l’Europa sembra assumere una postura quantomeno aggressiva rispetto alla Russia, cosa che rende difficile fermare una guerra che è, con tutta evidenza, già persa per l’Ucraina (e per la Nato), e che più va avanti più la situazione ucraina sarà insostenibile. A questo punto, però, c’è da chiedersi una cosa: perché l’Europa assume questo tipo di atteggiamento invece di ricoprire un ruolo terzo e di mediazione tra i due contendenti? Questo ad alcuni appare ancora più inspiegabile a fronte del fatto che le sanzioni contro la Russia hanno privato l’Europa, e in particolar modo la Germania e l’Italia, di rifornimenti di gas a prezzi bassi, su cui avevano fondato le fortune del loro export manifatturiero. Inoltre, il finanziamento della guerra ucraina è costato all’Europa, tra gennaio e agosto 2025, ben 50 miliardi di euro e molti di più ne costerà, perché Trump fornirà all’Ucraina solo quelle armi che l’Europa sarà disposta a pagare. Ammontano a 90 miliardi i due terzi del fabbisogno di finanziamento dell’Ucraina per i prossimi due anni, che verranno coperti dalla Commissione europea. Piuttosto dubbi sono i modi in cui la Commissione spera di raccogliere tali fondi: o con la raccolta di denaro sui mercati finanziari, poco appetibile per quegli stati ostili a fare debito comune, o con l’utilizzo dei 210 miliardi di euro russi che sono stati congelati presso istituzioni finanziarie europee occidentali, condizione che equivale al furto di beni altrui.
 
Le cause dell’aggressività Europea verso la Russia

Per capire il perché dell’ostinazione dei paesi europei occidentali nella ostilità contro la Russia avanziamo le seguenti spiegazioni. 
La prima consiste nell’esistenza di un imperialismo collettivo, per dirla alla Samir Amin, che include i paesi del G7 (Usa, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, Giappone e Canada) e che si contrappone al Sud globale e ai Brics, che hanno nella Russia uno dei membri più importanti. Per tale imperialismo (o Occidente collettivo) uno Stato russo autonomo e forte, è un avversario da eliminare o da ridimensionare su un piano strategico. Tale orientamento caratterizza il rapporto tra Russia e Gran Bretagna, la quale storicamente si ispira alla dottrina di Halford Mackinder (1861-1947), geografo e deputato inglese e fondatore della geopolitica. Secondo Mackinder, se si vuole dominare il mondo bisogna dominare l’Eurasia e, se si vuole dominare quest’ultima bisogna dominare il cosiddetto Heartland, il fulcro geopolitico mondiale. Tale fulcro, un’area tra Asia e Europa, coincide con la Russia. Per questa ragione, l’impero britannico si oppose a quello russo, a cavallo di XIX e XX secolo, nel cosiddetto Grande gioco per il dominio dell’Asia centrale. Alle motivazioni britanniche si aggiungono quelle della Francia, che, proprio negli ultimi anni, ha visto ridursi drasticamente la sua influenza sulle sue ex colonie africane, molte delle quali l’hanno sostituita con la Russia. Non è, quindi, un caso che Gran Bretagna e Francia siano state il nucleo iniziale dei “volenterosi” a sostegno di Kiev e contro Mosca.

Ma sono tutte le élites finanziarie europee occidentali, a differenza dei loro popoli, a essere contro una Russia forte e autonoma. L’imperialismo, infatti, come diceva l’economista britannico John A. Hobson, già all’inizio del XX secolo, nasce dall’accumulazione di capitale eccedente negli stati avanzati che hanno, quindi, necessità di investirlo all’estero.vii Da qui, sorge la necessità di controllare il mondo sul piano politico e militare. L’imperialismo di queste élites si è basato prima sugli imperialismi nazionali europei e poi, dopo la Seconda guerra mondiale, su una sorta di imperialismo collettivo, guidato dagli Usa. La dottrina imperialista di questi ultimi si è fondata per decenni, fino a Biden, su una teoria elaborata da Brzezinski nel 1997, che predicava, in modo coerente con Mackinder, di inglobare l’Europa orientale nella Nato allo scopo di indebolire la Russia.viii Tale strategia è stata disattesa dall’avvento di Trump, che non è meno imperialista di Biden, ma individua nella Cina l’avversario strategico degli Usa e, pertanto, cerca di dividere le due potenze, Russia e Cina, perché insieme sono un osso troppo duro da rodere. Inoltre, Trump ha detto molto chiaramente, ribadendo il concetto nel recente documento sulla Strategia di Sicurezza Nazionale, che l’Europa deve cominciare a provvedere da sola alla propria difesa. A questo punto, è del tutto comprensibile il disorientamento delle élites europee, che per decenni si sono affidate alla potenza statunitense, e che ora si affrettano affannosamente a potenziare la loro forza militare. 

L’ultima spiegazione della ostilità contro la Russia risiede nel fatto che è una buona ragione per aumentare la spesa pubblica, attraverso le spese militari, che sono le uniche per le quali la Ue permetta di sforare i vincoli di bilancio. Si tratta di una sorta di keynesismo militare, cioè di sostegno statale al capitale in un periodo di perdurante stagnazione economica. Questo vale in particolare per le economie di Italia, Francia e Germania. Recentemente, infatti, l’Ocse ha pubblicato le previsioni dell’andamento del Pil dei paesi che ne fanno parte, mostrando come siano proprio le tre principali economie della zona euro a essere il fanalino di coda con incrementi annui asfittici, che nel 2026 si attestano a +0,3% per la Germania, a +0,5% per l’Italia e a +0,8% per la Francia.ix A far registrare la maggiore crescita del valore azionario nelle borse europee nell’ultimo anno sono state le imprese belliche, come la tedesca Rheinmetal (+135,7%) e l’italiana Leonardo (+79,33%)x. Inoltre, la guerra con le sue distruzioni di edifici, impianti e infrastrutture è una ghiotta occasione di investimento. Gli stati europei occidentali, grazie all’appoggio al governo di Zelensky, mirano a aggiudicarsi le commesse per la ricostruzione dell’Ucraina, a partire proprio dall’Italia, che non a caso ha ospitato a Roma la conferenza per la ripresa.

In conclusione, appare chiaro che l’imperialismo europeo ci sta portando su un piano inclinato verso la guerra contro uno Stato che, in realtà, non ci sta minacciando. Alla base della posizione dell’Europa ci sono degli interessi di una minoranza, quella del capitale finanziario, che vanno contro gli interessi più generali dei popoli europei alla pace e alla cooperazione economica. Ne è ulteriore conferma, secondo il Censis, il fatto che il 66% degli italiani ritiene che bisogna rinunciare a incrementare le Forze Armate, se, per farlo, si deve tagliare il welfare, e che ben il 44% ritiene che l’Italia non dovrebbe intervenire militarmente neanche se venisse attaccato un paese della Natoxi. Ad ogni modo, le élites europee che si oppongono alla Russia stanno giocando con il fuoco. Infatti, l’Europa occidentale continua a provocare, in modo del tutto velleitario, uno Stato che, oltre ad avere il secondo esercito del mondo, è anche una superpotenza nucleare con il maggior numero di testate nucleari al mondo. Senza contare che, per ritornare alle parole del generale Mandon, la Russia ha dimostrato di avere una soglia di tolleranza alle perdite umane ben superiore a quella dell’Europa occidentale.  

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