Yemen, dove nasce il terrorismo islamico

Yemen, dove nasce il terrorismo islamico

Crisi politica, secessionismi e Aqap le principali sfide

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di Simone Massi

  Il 20 settembre tre attacchi coordinati hanno preso di mira una base militare dell’Esercito yemenita nel governatorato di Shabwa. Gli attentati hanno ucciso oltre 60 persone e il governo ne ha attribuito la responsabilità ad alQaeda nella Penisola Arabica (Aqap), la filiale yemenita dell’organizzazione terroristica fondata da Osama Bin Laden, egli stesso originario di questa regione. 
 
Il movimento è stato protagonista di numerosi atti terroristici nel paese – tra i tanti, contro l’ambasciata italiana nell’aprile 2008 e durante la parata per la festa nazionale nel maggio 2012 – e all’estero: aveva organizzato l’esplosione, poi sventata, del volo Amsterdam - Detroit per il giorno di Natale del 2009 e l’autobomba disinnescata nel 2010 a Times Square. Aqap è nata quattro anni fa dall’unione dei gruppi sauditi e yemeniti di al-Qaeda ed è ritenuto il braccio più letale dell’organizzazione, con un migliaio di affiliati e una vasta rete di addestramento: non a caso più della metà dei detenuti di Guatanamo sono yemeniti. L'organizzazione si è data l’obiettivo di cacciare gli occidentali dalla penisola arabica e rimuovere i governi considerati collaborazionisti dell’Occidente, in particolare quello saudita.
 
Lo Yemen vive da decenni una crisi politica ancora irrisolta, nonostante la riunificazione nel 1990 tra il nord, alleato dell’Egitto e dell’Iran, e il sud, uno stato socialista finanziato da sauditi e giordani. Anche qui nel 2011 le rivolte popolari hanno imposto un importante cambio di regime, con la fine della presidenza autoritaria di Ali Abdullah Saleh, in carica fin dalla riunificazione. Per evitare scontri più violenti il Consiglio di Cooperazione del Golfo, con l’appoggio fondamentale dei sauditi, ha convinto Saleh alle dimissioni e introdotto il Dialogo Nazionale: un forum aperto alle diverse entità yemenite, coinvolte per dare vita ad una nuova costituzione e un assetto istituzionale. Di fatto, però, il paese resta diviso in due. A sud resistono i gruppi secessionisti di tradizione sunnita (come alHiraak), attivi dalla guerra civile del ’94 e incerti tra la via dell’autonomia o quella più radicale della secessione. Il nord invece è in mano a diversi movimenti fondamentalisti, in particolare quello zaidita Huthi, combattuto aspramente dai sauditi preoccupati per i confini meridionali e finanziato da Hezbollah e all’Iran, associati dalla comune tradizione sciita. Ma non è un caso isolato: il governatorato di Abyan ad esempio è in mano ad Ansar alSharia, gruppo estremista vicino ad alQaeda che ha introdotto le corti islamiche insieme ai servizi essenziali.  
 
Nonostante a Saleh sia stata concessa l’immunità per quanto commesso durante il suo mandato, l’ex presidente insiste per avere ancora un ruolo rilevante nel processo politico. Suo figlio Ahmed avrebbe intenzione di presentarsi alle elezioni presidenziali del prossimo anno e si proclama a capo delle Guardie Repubblicane, formalmente sciolte dall’attuale presidente Rabu Mansoor Hadi nel dicembre scorso.
 
Lo Yemen è primo nell’indice delle Nazioni Unite sulla disuguaglianza di genere ed è il paese con il maggior numero di armi per abitante dopo gli Stati Uniti. Considerato lo Stato più povero della regione mediorientale, il governo ogni anno riceve dagli Stati Uniti circa 250 milioni di dollari (2011), ma in cambio deve subire la presenza continua dei droni inviati contro i leader dei gruppi terroristici. I droni non piacciono alla popolazione locale e anche all’estero la potenza statunitense viene accusata di limitarsi al “bombing and hoping”, senza una strategia operativa a lungo termine. Proprio un drone ha ucciso a gennaio Said al Shihri, leader qaedista: da questo episodio secondo il New York Times sarebbe nata l’idea di un nuovo attentato contro gli Stati Uniti, discusso al telefono tra Ayman alZawahiri, leader di alQaeda, e Nasser alWuhayshi, a capo del gruppo affiliato nello Yemen. I due però sono stati intercettati e ad agosto il governo statunitense ha chiuso per alcune settimane le proprie ambasciate in Medio Oriente, temendo l’attuazione di quanto ascoltato. 
 
Il paese è al centro di un complesso gioco politico con diversi attori. L’Arabia Saudita ha di fatto espulso metà degli yemeniti con una nuova legge sul lavoro, rimandando a casa quasi 500mila persone e aumentando notevolmente la disoccupazione in Yemen; inoltre ha in programma la costruzione di una barriera fisica per proteggere il confine meridionale, nell’area di Harad. Anche il vicino Qatar è della partita, finanziando con 80 milioni di dollari il partito Islah (che riunisce la i Fratelli Musulmani e i salafiti) e mantenendo forti legami con Taizz, una delle città più attive nella rivolta contro Saleh nel 2011.

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