Vertice NATO a Vilnius: agenda bellicista e appetiti occidentali sull'Ucraina

Vertice NATO a Vilnius: agenda bellicista e appetiti occidentali sull'Ucraina

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di Fabrizio Poggi per l'AntiDiplomatico

Il 37° vertice NATO si tiene quest'anno a Vilnius, i prossimi 11 e 12 luglio, coi “tavoli di dibattito” e i colloqui a latere che andranno avanti dal 10 al 14 luglio. Ciò che distingue l'agenda bellicista - peraltro monotona sulla necessità di rafforzare il fianco orientale della cosiddetta “Alleanza” atlantica, di espanderne all'intero globo terracqueo la “sfera d'intervento” e, conseguentemente, aumentare i bilanci nazionali di guerra - del summit è il dibattito (in parte vero, in parte falso) sui tempi dell'adesione dell'Ucraina, data ormai da anni per scontata.

Di “spalla”, per così dire, anche la questione dell'adesione della Svezia, inquinata, all'antivigilia del vertice, dalla sceneggiata del rogo del Corano, proprio nella settimana della “Id al-adha”, proprio di fronte alla principale moschea di Stoccolma: il fatto (consentito dalla polizia, che ha invece fermato un uomo che protestava) non poteva che rinfocolare le ire di Ankara e le discussioni sull'adesione svedese.

A Vilnius, così come a Madrid un anno fa, si parlerà della “necessità” di fornire carri armati e missili alla junta nazigolpista ucraina e le sole discussioni (chiamiamole così) riguarderanno qualche numero in più o in meno, in base sia ai bilanci dei singoli paesi membri, sia al movimento di massa contro la guerra che si sarà stati capaci di organizzare nelle varie realtà. Sulla “necessità” in sé ci sarà consenso pressoché unanime, a parte forse qualche mugugno da parte di Budapest, Ankara, o Sofia. Viktor Orban, per dire, ha dichiarato che «Una cosa è certa: noi ungheresi non daremo più soldi all'Ucraina, finché non diranno dove siano finiti 70 miliardi di euro».

Così come a Madrid, nodo centrale della questione ucraina era stata la cosiddetta “coalizione di carri armati”, a Vilnius sarà di scena la “coalizione dei caccia”, su cui la junta insiste da mesi.

Ma, sul punto che più preme a Kiev, i tempi di adesione alla NATO, quasi sicuramente Bruxelles si terrà, a dir poco, sul generico. Sarà curioso vedere se il nazigolpista-capo, Vladimir Zelenskij, manterrà fede alle proprie “minacce” di non recarsi a Vilnius, nel caso non abbia già sicura in tasca la data dell'adesione. Sembra che a poco siano serviti gli stimoli dei presidenti polacco e lituano, Andrzej Dura e Gitanas Nauseda, se ancora il 30 giugno il vice capo di gabinetto ucraino Igori Žovkva dichiara alla Reuters che «Il presidente non andrà al vertice se i leader tenderanno a mostrare o mostreranno scarso coraggio», almeno, sembra chiedere in lacrime, «sull'avvio della procedura, come fu un anno fa per Finlandia e Svezia».

Per parte sua, Jens Stoltenberg ha già risposto indirettamente all'attore ebreo: «L'attenzione principale deve al momento concentrarsi sull'assicurare la vittoria dell'Ucraina. Questa è la condizione preliminare per ogni concreta discussione sull'adesione dell'Ucraina alla NATO». E se il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha ribadito più o meno le parole del segretario NATO, la premier estone Kaja Kallas ha promesso una «sorpresa» per Kiev a Vilnius: sarà interessante vedere, in base alla “sorpresa”, quale sia il peso reale dei nani baltici nei piani espansionistici USA-NATO.

Intanto, di sicuro, si sa che il massimo che Bruxelles può offrire all'Ucraina sono accordi bilaterali coi singoli membri dell'Alleanza: Francia, Germania, Polonia, USA, Gran Bretagna, Bulgaria, Romania e altri, per prosecuzione dei finanziamenti, fornitura di attrezzature, armi e munizioni, addestramento militare, ecc.

Del resto, quali siano i reali appetiti occidentali nei confronti dell'Ucraina, lo ha mostrato anche la recente “Conferenza per la ricostruzione dell'Ucraina”, svoltasi a Londra gli scorsi 21 e 22 giugno.

Come in un teatro dell'assurdo, ha scritto Thomas Scripps su wsws.org, nell'occasione si è pontificato sul «significativo potenziale economico» dell'Ucraina, mentre milioni di ucraini hanno dovuto abbandonare le proprie case, centinaia di migliaia sono stati uccisi e si calcolano circa 700 miliardi di dollari di danni, in una guerra che potrebbe durare anni.

A Londra si è parlato dell'escalation del conflitto, chiedendo che sia la Russia a risarcire Kiev e Ursula von der Leyen ha annunciato che l'Ucraina sarà ricostruita «coi proventi delle proprietà russe congelate» dalla UE, e così faranno anche Gran Bretagna, USA e Canada.

La conferenza ha mostrato, scrive Scripps, quale sia il rapporto di vassallaggio tra NATO e Ucraina: l'hanno dissanguata militarmente e demograficamente per indebolire la Russia, e ora faranno la stessa cosa con la sua economia, o quel che ne resta.

Il premier britannico Rishi Sunak ha dichiarato che anche già prima della guerra, l'economia ucraina rappresentava una grande opportunità di investimento» e ha aggiunto che «la guerra ha solo dimostrato quanto l'Ucraina abbia ancora da offrire».

Col cuore gonfio di gioia, il capo-golpista annuncia riforme per «rendere il paese ancora più aperto» di quanto non sappiano bene, già da anni, ad esempio, i monopoli agro-alimentari occidentali; gli fa da spalla il suo primo ministro, Denis Šmygal' che, nota sarcasticamente Scripps, in rappresentanza degli «oligarchi di Kiev, che sperano in un generoso tornaconto per facilitare tale saccheggio imperialista, dà il "benvenuto"» ai monopoli occidentali: possono accomodarsi per arraffare le decine di tipi di elementi rari del sottosuolo, gli oltre 40 milioni di ettari di eccellente terra coltivabile, la seconda più grande riserva di gas naturale in Europa, oltre, s'intende, personale qualificato a bassissimo costo e praticamente privo di diritti, come da legislazione golpista.

Anna Bjerde, a nome della Banca Mondiale, ha osservato che l'Ucraina «ha un grande potenziale per trasformare molte delle sue risorse in benefici economici»: ha tralasciato di specificare “per chi”. Il vicepresidente della Commissione europea Maroš Šefchovic è caduto in estasi, alla prospettiva di arraffare «il più grande giacimento di gas in Europa: 33 miliardi di mc, proprio al confine con la Slovacchia, che potrebbe diventare strategicamente importante per la sicurezza energetica UE».

Unione Europea che non sta a guardare: si pianificano investimenti in Ucraina per 72 miliardi di euro dal 2024 al 2027; gli USA  contribuiscono con 28,4 miliardi di dollari; Londra ha annunciato una garanzia di prestito di 3 miliardi della Banca mondiale. Il FMI stanzierà 15 miliardi di dollari in 4 anni. E la maggior parte di queste somme dovrà esser restituita da un paese che già ora è in debito di oltre 70 miliardi di dollari; nel 2023 Kiev deve rimborsare oltre 3 miliardi di $ di prestiti e nel 2024 i pagamenti ammonteranno a 10 miliardi di dollari.

Alla Conferenza di Lugano dello scorso anno era già stato annunciato il programma “legislativo” di Kiev per la privatizzazione fino al 49% delle 13 maggiori imprese statali, compresi i più grandi impianti chimici e le compagnie energetiche. Lo scorso maggio, a proposito di quelle leggi, il direttore del Fondo per le proprietà statali, Rustem Umerov, ha dichiarato alla Reuters che «Ci sono oppositori a queste leggi, ma questo sarà l'ultimo chiodo sulla bara del comunismo».

Resta a vedere chi sarà il vero becchino che scaverà la fossa in cui verrà calato il catafalco nazigolpista.

Fabrizio Poggi

Fabrizio Poggi

Ha collaborato con “Novoe Vremja” (“Tempi nuovi”), Radio Mosca, “il manifesto”, “Avvenimenti”, “Liberazione”. Oggi scrive per L’Antidiplomatico, Contropiano e la rivista Nuova Unità.  Autore di "Falsi storici" (L.A.D Gruppo editoriale)

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