Sarà mai possibile in Italia una forma di reale di Meritocrazia?
di Michele Blanco
La domanda su questo tema di fondamentale importanza in una nazione dove all’articolo 34 della Costituzione Italiana si stabilisce programmaticamente che: “i capaci e meritevoli anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”.
Questo articolo della nostra Costituzione afferma, in modo chiaro e inequivocabile, che i più alti gradi d’istruzione devono essere raggiungibili, non solo dai più meritevoli, ma compito importante del legislatore democratico deve essere quello di abbattere gli ostacoli di ordine economico e sociale che impediscono uguaglianza sostanziale e pari opportunità nel raggiungere tali importanti traguardi.
Un dato oggettivo che tutti conosciamo è che nessuno può scegliere se nascere uomo o donna, ricco o povero, in Svezia o in Somalia, quindi fin dalla nascita ci sono più o meno persone fortunate.
Il filosofo politico liberale John Rawls, a questo proposito, nel suo celebre libro Una teoria della giustizia, afferma che la vita delle persone è fortemente influenzata dalla “lotteria sociale” cioè da tutti quei fattori assolutamente arbitrari che, come primo elemento, sono: le contingenze familiari e sociali, cioè nascita e classe sociale della famigli d’origine.
A questo si deve aggiungere che esiste anche una “lotteria naturale” che assegna talenti e capacità intellettive differenti tra le persone e ancora una volta non siamo noi a poter scegliere.
Diventa ben chiaro che è assolutamente difficile stabilire un merito o presunto tale, quando non c’è una equa uguaglianza di opportunità, un piano di uguaglianza iniziale, un metro di reale e oggettiva giustizia.
Anche se ognuno, nel corso della vita, ha la possibilità di sviluppare capacità e quei meriti allo stesso modo di altri più “fortunati” in queste lotterie ma, ovviamente questo, a chi non nasce in condizioni di particolare fortuna, costerà uno sforzo e impegno sicuramente più grande. Aggiungiamoci che questi sforzi sono difficilissimi da capire, per chi nasce in condizioni economiche, sociali e di prestigio maggiori, che magari ha ottenuto tante cose facilmente, senza nessuno sforzo e sacrificio.
Questa “gara”, nasce, oggettivamente e drammaticamente impari e difficile per chi parte da oggettive condizioni di svantaggio.
Se volessimo restringere il campo della meritocrazia all’università italiana la situazione e la lotta si fa ancora più difficile e impari, diventando quasi impossibile per tantissime persone, anche se serie, studiose, preparate e con tantissime pubblicazioni di carattere scientifico e internazionali. Ovviamente non tutte le università sono uguali già per suddivisione giuridica tra pubbliche statali, private e telematiche, non tutte hanno lo stesso metro di insegnamento e valutazione, lo stesso peso delle attività didattiche, le stesse tasse, anche se poi il titolo che si consegue, non si capisce il perché, ha lo stesso peso è “equipollente”. Tanto che nei concorsi pubblici sì, sono tutti uguali.
Moltissimi in questi ultimi anni usufruiscono di queste nuove possibilità, con l’attribuzione, in alcuni casi, di competenze che vengono certificate on line e dietro pagamento.
Ma le questioni del merito nel particolare mondo accademico diventano molto ardue da capire, per chi non conosce i meccanismi che lo caratterizzano, e da affrontare. Questo vero e proprio “mondo” chiuso certamente più di altri ambienti lavorativi, dove lo stesso docente tenuto anche a giudicare, può ancora essere assunto per semplice cooptazione, familismo, nepotismo e baronato, tutte forme che potrebbero anche selezionare persone e figure valide, ma siamo sicuri che queste scelte siano fatte scegliendo le persone più valide?
La stessa Abilitazione Scientifica Nazionale che si basa per la prima parte su dati scientifici oggettivi, come pubblicazioni e altri titolo di merito, nella seconda fase decide, in modo insindacabile, la commissione, che spesso emette giudizi assolutamente non scientifici e addirittura rasentando il ridicolo con riferimenti che fanno pensare all’ignoranza dei componenti stessi della commissione, anche se professori ordinari, oppure, forse più probabilmente, alla malafede di questi componenti le commissioni.
Ma comunque sia non viene mai assolutamente presa in considerazione “l’equità di sforzo” come nemmeno “la uguale possibilità di…”, come è scritto vanamente sulla carta costituzionale.
Sembra che sia sempre tutto in regola, infatti si bandiscono concorsi, si stilano requisiti, profili e commissioni spesso tutto costruito, prefabbricato sulla persona che già si ha in mente di assumere, quando già non contrattualizzata con borse di ricerca e in piena attività nella sede dove si fa il concorso.
In Italia ci sono stati innumerevoli scandali denominati “parentopoli”, in università come in tutti gli altri enti pubblici o assimilati ma, anche qui è difficile dall’esterno valutare i legami reali ad esempio ci sono cognomi da nubili o perché in cascata, sistemati coniuge e figli, si passa e il metodo si estende anche ai parenti acquisiti: generi o nuore, ecc…
Qualcuno potrebbe obiettare che con la legge Gelmini nella quale è vietata la presenza tra i docenti fino al quarto grado, o i “codici etici”. Ma non si sa come ma molti parenti, figli ed altri famigliari lavorano nelle stesse università.
Quindi le ristrette caste, l’élite, la classe, le persone non cambiano, perchè a decidere chi deve fare cosa, sono sempre immancabilmente le stesse persone, appartenenti alle stesse ristrette amicizie e solidali tra loro.
Ma è molto probabile che esistano persone studiose, meritevoli, capaci, forse anche più valide, anche fuori da questi schemi. Nella realtà molti giovani o anche meno giovani, che per anni e anni hanno studiato, pubblicato, su riviste scientifiche, libri cercando di mettere a frutto i loro talenti ed essere solo sfruttati e non essere minimamente riconosciuti nel loro oggettivo valore. Quasi tutti hanno rinunciato, con l’unica prospettiva quella di emigrare all’estero o cambiare completamente obiettivo lavorativo, si definiscono come “burnout”, letteralmente “si sono bruciati”, hanno consumato le loro aspettative, si sono stancati e disillusi se ne sono stati costretti ad andarsene.
E questo non vale solo per quanto riguarda il personale docente nelle università ma, anche per tutte le altre categorie di personale molto specializzato e qualificato, funziona allo stesso modo.
Gli stessi politici che, in continuazione, fintamente si lamentano della emigrazione di cervelli hanno nel loro entourage politico o professionale corrotti e concussi, sono sempre loro quelli che hanno permesso concorsi vinti con lauree falsificate, consulenti super pagati privi delle adeguate competenze e conoscenze ma, che servono come utile, quando indispensabile merce di scambio.
Enti, municipalizzate, o società in house costruite apposta per avere un bacino su cui fare affidamento, il tutto con soldi pubblici, soldi della collettività.
Anche in questo caso non ci riferiamo solo a figure apicali o dirigenziali ma, anche di assunzioni di persone legate alle conoscenze famigliari e personali utili per ottenere in cambio di altri favori.
Tutti, o nella maggior parte, hanno tollerato, quando non praticato apertamente corruzione, clientelismo, raccomandazioni implicite o esplicite.
Nel nostro Paese emerge solo “la punta di un iceberg” che nasconde un numero di infinite e enormi ingiustizie, perché questi piccoli esempi, peraltro emersi spesso dalla cronaca in questi anni, non sono nulla in confronto con la realtà consolidata di lustri, decenni, in cui tali pratiche sono state la semplice normalità.
Tutto questo senza che nessuno si sia opposto, il fenomeno ha continuato a pervadere nella nostra società con continuità le ingiustizie sono la normalità quotidiana. Seppure questa problematica sia a tutti ampiamente nota, troppi sono i casi che restano nascosti anche a causa del cattivo funzionamento dei mass media e di una “giustizia insabbiatrice”.
In molti casi scoperti sono rimasti impuniti, in attesa della prescrizione.
Il problema esiste ed è estremamente radicato, ma nessuno pensa di provare a risolverlo. Probabilmente si tratta di “una questione culturale”, fortemente consolidata nella nostra società, prima ancora che di mancanza di volontà.
In realtà anche l’opinione pubblica sembra avere ad oggi quasi, inconsciamente, accettato queste dinamiche come facenti parte del sistema, quasi una prassi, uno standard per cui inamovibili, insuperabili.
In Italia sembra che sia totalmente smarrito l’ideale del merito, per il raggiungimento di un certo risultato ottenuto con sacrificio.
Probabilmente non esiste, a parte il solo richiamo verbale, un criterio meritocratico, ma tutto dipende da una élite inamovibile, ormai da generazioni, di una lobby privilegiata e composta da privilegiati, che grazie all’ appartenenza famigliare ad uno status sociale o conoscenze (nepotismo e in senso allargato clientelismo) o di casta economica (oligarchia) o grazie al suo potere politico, monopolizzi l’accesso allo studio, alla ricerca, al lavoro.
In una nazione che voglia essere realmente democratica, e rispettosa dei principi scritti nella sua Costituzione, ci vorrebbe un cambiamento di sistema. Bisogna cercare di premiare l’elevato quoziente intellettivo e lo sforzo, l’impegno profuso, un sistema di valutazione chiaro e oggettivo, che tenga conto della esperienza e delle competenze, l’utilizzo di strumenti di misurazione imparziali, e che non siano influenzati da fattori esterni.
Ma, è meglio che si consideri lo stesso termine “meritocrazia”, questo è un neologismo creato nel 1958 dal laburista sociologo britannico Michael Young, che nel romanzo distopico “L’avvento della meritocrazia” la descrive come: «Il sistema di valori che premia l’eccellenza di un individuo indipendentemente dalla sua provenienza».
O ancora: «Gli uomini, dopotutto, si distinguono non per l’uguaglianza ma per l’ineguaglianza delle loro doti»
Per proseguire: «Se valutassimo le persone non solo per la loro intelligenza o la loro efficienza, ma anche per il loro coraggio, per la fantasia, la sensibilità e la generosità».
Indicando quindi, una forma di governo democratico nella quale la posizione sociale di un individuo viene determinata dalla sua attitudine e capacità al lavoro oltre che dalle sue doti personali.
La formula di M. Young per descrivere la meritocrazia è:
M = IQ + E.
Ovvero la meritocrazia è la sommatoria tra intelligenza e energia.
Lo scopo reale dell'autore in questo libro era quello di mettere in guardia la politica inglese dell’epoca dai rischi e dalle derive di una società sempre più managerializzata in cui l'unico criterio di distribuzione delle cariche è il merito. Young sapeva benissimo che spesso il “medoto meritocratico” non premiava effettivamente chi lo meritava d’avvero.
Nella scuola, nelle università, sul lavoro, è giusto riconoscere e premiare il merito, occorre pero sempre avere in mente il giusto equilibrio nello stabilire i confini tra merito e rispetto del principio irrinunciabile di garantire a tutti uguali opportunità, soprattutto in una società dove prevale il falso merito, come spesso è accaduto.
Il compito essenziale è quello di cercare di ridurre le disuguaglianze dovute alle, sempre più diffuse, eccessive differenze di reddito, considerando la provenienza famigliare e che si possa garantire finalmente la fine di discriminazioni fondate su criteri arbitrari, che oggi sono quelle maggiormente utilizzate nel nostro Paese, quali il sesso, la razza e le origini, o, soprattutto, le appartenenze sociali.