Svenduta ai privati anche la società elettrica greca

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Svenduta ai privati anche la società elettrica greca

Intanto in Grecia prosegue senza sosta la svendita di quel poco che resta del patrimonio pubblico.
 
La prossima vittima delle privatizzazioni selvagge è la società elettrica (ΔΕΗ), di cui lo Stato ellenico è attualmente azionista al 51%. In queste ore la HRADH (Hellenic Republic Asset Development Fund), il fondo statale preposto alla liquidazione del patrimonio pubblico (lo stesso che ha già privatizzato la rete portuale, aeroportuale e ferroviaria), ha reso noto di voler ridurre la sua partecipazione azionaria al 34%, cedendo quindi la maggioranza del pacchetto a investitori privati.
 
E così, dopo aver da poco svenduto la Hellenic Petroleum, la rete di distribuzione elettrica (ΔΕΔΔΗΕ) e quella del gas (ΔΕΠΑ), che sta per finire sotto il controllo di Italgas, anche l’elettricità diventa privata.
 
Privatizzazione totale del sistema energetico nel bel mezzo di una crisi energetica, davvero un gran bell’affare. Non di certo per i cittadini però, visto che i prezzi delle bollette stanno letteralmente schizzando alle stelle in molti paesi, Italia compresa. Facendo ricadere i costi di queste gigantesche operazioni di speculazione esclusivamente sulle spalle di famiglie e piccole imprese.
 
Ma tutto questo non accade certo per insondabili leggi fisiche. È il risultato tangibile delle scellerate politiche (non soltanto energetiche) dell’Ue, che fedeli vassalli come Mitsotakis (e Draghi) eseguono nell’esclusivo interesse degli investitori internazionali. Non di certo di quello nazionale.
 
Perché uno Stato che sceglie volontariamente di perdere il controllo di un pilastro strategico delle proprie politiche di sviluppo come l’energia non espone soltanto a enormi rischi i suoi cittadini (lasciati senza protezione in balia delle imprevedibili fluttuazioni dei prezzi, con tutte le ricadute sociali del caso). Ma condanna inesorabilmente anche il futuro del suo sviluppo industriale, facendo sì che esso dipenda in maniera esclusiva dagli interessi e dalla bramosia del mercato.
 
Ora qualcuno dirà “vabbè, chi se ne frega”. E no cari miei. Se c’è una cosa che dovrebbe ormai essere chiara a tutti è che la Grecia è un laboratorio, e ciò che avviene al di là dell’Adriatico è sempre l’anteprima delle future politiche europee. Le stesse che, dopo pochi anni, vengono imposte - più o meno simili a seconda del contesto - negli altri stati membri. Quelli deboli ovviamente.
 
A proposito.
 
Pochi giorni fa il governo di Atene, dopo aver annunciato che dal 2023 riprenderanno le politiche di avanzo primario, ha fatto sapere per bocca del ministro dello sviluppo economico Georgiadis che “le piccole imprese non hanno posto nella società greca”. Le PMI, cioè, sono troppo piccole per essere salvate e quindi dovranno adeguarsi alle “regole dell'economia moderna". Detto in altri e più comprensibili termini. Se vogliono accedere ai prestiti del Recovery Fund dovranno fondersi o essere rilevate da aziende più grandi, altrimenti le banche non erogheranno un centesimo bucato.
Capito che capolavoro? Prima le riducono sul lastrico con le chiusure, poi consentono aumenti insostenibili del costo dell’energia e infine le ricattano obbligandole a vendere. Difficile non vederci un’idea complessiva di riorganizzazione produttiva.
 
Scommetto che fra un po’ di tutte queste innovative riforme si comincerà a parlare anche da queste parti. Tempo al tempo.

Antonio Di Siena

Antonio Di Siena

Direttore editoriale della LAD edizioni. Avvocato, blogger e autore di "Memorandum. Una moderna tragedia greca" 

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