Joseph Stiglitz: Il neoliberismo deve essere dichiarato morto e sepolto

Joseph Stiglitz: Il neoliberismo deve essere dichiarato morto e sepolto

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Il Blog di Beppe Grillo
 

Qualche giorno fa Joseph Stiglitz, premio Nobel in economia, ha ribadito chiaramente cosa ne pensa della situazione economica mondiale di questi ultimi anni. E di fatto non presagisce tempi felici per il futuro, a meno che non cambi rotta.


Per decenni gli Stati Uniti e altri Paesi hanno perseguito il libero mercato, descrivendolo come la panacea di tutti i mali. Peccato però che ha fallito in modo spettacolare. Infatti dopo 40 anni di neoliberalismo negli Stati Uniti e in altre economie avanzate, sappiamo cosa non funziona.


Ora Stiglitz si chiede cosa vogliamo fare. Vogliamo creare un sistema economico più favorevole per il benessere umano o no?


Ad oggi l’esperimento neoliberale è un disastro. La riduzione delle tasse sui ricchi, la deregolamentazione dei mercati del lavoro e dei prodotti, la finanziarizzazione e la globalizzazione, si sono rivelate un fallimento spettacolare.


Stiglitz sottolinea come la crescita è più bassa di quanto non fosse nei 25 anni dopo la seconda guerra mondiale. Ed inoltre la maggior parte della ricchezza si è accumulata ai vertici della società.


Non era mai successo in maniera così netta.


Per trovare una situazione simile dobbiamo tornare all’epoca dei re. Pochissimi avevano tutto, gli altri niente. La soluzione è dichiarare il neoliberismo morto e sepolto.


Ma come possiamo superare questo momento?


Per Stiglitz oggi ci sono almeno tre principali alternative politiche: il nazionalismo di estrema destra, il riformismo di centro-sinistra e la sinistra progressista (con il centro-destra che rappresenta il fallimento neoliberista).


Ma con l’eccezione della sinistra progressista, queste alternative rimangono legate a qualche forma ideologica, che è o scaduta o desueta.


Il centrosinistra, ad esempio, rappresenta il neoliberismo con un volto umano. Il suo obiettivo è portare le politiche dell’ex presidente degli Stati Uniti Bill Clinton e dell’ex primo ministro britannico Tony Blair nel 21° secolo, apportando solo lievi revisioni alle modalità prevalenti di finanziarizzazione e globalizzazione.


Nel frattempo, i nazionalisti rinnegano la globalizzazione, incolpando i migranti e gli stranieri per tutti i problemi.


Poi abbiamo quello che può essere chiamato capitalismo progressista, che ha un’agenda economica, basata su quattro priorità. Il primo è ripristinare l’equilibrio tra mercati, stato e società civile. La lenta crescita economica, l’aumento delle disuguaglianze, l’instabilità finanziaria e il degrado ambientale sono problemi nati dal mercato, e quindi non possono e non saranno superati dal mercato da soli.


I governi hanno il dovere di fare ciò che il mercato non può o non vuole fare, come investire nella ricerca di base, nell’istruzione e nella salute.


La seconda priorità è riconoscere che la ricchezza delle nazioni è il risultato di una organizzazione sociale, che consente a grandi gruppi di persone di lavorare insieme per il bene comune. I mercati hanno ancora un ruolo cruciale da svolgere, ma servono solo se sono soggetti a controlli democratici. Altrimenti, gli individui possono diventare ricchi sfruttando gli altri, estraendo ricchezza attraverso la ricerca di rendite, piuttosto che creare ricchezza attraverso l’ingegnosità genuina.


La terza priorità è affrontare il crescente problema della concentrazione di potere.L’aumento del potere delle imprese, combinato con il declino del potere di contrattazione dei lavoratori, è molto importante per spiegare perché la disuguaglianza è così alta.


A meno che il governo non assuma un ruolo più attivo di quello prescritto dal neoliberismo, questi problemi probabilmente peggioreranno molto, a causa dei progressi della robotizzazione e dell’intelligenza artificiale.


Il quarto punto chiave è separare il legame tra potere economico e influenza politica. Il potere economico e l’influenza politica si rafforzano reciprocamente e si autoalimentano, specialmente laddove, come negli Stati Uniti, chi è ricco può finanziare le elezioni.


Gli Stati Uniti si avvicinano sempre di più a un sistema fondamentalmente antidemocratico, dominato dal principio di “un dollaro = un voto”. Questo non è solo un problema morale e politico: le economie con meno disuguaglianza in realtà ottengono risultati migliori.


Non esiste una bacchetta magica in grado di risolvere i danni causati da decenni di neoliberalismo.


Dobbiamo quindi invertire il corso delle cose, perché le alternative offerte dai nazionalisti e dai neoliberisti garantiscono solo di portare a risultati che nemmeno immaginiamo.

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