Europa di guerra
di Federico Giusti
Programma di Comunicazione MD 2025:
Immaginare nuovi paradigmi d’azione. Il mondo in cui ci troviamo a operare è segnato da un conflitto sempre più marcato tra democrazia e autarchia, dove i regimi autoritari sembrano guadagnare efficienza, mentre le democrazie si confrontano con la necessità di mantenere l’efficienza decisionale senza compromettere i principi democratici. L'evoluzione della società richiede che la Difesa non solo si adatti ai cambiamenti, ma che diventi un agente di trasformazione, migliorando continuamente le proprie strutture, la formazione e le capacità decisionali. Questo implica una valorizzazione delle diversità, una promozione della meritocrazia e un adattamento a tempi in cui la rapidità di azione e la capacità di visione globale sono essenziali.
Una Difesa italiana rinnovata, più agile ed efficace. In effetti la Difesa italiana ha avviato un processo di trasformazione profonda per garantire uno Strumento moderno, sempre più interforze, capace di rispondere alle sfide globali in modo credibile e sinergico. Questo rinnovamento, che si fonda su un equilibrio tra la quantità e la qualità delle risorse militari, richiede uno sviluppo continuo delle capacità esistenti, il quale a sua volta necessita di investimenti sostenibili nel lungo periodo, in un contesto di stabilità e certezza finanziaria.
Non importa come trovino i soldi, è di vitale importanza che li abbiano a disposizione anche a costo di poderosi tagli al sociale.
Non sono queste le dichiarazioni virgolettate del Segretario generale Nato Mark Rutte ma il suo messaggio, in vista del Summit Nato del 24 e 25 giugno in Olanda, è fin troppo esplicito: entro 5 anni la Ue potrebbe essere attaccata dalla Russia e per questo la spesa militare dovrà essere velocemente accresciuta fino al 5% del PIL suddiviso tra investimenti militari (3,5%) e sicurezza (1,5%). Spingere l’asticella in alto non significa ottenere queste percentuali, del resto già nel 2014 parlavano del 2 per cento del Pil per la spesa militare; tuttavia, le continue pressioni accelerano la tendenza al riarmo e alla guerra e spingono ogni paese ad aumentare la capacità di spesa e di investimento nel settore militare.
Poi i paesi si accorderanno su come spendere queste risorse economiche intanto è preferibile liberare il campo da un equivoco: gli Usa non vogliono aspettare troppo tempo prima che la Ue e gli altri paesi aderenti alla Nato aumentino le spese militari investendo risorse nel cyberwarfare, nelle infrastrutture, per accrescere gli organici delle forze armate inclusi dei riservisti sul modello israeliano.
Fin qui nulla di nuovo, siamo davanti a scenari già visti, gli Usa vogliono spendere meno per la Nato e investire, sempre in ambito militare, nell’area Indo Pacifica in funzione anticinese, per farlo hanno bisogno che la spesa militare sia comunque non inferiore al 3 per cento del Pil e nell’arco di pochi anni arrivi al 5 per cento.
Qualche segnale preoccupante per l’immediato futuro arriva dalla definizione della Nato come “un’alleanza più forte, più equa e più letale”.
Il summit di fine giugno potrebbe essere l’occasione propizia per costruire una nuova Alleanza Atlantica, nel frattempo prosegue la più grande mobilitazione economica e militare dalla guerra fredda ad oggi. E il Riarmo viene banalizzato non collegandolo ai cambiamenti dell’economia, ai nuovi processi speculativi in campo finanziario, ai cambiamenti che interverranno nei bilanci di spesa nazionali e comunitari. Una lettura parziale e fin troppo angusta che impedisce di cogliere tutti i processi economici, sociali, finanziari, fiscali che comporterà l’aumento della spesa militare.
Nel Regno Unito il governo laburista si impegna a portare il prossimo anno la spesa al 2,5%, hanno da poco presentato il loro Libro Bianco della difesa ribattezzato Strategic Defence Review, che stanzia 15 miliardi di sterline per testate tattiche nucleari, 1,5 miliardi di sterline per sei nuove fabbriche di munizioni, 6 miliardi di sterline destinate a missili a lungo raggio, 1 miliardo per la guerra Cibernetica.
In Italia siamo lontani dal 5%, vetta irraggiungibile a detta del Governo, ragione per cui arrivare in un triennio al 2,5% del Pil per spesa militare sarebbe un risultato apprezzabile con l’aggiunta al budget attuale di 23 miliardi di euro e l’approvazione dell’Ue della norma che scorporerà le spese militari dal Patto di Stabilità. L’Italia lavora per rivedere le norme fiscali Ue, il timore del Governo Meloni è legato al giudizio di Bruxelles che vigila sui nostri conti; quindi, le preoccupazioni riguardano gli accordi con la Unione Europea e non la sostenibilità sociale della spesa militare in aumento. Per chi invoca il 5% ricordiamo che passeremmo da 32 miliardi a oltre 100 e si tratta di una spesa che un paese come il nostro potrebbe sostenere solo con decine di migliaia di licenziamenti nella PA, distruzione del welfare, chiusure di ospedali e scuole e una devastazione sociale politicamente insostenibile. Chiudiamo con la Germania, l’obiettivo del 5% entro fine mandato significa 215 miliardi di euro l’anno e il Parlamento tedesco intanto ha esentato dal rispetto delle regole di bilancio ogni spesa riconducibile al militare iniziando la riconversione a fini di guerra di piccoli settori della sua economia (indotto meccanico)
I venti di guerra soffiano anche sul territorio iberico e il Governo ha già annunciato di arrivare al 2 per cento del Pil entro il 2029, il massimo della spesa sostenibile dalla Spagna, Ben altre invece sono le dichiarazioni francesi, il presidente Macron da sempre è alfiere della spesa militare ma la crisi economica è tale da indurre a maggiore prudenza per cui il piano di riarmo è diluito nel prossimo decennio con una spesa annuale di 100 miliardi entro 2030.
Abbiamo aperto l’articolo citando un documento ufficiale della Difesa italiana sulle strategie comunicative da seguire, sarà il caso di riservare grande attenzione a questo aspetto da cui passeranno anche le banali e semplici giustificazioni per accrescere la spesa militare con argomentazioni di vario genere prima tra tutte l’idea che ogni euro alla difesa sia un investimento per la nostra sicurezza. E proprio sulla nozione di sicurezza si gioca una opera di costante martellamento mediatico per arrivare all’obiettivo finale: militarizzare la società e ogni suo ambito e costruire le condizioni migliori per rendere ineluttabile il ricorso alla guerra.