La guerra contro Israele è una grande opportunità per l'Iran

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La guerra contro Israele è una grande opportunità per l'Iran


di Leonardo Sinigaglia

Attaccando in forze l’Iran tramite la propria aviazione e reparti di infiltrati schierati all’interno del paese con lanciamissili e droni, il regime di Tel Aviv pensava di potersi assicurare una rapida vittoria, di mettere in ginocchio lo Stato e di riuscire così a trascinarsi fuori dall’impasse in cui è costretto dal 7 ottobre 2023. Le speranze si sono rivelate infondate: nonostante il grande numero di ufficiali, scienziati e civili rimasti uccisi nell’atto sionista, le capacità militari iraniane non ne sono uscite danneggiate, e la risposta di Teheran non si è fatta attendere.

Non si tratta più per la Repubblica Islamica semplicemente di “ristabilire la capacità deterrente” come nel caso delle prime due operazioni “Promessa veritiera”.  Si è ormai in un conflitto aperto con il regime sionista, e i bombardamenti missilistici si susseguono ormai senza interruzione incontrando un’efficacia decrescente della contraerea israeliana. 
La pioggia di missili su Tel Aviv, su Haifa e su diverse installazioni militari dislocate per tutta la Palestina occupata sta spingendo Netanyahu a chiedere con sempre più insistenza l’intervento diretto statunitense. Questa possibilità, a giudicare dallo spostamento di navi e aerei da guerra versa il Medio Oriente, sembra essere sempre più realistica, nonostante le promesse elettorali di Trump di “non iniziare nuove guerre”.

L’attacco all’Iran è stato promosso approfittando dell’illusione della sicurezza data dal protrarsi delle trattative sul nucleare, alle quali si era affidata la parte della classe dirigente iraniana convinta di poter in qualche modo arrivare alla normalizzazione delle relazioni con gli USA.  Ma la “minaccia nucleare” rappresentata all’Iran non è che la copertura retorica dell’operazione: non si tratta di impedire l’acquisizione da parte di Teheran di armi nucleari per la “stabilità e la sicurezza della regione”, come sostenuto dall’Occidente collettivo, ma di distruggere la minaccia rappresentata dalla Repubblica Islamica all’unipolarismo statunitense prima che la deterrenza nucleare renda ogni operazione militare incredibilmente più complessa e rischiosa.

E’ ormai ammesso dai sionisti che l’obiettivo perseguito è un “cambio di regime” a Teheran. Ciò non avviene per motivi “umanitari”, ma per interrompere il percorso di sviluppo iraniano, che proprio nel nucleare civile vede uno degli elementi chiave, per aprire il paese al saccheggio da parte del capitale finanziario monopolistico statunitense e per eliminare il principale oppositore regionale ai progetti egemonici coltivati tramite l’idea della “Grande Israele” da parte del potere USA. 

La caduta dell’Iran rappresenterebbe un evento drammatico non solo per i novanta milioni di abitanti del paese, ma per tutta l’opposizione internazionale all’unipolarismo americano. La Repubblica Islamica è un elemento chiave del processo di costruzione di un mondo multipolare, è fondamentale per la Via della Seta e per l’integrazione eurasiatica, è un partner economico importante per Cina e Russia. Per questo motivo la distruzione dell’Iran è perseguita con tale accanimento dagli Stati Uniti tramite la loro propaggine locale, l’entità sionista.

I movimenti separatisti, la crisi sociale portata dalle sanzioni e l’infiltrazione di mercenari e agenti stranieri sono al momento i principali rischi per lo Stato iraniano. L’aggressione esterna, soprattutto se condotta con l’aiuto di Washington, avrebbe lo scopo di acuire le tensioni e di favorire la destabilizzazione, probabilmente tentando di eliminare la dirigenza politica del paese, compreso l’Ayatollah Khamenei. La grande celerità nella sostituzione degli ufficiali militari assassinati da Israele potrebbe non replicarsi nel caso della necessità della nomina di una nuova Guida Suprema.

Ciononostante, questa guerra rappresenta un’ottima occasione per l’Iran. Non solo vi è la possibilità di accelerare il processo di disintegrazione dell’entità sionista, iniziato ben prima dell’Operazione Tempesta di al-Aqsa, ma anche quella di fortificare lo Stato tramite l’eliminazione e l’allontanamento degli elementi ambigui, dubbi e compromessi.
A seguito degli attacchi sionisti i servizi di sicurezza iraniani hanno già eliminato un gran numero di cellule di agenti stranieri e traditori che, per conto di Tel Aviv, stavano portando avanti una campagna di sabotaggi e atti terroristici. Ma questa manovalanza dell’imperialismo è il problema minore: la pulizia deve essere fatta nei settori apicali della società iraniana. A spingere per la normalizzazione con gli Stati Uniti è soprattutto quella parte della grande borghesia iraniana desiderosa di integrarsi nel sistema economico internazionale guidato da Washington come parte subalterna. Sfruttando retoricamente gli oggettivi problemi sociali portati dalle sanzioni, questa fazione chiede nient'altro la capitolazione nei confronti dell’imperialismo. Ciò rappresenta l’ulteriore prova di come l’attuale fase internazionale non sia caratterizzata da un anacronistico scontro tra “opposti imperialismi”: la grande borghesia di ogni paese non progetta la costruzione di polarità imperialiste alternative a quella statunitense, ma l’inserimento nel sistema di potere guidato da Washington, mostrando chiari tratti “comprador”.

Come accaduto per la Federazione Russa, ora l’Iran ha la possibilità di sbarazzarsi di questo malsano elemento. Sarà la guerra stessa a farlo: i filo-occidentali dovranno scegliere tra il silenzio e la fuga. Le necessità belliche spingeranno alla liquidazione politica dei collaborazionisti, e i loro interessi economici li porteranno a lasciare il paese al più presto. Ciò sarebbe incredibilmente positivo per il paese in quanto verrebbero fortemente ridimensionate le voci a sostegno di misure economiche neoliberiste e di una postura internazionale ambigua.

In questo senso la guerra con Israele è una grande opportunità per l’Iran non solo dal punto di vista esterno, ma anche da quello interno.

Essa è un’opportunità anche per il resto del mondo, in quanto permette di ribadire alcune verità palesi ma spesso disconosciute:

-Con l’Occidente non si deve trattare: qualsiasi promessa verrà infrante, qualsiasi trattativa avrà sempre e solo l’unico scopo di prendere tempo in attesa del momento giusto per colpire. Non ci si può fidare dell’Occidente collettivo: come già notato dai nativi americani, esso “parla con una lingua da serpente”. L’unico linguaggio che capisce è quello della forza, e quindi deve essere colpito risolutamente alla prima occasione.

-Le armi dell’Occidente non sono imbattibili: un mito già esploso assieme ai Leopard e agli Abrams sui campi ucraini, ma che era ancora in vita in ambito aeronautico e antiaereo. Davanti al probabile abbattimento di diversi aerei sionisti e al totale fallimento tanto dell’Iron Dome, quanto del THAAD e della “Fionda di Davide” non si può che affermare come la pretesa “superiorità militare” occidentale non sia che l’ennesima tigre di carta. I primi pesanti attacchi contro l’Iran sono stati possibili grazie al concorso di attacchi informatici e sabotaggi da parte di gruppi delle forze speciali sioniste, non grazie alla “superiorità tecnologica”. Inoltre, l’inferiorità produttiva euro-americana non può che acuire ogni debolezza: ogni missile lanciato per intercettare i vettori iraniani è una risorsa in meno per i teatri dell’Ucraina e dell’Asia-Pacifico, una risorsa difficilmente rimpiazzabile.

L’Occidente collettivo può essere sconfitto, deve essere sconfitto. A questo fine anche in Italia le forze patriottiche e antimperialiste devono mobilitarsi per indebolire il fronte interno euro-atlantico e costringere a una maggiore dispersione delle limitate risorse a disposizione del nemico.

Leonardo Sinigaglia

Leonardo Sinigaglia

Nato a Genova il 24 maggio 1999, si è laureato in Storia all'università della stessa città nel 2022. Militante politico, ha partecipato e collaborato a numerose iniziative sia a livello cittadino che nazionale.

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