Venezuela, la lealtà indomita delle camicie rosse

Venezuela, la lealtà indomita delle camicie rosse

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di Geraldina Colotti

Quali sono i parametri attraverso i quali si dovrebbe giudicare la riuscita o il fallimento di un modello sociale? Perlomeno due elementi: il livello della giustizia sociale e quello del consenso. Parametri evidentemente ignorati da chi valuta i risultati in base alle lenti dell'economia borghese, fumose e devianti perché occultano gli interessi di classe e i conflitti che ne derivano. E' con queste lenti, modulate secondo varie tonalità di chiaroscuri, che viene valutato il proceso bolivariano: sia dalle destre, che dalla sinistra “perbene” in Europa.


In questo ultimo campo, sorgono come funghi diverse tipologie di “specialisti”. Dai conciliaboli più ristretti di chi pontifica ormai per pochi “eletti”, emergono quelli che, anche quando non arrivano a identificarsi con l'aggressione esplicita di Trump, si esercitano in una lunga lista di “distinguo”, in cima alla quale c'è il ritornello di “Maduro non è Chávez”. Per questo tipo di “sinistra”, il socialismo è evidentemente una questione di “stile”, di jeans griffati oppure di abito scuro.


Che vogliono questi “cafoni” che vestono concetti “complessi” con le loro camicie rosse? Ci lascino pensare e ripensare al modellino perfetto di socialismo, che stiamo aggiustando di anno in anno sul nostro comodino, sparando strali su tutti i treni o guardandoli passare. Su questa base, i “critici-critici” si ritrovano con un altro tipo di sinistra stantìa, quella che ha tanto corso verso il centro fino a perdere la faccia, confondendola con quella del capitale.


Sullo “stile” - in questo caso lo “stile Obama”, fautore di una globalizzazione “inclusiva” sia del capitalista che dell'operaio, gli uni e gli altri si danno di gomito e si coprono. Come in Nordamerica, dove contro Cuba e contro il socialismo bolivariano si trova sempre un consenso “bipartisan”, questa “sinistra” evita di interrogarsi sulla propria parte in commedia. Evita di denunciare perlomeno l'incongruenza di quei deputati del PD che hanno invitato il governo italiano ad appoggiare il golpe di Guaidó in Venezuela. Come si fa infatti ad essere guardiani – nel senso proprio del carceriere – della “legalità e della democrazia” in casa propria, e paladini della sovversione golpisca in casa d'altri? Indossando “l'abito giusto”, in questo caso quello lessicale: se il socialismo – in tutte le sue forme – viene trasformato in “dittatura”, se la rivendicazione dei diritti basici diventa una bandiera per trogloditi, risulta simpatico chiunque si erga contro l'insopportabile ex operaio del metro che dirige il Venezuela.


Questo tipo di “sinistra”, che ha digerito obtorto collo l'opposizione armata alle dittature del secolo scorso, che ha consentito a Pinochet di morire nel suo letto in nome del “dialogo” e della “conciliazione”, non prova disagio nell'appoggiare lo sgusciante autoproclamato: ritratto con buona angolatura sia quando posa per le riviste di moda, sia quando compare di fianco a delle mitragliatrici puntate su un'autostrada del Venezuela.


E così, a difendere e a ospitare i golpisti venezuelani – dal Cile, alla Spagna e all'Italia – sono esponenti di quei partiti “socialisti” che hanno accolto nella propria “internazionale” anche formazioni di estrema destra, com'è quella di Voluntad Popular. Un partito i cui principali esponenti – da Leopoldo Lopez all'odierno Guaidó – hanno partecipato a numerosi episodi di eversione, in barba alla “non violenza” sbandierata da quella certa sinistra quando si tratta di reprimere le legittime proteste delle classi popolari.


Quanti arresti, quanti pestaggi ha perpetrato Macron in Francia contro il movimento dei gilet gialli? Quanti massacri, quante violazioni ha compiuto Israele in spregio alla legalità internazionale? Eppure, restano sempre esempi di “democrazia”. Invece, quando si tratta del Venezuela, quella certa “sinistra” scatta come un sol uomo a difendere i “diritti umani” dei golpisti, ma si volta dall'altra parte se a metterci i morti sono i rappresentanti legittimi delle classi popolari.


Che il socialismo bolivariano abbia già distribuito oltre 2.600.000 case popolari, che tutti i servizi siano gratuiti o sussidiati, non fa notizia. Non deve fare notizia, altrimenti come si fa a dimostrare che non vi siano alternative al capitalismo e che il conflitto deve restare nel recinto anche a fronte dell'aumento della xenofobia, della precarizzazione del lavoro, della concentrazione della ricchezza in poche mani e dello strapotere del capitale finanziario sulle economie locali? Che un ex operaio del metro innalzi con il suo popolo la bandiera dell'indipendenza e della sovranità non deve far notizia. Altrimenti come occultare la situazione di vassallaggio che, al di là di qualche brontolìo, dimostra l'Unione europea nei confronti del grande gendarme nordamericano?


Alle prossime elezioni europee, si candida anche il padre di Leopoldo Lopez, ora “ospite” dell'ambasciata di Spagna in Venezuela e del governo del socialista Sanchez. Dopo essere scappato dagli arresti domiciliari, Leopoldo Lopez è comparso insieme all'autoproclamato e al gruppo di golpisti che volevano bombardare l'autostrada Fayardo: per provocare la reazione del governo bolivariano e dunque l'invasione “democraticamente” armata del proprio paese.


Un'eventualità respinta con forza da Nicolas Maduro, sia durante la straordinaria manifestazione del 1 Maggio, sia durante quella organizzata davanti a oltre 4.500 effettivi della Forza Armata. Una dimostrazione di sovranità e di pace con giustizia sociale, ossia di vera democrazia, nel corso della quale si è levato più volte il grido “Leali sempre, traditori mai”. Con “calma e nervi d'acciaio”, il chavismo ha respinto questo nuovo tentativo golpista, forte dell'unione civico-militare.


Il consenso di cui gode il socialismo bolivariano nonostante tutti gli attacchi di cui è vittima per essere stato considerato “una minaccia inusuale e straordinaria” già dal “democratico” Obama, è evidente. Altrettanto evidenti sono gli effetti delle crescenti operazioni di vera e propria pirateria internazionale compiute ai danni del popolo venezuelano nei paesi europei. Lo ha denunciato un gruppo di 19 organizzazioni, che ha chiesto al governo portoghese di sbloccare 1.543 milioni di euro sequestrati illegalmente al governo bolivariano dal Banco Novo. Denaro destinato all'acquisto di farmaci salvavita, e alle cure per bambini malati di cancro che si trovano anche in Italia.


Evidente è altresì la portata globale del conflitto in corso, che vede il Venezuela al centro di una ridefinizione degli assetti geopolitici e della legalità internazionale. E mentre gli Stati Uniti rendono sempre più vicina “l'opzione militare”, l'autoproclamato dichiara che il tentativo di golpe “è solo l'inizio” e torna ad annunciare un prossimo “sciopero generale”. Con la voracità del topo di fogna, la destra conta di corrodere le istituzioni dall'interno, e di debilitare con sanzioni e sabotaggi la resistenza eroica del popolo bolivariano. Mediante la politica dei fatti compiuti, l'obiettivo è quello di imporre un sistema di guerra permanente e uno “stato nello stato”, privo di legittimità interna, ma ben sostenuto dai propri padrini internazionali: pronto a dare la spallata militare se si crea una falla sufficientemente ampia per permettere l'azione dei traditori. 


 

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