Sarà il Kurdistan un nuovo Israele?
Sarà uno stato che, invece di assicurare pace e distensione nel Medio Oriente, alimenterà ulteriori conflitti e violenze etniche?
di Omar Minniti
I curdi, come gli ebrei, sono stati per lunghi secoli perseguitati in quasi tutti i paesi in cui hanno messo radici. Una repressione feroce che, in Turchia, prosegue ancora e si accanisce non solo sui movimenti di resistenza armata, come il PKK, ma si estende alle organizzazioni politiche, sociali e culturali che reclamano diritti. I curdi, come gli ebrei nell'immediato secondo dopoguerra, hanno attirato le simpatie delle forze progressiste mondiali, che hanno riconosciuto come legittima la loro aspirazione a farsi stato, la loro lotta per dotarsi di una propria entità autonoma.
Israele nacque con il consenso dell'Urss di Stalin e le simpatie iniziali del movimento comunista ed antimperialista di allora. L'Unione Sovietica non c'è più e quel movimento non ha la stessa forza e la medesima influenza, ma gran parte di ciò che resta oggi della sinistra occidentale in tutte le sue declinazioni, con o senza virgolette, appoggia il progetto di un Kurdistan indipendente. Laici (spesso pure atei) e di formazione socialista erano i principali leader sionisti fondatori di Israele, tra cui David Ben Gurion, Moshe Dayan e Golda Meir, come laiche, di origine marxista e con tanto di stella rossa nel simbolo sono le Unità di Protezione Popolare curde di Siria, le YPG della Rojava. Di fatto filiazione locale del Partito dei Lavoratori del Kurdistan, fondato da Abdullah Ocalan, dal 2002 murato vivo in un'isola-prigione turca dopo un rocambolesco soggiorno in Italia.
Il nascente Kurdistan, come Israele degli albori, quello dei kibbutz, viene visto dalle suddette sinistre come un faro in una regione martoriata da fanatismi religiosi e retaggi patriarcali. Le guerrigliere curde lanciate con le trecce al vento contro gli jihadisti sono, nell'immaginario collettivo, le nuove amazzoni del femminismo militante e dell'egualitarismo. Proprio come le donne ebree che, dopo aver combattuto nel Ghetto di Varsavia e nelle file della Resistenza europea, organizzarono la migrazione di massa verso la "terra promessa".
Non sono queste le uniche similitudini. Dopo un temporaneo scontro con l'imperialismo britannico, che portò alcune frange sioniste a proporre perfino un'alleanza coi nazisti, Londra e poi Washington divennero accaniti sponsor di Israele. La cui leadership rinnegò le simpatie per l'Urss e divenne testa di ponte contro il socialismo baathista pan-arabo, alleato di Mosca. Lo stesso è avvenuto negli ultimi anni con i curdi da parte delle cancellerie europea e dalla Casa Bianca. Prima considerati pericolosi terroristi comunisti e separatisti, inseriti nelle black-list e combattuti anche grazie al sostegno della Nato assicurato al regime turco, adesso vengono armati, addestrati, finanziati ed usati come truppe di fanteria. E diventano per l'imperialismo, ma anche per Israele e le petromonarchie del Golfo con i sauditi in testa, il principale strumento per destabilizzare e frammentare su basi etniche, con un colpo solo, tutti i principali stati dell'area: Siria, Iran, Iraq e la stessa Turchia, puntando in prospettiva anche alle porte della Russia attraverso l'Armenia. Nelle fette di territorio siriano conquistate dalle YPG già operano almeno tre basi militari Usa illegali. Un marchio di fabbrica che la dice lunga sulla sovranità dello stato che verrà, così la "disinteressata" luce verde ottenuta da Tel Aviv, nelle cui strade sventolano da mesi i tricolori curdi con il sole irradiante.
Poi c'è anche il desiderio di rivincita delle vittime di ieri che si trasformano in carnefici. Gli ebrei sfuggiti alle camere a gas ed ai forni crematori hitleriani, una volta messo piede in Palestina, utilizzarono contro i nativi arabi gli stessi metodi applicati dalle SS in Polonia. Villaggi devastati, donne, bambini ed anziani massacrati, milioni di persone costrette a fuggire per far spazio ai nuovi coloni. Fu la Nakba, l'Olocausto dei palestinesi, che ancora continua. Una vera e propria pulizia etnica. Come quella che da anni sta avvenendo in Iraq, nelle zone sottoposte all'autogoverno curdo, e da qualche tempo anche nella Rojava. Le famiglie arabe ed assire, siano esse musulmane o cristiane, vengono indotte con le buone (a volte anche in cambio di incentivi economici) o con metodi più convincenti ad andare via. L'insegnamento della lingua araba viene contrastato, se non di fatto bandito, a tutto vantaggio dei dialetti curdi. Si applicano politiche per far rientrare i membri della diaspora e spostare le popolazioni di altre aree curde, per modificare i rapporti di forza sul territorio. Per creare un'entità etnicamente omogenea.
Sarà il Kurdistan un nuovo Israele? Sarà uno stato, nato con la l'intenzione di dare una patria alle vittime di un genocidio, che - invece di assicurare pace e distensione nel Medio Oriente - alimenterà ulteriori conflitti e violenze? La sinistra curda farà la stessa fine di quella israeliana, propugnando l'eguaglianza per i membri della propria comunità ed avallando la repressione di altri popoli per conto dell'imperialismo?